Nelle opere morantiane, si trovano rielaborazioni di fiabe, aneddoti, miti, citazioni dalla Bibbia. In riferimento ai quali, alcuni critici hanno usato il termine parodia. Questo articolo prova a leggere in questo senso l’ultimo romanzo Aracoeli (1982), dove il protagonista Manuele effettua due viaggi al tempo stesso: uno reale verso il luogo natio di sua madre El Almendral, e uno nella propria memoria dalla sua nascita fino alla separazione da suo padre. Dai manoscritti, risulta evidente che la scrittrice in questa storia si ispira al mito di Orfeo. Il viaggio reale per visitare la madre defunta si svolge nei giorni tra il 31 ottobre e i primi di novembre, durante il periodo dedicato al ricordo degli scomparsi; Manuele si reca agli inferi guidato da una ninnananna spagnola, similmente da Orfeo che, invece, di persona suona la lira nel discendere a vedere la defunta: segue la traccia della madre Aracoeli togliendosi gli occhiali per escludere dalla vista le possibili tentazioni, credendo che sia vietato voltarsi indietro, come nel mito di Orfeo. Inoltre, come affermano alcuni critici, il romanzo in questione va anche letto nella prospettiva di una parodia dell’opera omerica. Nella visione del protagonista, il viaggio terreno si trasforma in uno marino: ha la sensazione di essere diventato un famoso eroe omerico; ironizza su se stesso come di «un finto Ulisse» che viaggia sulla terra verso l’interno, in direzione contraria al mare, verso El Almendral appunto, chiamata dalla gente del luogo «la terra più luminosa». Il posto dove la madre lo aspetta in Aracoeli è un posto luminoso, anche se secondo l’idea originale dell’autrice la destinazione di Manuele doveva essere descritta con la sensazione de «la fine del mondo». Al contrario, nelle opere classiche, il posto dove scendono i morti viene descritto in termini negativi; per esempio, nel canto XI dell’Odissea, nel libro sesto dell’Eneide e di nuovo nel canto XII dell’Inferno dantesco. La luminosità, nel romanzo, si ripete anche nella descrizione del bordello Quinta. Qui, l’incarnazione della Morte, la donna-cammello, con voce melodiosa e molto bella, parodia della sirena, induce Aracoeli alla prostituzione. Il luogo viene descritto come luminoso, anche se in realtà segna l’ingresso nell’altro mondo e alla fine la porterà alla morte; tanto più che Manuele alla vista dal palazzo ne riceve una sensazione terribile. Perciò, si può dire che Morante descrive gli inferi in parodia. Parodie morantiane di questo tipo si trovano, nello stesso romanzo, anche altrove. Nella scena della conversazione tra la madre morta e suo figlio, si può riconoscere una somiglianza tra il mito dell’Odissea e la parte ultima di Aracoeli. Nell’Odissea, la madre del protagonista lo aspetta nell’altro mondo. Ulisse scende agli inferi e, lì giunto, parla con la madre morta che gli consiglia di lasciare quella terra e di continuare il viaggio fino al ritorno. In Aracoeli, invece, le parole della madre morta rivolte al figlio ci mettono di fronte al sentimento del nulla: «non c’è niente da capire». Invece di discendere ad un posto buio – come agli inferi – Manuele si reca in un posto molto luminoso, dove sua madre lo aspetta. Tuttavia, il protagonista non trova niente e riceve la parola dell’addio da sua madre. Un’interpretazione di Aracoeli come una parodia di testi classici, risponde ad uno degli aspetti tipici della letteratura novecentesca: il nulla. Egli, che continua a vivere grazie al meccanismo di difesa del sogno e dell’immaginazione, per distogliere gli occhi dalla realtà, deve dire addio alla madre per mezzo della concreta visita al suo paese. Come risultato di ciò, scopre il bisogno di affermare il valore della propria esistenza attraverso se stesso, e così continuerà la sua vita da solo. In tal modo, si può definire Aracoeli come una delle parodie novecentesche, quella alla maniera morantiana, di testi classici.
L'ultima parodia in Elsa Morante: un'interpretazione di "Aracoeli" / Ishida, Mio. - In: ITARIA GAKKAISHI. - ISSN 0387-2947. - STAMPA. - 63:(2013), pp. 81-103.
