Nell’ambito di una più ampia crisi e riorganizzazione dei sistemi di intervento pubblico e di gestione del territorio, la scala locale e regionale è diventata a partire dagli anni ’90 un luogo privilegiato per la sperimentazione e l’analisi di modelli di governance e di interazione tra attori locali – partenariati, coalizioni, forum, networks. La riscoperta del territorio come unità sociale economica e politica, si accompagna alla creazione di reti locali e luoghi di partecipazione che hanno spesso funzioni di impulso, mobilitazione sociale e costruzione del consenso, e più raramente funzioni di composizione del conflitto. Si enfatizza in entrambi i casi la dimensione collaborativa delle relazioni tra attori. Il dibattito a livello politico sottolinea la necessità di “un crescente coinvolgimento del pubblico” e della società civile, per restituire legittimità e vitalità democratica a decisioni policy-related a carattere continuo che per loro natura sfuggono alle procedure periodiche di controllo democratico – come le elezioni. Da un prospettiva radicale l’introduzione di sistemi decisionali aperti e decentrati è un modo per offrire inediti spazi di espressione a istanze e gruppi precedentemente marginalizzati dai processi decisionali. L’analisi istituzionalista interpreta invece la governance come uno strumento per colmare la sempre maggiore distanza tra “pubblico” e “privato”, e la metafora della rete come una terza via tra stato e mercato. Dal punto di vista geografico, queste analisi si ricollegano in alcuni casi al concetto di comunità locale, in altri casi al tema del decentramento amministrativo e politico, sulla base di un valore intrinsecamente positivo che viene riconosciuto alla prossimità nei sistemi di influenza e di partecipazione politica (“bisogna portare il governo più vicino al cittadino!”). In molti casi questi discorsi si riconnettono ad una critica radicale dell’universalismo, centralismo e tecnicismo che ha tradizionalmente caratterizzato l’intervento sul territorio. Il compito principale consiste nel restaurare l’autonomia politica, economica e sociale delle comunità locali. Le politiche di gestione del territorio - storicamente una dei principali veicoli di questa perdita di autonomia - diventano in questo modo il punto di partenza per la sua riconquista. Il coinvolgimento degli attori locali nella gestione del territorio ha diverse dimensioni e giustificazioni. La partecipazione ha innanzitutto un’utilità strumentale, perché permette di ottenere informazioni sul contesto locale e definire una strategia di intervento più efficace. Può avere la funzione di legittimare una strategia di policy o ridurre preventivamente i conflitti dovuti alla sua attuazione. Il coinvolgimento della comunità locale ha anche un ruolo costruttivo, perché permette agli attori locali di decidere autonomamente secondo quali priorità verranno gestiti i processi di trasformazione territoriale, di appropriarsi della strategia di intervento, e di avere a disposizione strumenti di controllo democratico. Il coinvolgimento degli attori locali può avere funzioni di negoziazione o mediazione, risoluzione dei conflitti, inclusione sociale, mobilitazione o costruzione del consenso. L’apertura dei processi decisionali ha infine un’importanza intrinseca e un obiettivo diretto di incentivare la collaborazione e il rafforzamento del capitale sociale, la costruzione di istituzioni, l’apprendimento collettivo e le capacitazioni (empowerment), e promuovere la partecipazione democratica. La partecipazione non è solo un mezzo per aumentare l’efficacia delle politiche, ma è essa stessa un loro obiettivo: “lo sviluppo è libertà” (Sen 2000). Nelle prossime pagine si cercherà di sistematizzare i numerosi schemi interpretativi che in questi anni hanno tentato di analizzare il ruolo degli attori locali nei processi di pianificazione regionale , attingendo a terminologie e schemi interpretativi che derivano dalla geografia umana, l’economia istituzionale, la sociologia economica, e le scienze politiche. Verranno approfonditi in particolare alcuni filoni di analisi - essi stessi di tipo multi-disciplinare - come gli approcci neo-istituzionalisti all’analisi dei processi di sviluppo, il dibattito sulla governance multi-livello, locale e urbana, il concetto di capitale sociale, la teoria della democrazia deliberativa e la pianificazione collaborativa. L’obiettivo non è la critica dell’approccio collaborativo (comunicativo, o partecipativo) alla pianificazione, ma l’individuazione del suo campo di applicabilità. Per questo – senza sottovalutarne le potenzialità – si tenterà di evidenziare i limiti di questi approcci, gli elementi di debolezza degli schemi interpretativi sottostanti, e i meccanismi – a volte curiosi, a volte perversi - per i quali la pratica della partecipazione e delle pianificazione si discosta costantemente dalla teoria.

Pianificazione collaborativa, governance e partecipazione: per una geografia politica dello stato a rete (Working Papers del Dip. GeoStaSto) / Celata, Filippo. - ELETTRONICO. - (2005), pp. 1-22.

