Come sappiamo i processi di ristrutturazione e autentica riduzione del ruolo del Welfare State nei paesi industrializzati modifica radicalmente il rapporto tra spazio pubblico e ruolo del mercato e dell’impresa, tra rappresentanza delle forze sociali e il ruolo distributivo e di garanzia dei diritti svolto dalle amministrazioni pubbliche. Altrettanto evidente quanto questa “crisi” dello stato sociale sia intrecciata con una completa ridefinizione sia delle pratiche produttive, ma dello stesso modello sociale del fordismo (Harvey). Una ridefinizione dei paradigmi produttivi che si è accompagnata ad una ridefinizione di valori, identità culturali, significati e atteggiamenti che, nel bene o nel male, hanno fatto emergere già de tempo alcuni limiti della struttura dello stato sociale così come emersa dalla prima metà del Novecento. Il dibattito pubblico pare però ancora soffermarsi sulla contrapposizione tra riproposizione e difesa dell’impianto di quelle politiche socio-sanitarie e un’innovazione sociale caratterizzata da alcuni terreni di contaminazione con retoriche e politiche tipiche della rivoluzione neoliberista. A nostro avviso, la realtà delle reti di economia solidale e dei gruppi di acquisto solidali possono costituire un esempio che, al contrario delle pratiche sociali diffuse che in varia misura hanno costituito lo spunto o i precursori dello stato sociale (le esperienze di mutuo-soccorso in primis), non traggono origine dal mondo del lavoro e della produzione ma dall’universo, tipicamente post-fordista del consumo produttivo e dell’imprenditorialità molecolare e “tribale”. Tre esempi ci portano a delineare i primi tratti di tale possibile modello di welfare. Dai primi due prendiamo il metodo e alcune caratterizzazioni, il terzo uno spazio di applicazione nell’ambito delle politiche sociali e sanitarie. L’analisi di tre esempi che non partono da un’analisi delle risultanze economiche di queste pratiche ma dal cambiamento degli atteggiamenti e del significato culturale attribuito a queste pratiche e al conseguente modificazione delle reti sociali e dei rapporti (anche) economici che producono. Uno. È la pratica di consumo critico, diffuso e cooperativo dei Gruppi di Acquisto Solidali (GAS). Non è un caso di voice ancorato alla tradizione dell’advocacy, alla pratica della vocalità (pienamente) pubblica dell’associazionismo consumeristico, una voce raramente caratterizzata da intenzioni o aspirazioni politiche. Diretta ai decisori. È piuttosto una voice nel senso pieno della definizione fornita da Hirshman. È un’espressività diretta al mercato stesso, che esce dalla stretta tradizione mercantile della mera contrattazione o della stretta alternativa tra l’exit della scelta di un altro prodotto e della loyalty (fidelizzazione, consumi d’appartenenza, nicchie, ecc.). Due. È la voce dei consumi organizzati. È la sperimentazione del rapporto con grandi produttori energetici e finanziari che le reti e i distretti di economia solidale stanno sperimentando in questi anni. Anche in questo caso un mutamento nel rapporto tra consumo-e-impresa non incentrato solo sul rapporto di scambio tra individui-clienti e grandi offerte economiche tipiche dell’homo economicus, ma costruita intorno all’impostazione più impegnativa e “profonda” di una contrattualizzazione sia delle condizioni del servizio-prodotto che delle condizioni produttive e di utilizzo del valore aggiunto realizzato dalla collaborazione. Una relazionalità più ampia, nazionale e “molare”, costretta in misura maggiore, rispetto a quella molecolare dei GAS, ad un racconto e ad un’espressività piena della propria progettualità e socialità. Quella “voice narrativa” che J. Couldry vede costantemente schiacciata dal discorso neoliberale. Tre. È il terreno emergente delle relazioni economiche diffuse a cui costringe larga parte della popolazione vulnerabile (Castel) dal welfare della sussidarietà e del “ritiro dello stato”. È il terreno scoperto dall’incapacità dello stato sociale di occuparsi di disabilità, ma anche lo spazio difficilmente recuperabile da un rinnovato ruolo “universalistico” di politiche sociali che non sempre riescono a trovare cure e trattamenti accettati univocamente o sufficiente flessibili per adattarsi alla complessità sociale contemporanea: ne sono esempio la diatriba intorno all’uso e il riconoscimento della Lingua italiana dei segni (LIS) nella comunità dei non udenti o il dibattito intorno alle linee guida dell’istituto Superiore di Sanità sui trattamenti per le persone con autismo. All’interno di questo spazio, ora occupato da decine di piccole cooperative sociali, da migliaia di singole professionalità, da decine di associazioni si costruisce un mercato sociale (de Leonardis) tipico della privatizzazione e mercificazione delle pratiche di cura. Un mercato in cui il modello dell’economia solidale può riprodurre, anche in questo settore, la rivincita di una voce con entrambe le caratteristiche già riassunte: a) nei termini di una relazione economia che si allarga al rapporto tra gruppi di acquisto e imprese e gruppi di imprese; b) in quelli di una consapevolezza sempre più marcata dei movimenti di persone malate di rivendicare non solo la presenza pubblica ma anche il “diritto di parola” nelle controversie scientifiche. Una direzione che riafferma la necessità di un intervento collettivo flessibile garantendo, al contempo, partecipazione, solidarietà, diritti.