L'ultima parodia in Elsa Morante: un'interpretazione di "Aracoeli"
ISHIDA, MIO
2013
Abstract
Nelle opere morantiane, si trovano rielaborazioni di fiabe, aneddoti, miti, citazioni dalla Bibbia. In riferimento ai quali, alcuni critici hanno usato il termine parodia. Questo articolo prova a leggere in questo senso l’ultimo romanzo Aracoeli (1982), dove il protagonista Manuele effettua due viaggi al tempo stesso: uno reale verso il luogo natio di sua madre El Almendral, e uno nella propria memoria dalla sua nascita fino alla separazione da suo padre. Dai manoscritti, risulta evidente che la scrittrice in questa storia si ispira al mito di Orfeo. Il viaggio reale per visitare la madre defunta si svolge nei giorni tra il 31 ottobre e i primi di novembre, durante il periodo dedicato al ricordo degli scomparsi; Manuele si reca agli inferi guidato da una ninnananna spagnola, similmente da Orfeo che, invece, di persona suona la lira nel discendere a vedere la defunta: segue la traccia della madre Aracoeli togliendosi gli occhiali per escludere dalla vista le possibili tentazioni, credendo che sia vietato voltarsi indietro, come nel mito di Orfeo. Inoltre, come affermano alcuni critici, il romanzo in questione va anche letto nella prospettiva di una parodia dell’opera omerica. Nella visione del protagonista, il viaggio terreno si trasforma in uno marino: ha la sensazione di essere diventato un famoso eroe omerico; ironizza su se stesso come di «un finto Ulisse» che viaggia sulla terra verso l’interno, in direzione contraria al mare, verso El Almendral appunto, chiamata dalla gente del luogo «la terra più luminosa». Il posto dove la madre lo aspetta in Aracoeli è un posto luminoso, anche se secondo l’idea originale dell’autrice la destinazione di Manuele doveva essere descritta con la sensazione de «la fine del mondo». Al contrario, nelle opere classiche, il posto dove scendono i morti viene descritto in termini negativi; per esempio, nel canto XI dell’Odissea, nel libro sesto dell’Eneide e di nuovo nel canto XII dell’Inferno dantesco. La luminosità, nel romanzo, si ripete anche nella descrizione del bordello Quinta. Qui, l’incarnazione della Morte, la donna-cammello, con voce melodiosa e molto bella, parodia della sirena, induce Aracoeli alla prostituzione. Il luogo viene descritto come luminoso, anche se in realtà segna l’ingresso nell’altro mondo e alla fine la porterà alla morte; tanto più che Manuele alla vista dal palazzo ne riceve una sensazione terribile. Perciò, si può dire che Morante descrive gli inferi in parodia. Parodie morantiane di questo tipo si trovano, nello stesso romanzo, anche altrove. Nella scena della conversazione tra la madre morta e suo figlio, si può riconoscere una somiglianza tra il mito dell’Odissea e la parte ultima di Aracoeli. Nell’Odissea, la madre del protagonista lo aspetta nell’altro mondo. Ulisse scende agli inferi e, lì giunto, parla con la madre morta che gli consiglia di lasciare quella terra e di continuare il viaggio fino al ritorno. In Aracoeli, invece, le parole della madre morta rivolte al figlio ci mettono di fronte al sentimento del nulla: «non c’è niente da capire». Invece di discendere ad un posto buio – come agli inferi – Manuele si reca in un posto molto luminoso, dove sua madre lo aspetta. Tuttavia, il protagonista non trova niente e riceve la parola dell’addio da sua madre. Un’interpretazione di Aracoeli come una parodia di testi classici, risponde ad uno degli aspetti tipici della letteratura novecentesca: il nulla. Egli, che continua a vivere grazie al meccanismo di difesa del sogno e dell’immaginazione, per distogliere gli occhi dalla realtà, deve dire addio alla madre per mezzo della concreta visita al suo paese. Come risultato di ciò, scopre il bisogno di affermare il valore della propria esistenza attraverso se stesso, e così continuerà la sua vita da solo. In tal modo, si può definire Aracoeli come una delle parodie novecentesche, quella alla maniera morantiana, di testi classici.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.