Pianificazione collaborativa, governance e partecipazione: per una geografia politica dello stato a rete (Working Papers del Dip. GeoStaSto)

CELATA, Filippo
2005

Abstract

Nell’ambito di una più ampia crisi e riorganizzazione dei sistemi di intervento pubblico e di gestione del territorio, la scala locale e regionale è diventata a partire dagli anni ’90 un luogo privilegiato per la sperimentazione e l’analisi di modelli di governance e di interazione tra attori locali – partenariati, coalizioni, forum, networks. La riscoperta del territorio come unità sociale economica e politica, si accompagna alla creazione di reti locali e luoghi di partecipazione che hanno spesso funzioni di impulso, mobilitazione sociale e costruzione del consenso, e più raramente funzioni di composizione del conflitto. Si enfatizza in entrambi i casi la dimensione collaborativa delle relazioni tra attori. Il dibattito a livello politico sottolinea la necessità di “un crescente coinvolgimento del pubblico” e della società civile, per restituire legittimità e vitalità democratica a decisioni policy-related a carattere continuo che per loro natura sfuggono alle procedure periodiche di controllo democratico – come le elezioni. Da un prospettiva radicale l’introduzione di sistemi decisionali aperti e decentrati è un modo per offrire inediti spazi di espressione a istanze e gruppi precedentemente marginalizzati dai processi decisionali. L’analisi istituzionalista interpreta invece la governance come uno strumento per colmare la sempre maggiore distanza tra “pubblico” e “privato”, e la metafora della rete come una terza via tra stato e mercato. Dal punto di vista geografico, queste analisi si ricollegano in alcuni casi al concetto di comunità locale, in altri casi al tema del decentramento amministrativo e politico, sulla base di un valore intrinsecamente positivo che viene riconosciuto alla prossimità nei sistemi di influenza e di partecipazione politica (“bisogna portare il governo più vicino al cittadino!”). In molti casi questi discorsi si riconnettono ad una critica radicale dell’universalismo, centralismo e tecnicismo che ha tradizionalmente caratterizzato l’intervento sul territorio. Il compito principale consiste nel restaurare l’autonomia politica, economica e sociale delle comunità locali. Le politiche di gestione del territorio - storicamente una dei principali veicoli di questa perdita di autonomia - diventano in questo modo il punto di partenza per la sua riconquista. Il coinvolgimento degli attori locali nella gestione del territorio ha diverse dimensioni e giustificazioni. La partecipazione ha innanzitutto un’utilità strumentale, perché permette di ottenere informazioni sul contesto locale e definire una strategia di intervento più efficace. Può avere la funzione di legittimare una strategia di policy o ridurre preventivamente i conflitti dovuti alla sua attuazione. Il coinvolgimento della comunità locale ha anche un ruolo costruttivo, perché permette agli attori locali di decidere autonomamente secondo quali priorità verranno gestiti i processi di trasformazione territoriale, di appropriarsi della strategia di intervento, e di avere a disposizione strumenti di controllo democratico. Il coinvolgimento degli attori locali può avere funzioni di negoziazione o mediazione, risoluzione dei conflitti, inclusione sociale, mobilitazione o costruzione del consenso. L’apertura dei processi decisionali ha infine un’importanza intrinseca e un obiettivo diretto di incentivare la collaborazione e il rafforzamento del capitale sociale, la costruzione di istituzioni, l’apprendimento collettivo e le capacitazioni (empowerment), e promuovere la partecipazione democratica. La partecipazione non è solo un mezzo per aumentare l’efficacia delle politiche, ma è essa stessa un loro obiettivo: “lo sviluppo è libertà” (Sen 2000). Nelle prossime pagine si cercherà di sistematizzare i numerosi schemi interpretativi che in questi anni hanno tentato di analizzare il ruolo degli attori locali nei processi di pianificazione regionale , attingendo a terminologie e schemi interpretativi che derivano dalla geografia umana, l’economia istituzionale, la sociologia economica, e le scienze politiche. Verranno approfonditi in particolare alcuni filoni di analisi - essi stessi di tipo multi-disciplinare - come gli approcci neo-istituzionalisti all’analisi dei processi di sviluppo, il dibattito sulla governance multi-livello, locale e urbana, il concetto di capitale sociale, la teoria della democrazia deliberativa e la pianificazione collaborativa. L’obiettivo non è la critica dell’approccio collaborativo (comunicativo, o partecipativo) alla pianificazione, ma l’individuazione del suo campo di applicabilità. Per questo – senza sottovalutarne le potenzialità – si tenterà di evidenziare i limiti di questi approcci, gli elementi di debolezza degli schemi interpretativi sottostanti, e i meccanismi – a volte curiosi, a volte perversi - per i quali la pratica della partecipazione e delle pianificazione si discosta costantemente dalla teoria.
2005
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