La rivincita della voce (solidale). Dai consumi al welfare, l'alternativa partecipata al neoliberismo / Binotto, Marco; Ferraris, Federica. - ELETTRONICO. - (2013). (Intervento presentato al convegno Italia, Europa: Integrazione sociale e integrazione politica - Sesta Conferenza annuale ESPAnet Italia tenutosi a Università della Calabria (Rende) nel 19-21 Settembre 2013).

La rivincita della voce (solidale). Dai consumi al welfare, l'alternativa partecipata al neoliberismo

BINOTTO, Marco;FERRARIS, FEDERICA
2013

Abstract

Come sappiamo i processi di ristrutturazione e autentica riduzione del ruolo del Welfare State nei paesi industrializzati modifica radicalmente il rapporto tra spazio pubblico e ruolo del mercato e dell’impresa, tra rappresentanza delle forze sociali e il ruolo distributivo e di garanzia dei diritti svolto dalle amministrazioni pubbliche. Altrettanto evidente quanto questa “crisi” dello stato sociale sia intrecciata con una completa ridefinizione sia delle pratiche produttive, ma dello stesso modello sociale del fordismo (Harvey). Una ridefinizione dei paradigmi produttivi che si è accompagnata ad una ridefinizione di valori, identità culturali, significati e atteggiamenti che, nel bene o nel male, hanno fatto emergere già de tempo alcuni limiti della struttura dello stato sociale così come emersa dalla prima metà del Novecento. Il dibattito pubblico pare però ancora soffermarsi sulla contrapposizione tra riproposizione e difesa dell’impianto di quelle politiche socio-sanitarie e un’innovazione sociale caratterizzata da alcuni terreni di contaminazione con retoriche e politiche tipiche della rivoluzione neoliberista. A nostro avviso, la realtà delle reti di economia solidale e dei gruppi di acquisto solidali possono costituire un esempio che, al contrario delle pratiche sociali diffuse che in varia misura hanno costituito lo spunto o i precursori dello stato sociale (le esperienze di mutuo-soccorso in primis), non traggono origine dal mondo del lavoro e della produzione ma dall’universo, tipicamente post-fordista del consumo produttivo e dell’imprenditorialità molecolare e “tribale”. Tre esempi ci portano a delineare i primi tratti di tale possibile modello di welfare. Dai primi due prendiamo il metodo e alcune caratterizzazioni, il terzo uno spazio di applicazione nell’ambito delle politiche sociali e sanitarie. L’analisi di tre esempi che non partono da un’analisi delle risultanze economiche di queste pratiche ma dal cambiamento degli atteggiamenti e del significato culturale attribuito a queste pratiche e al conseguente modificazione delle reti sociali e dei rapporti (anche) economici che producono. Uno. È la pratica di consumo critico, diffuso e cooperativo dei Gruppi di Acquisto Solidali (GAS). Non è un caso di voice ancorato alla tradizione dell’advocacy, alla pratica della vocalità (pienamente) pubblica dell’associazionismo consumeristico, una voce raramente caratterizzata da intenzioni o aspirazioni politiche. Diretta ai decisori. È piuttosto una voice nel senso pieno della definizione fornita da Hirshman. È un’espressività diretta al mercato stesso, che esce dalla stretta tradizione mercantile della mera contrattazione o della stretta alternativa tra l’exit della scelta di un altro prodotto e della loyalty (fidelizzazione, consumi d’appartenenza, nicchie, ecc.). Due. È la voce dei consumi organizzati. È la sperimentazione del rapporto con grandi produttori energetici e finanziari che le reti e i distretti di economia solidale stanno sperimentando in questi anni. Anche in questo caso un mutamento nel rapporto tra consumo-e-impresa non incentrato solo sul rapporto di scambio tra individui-clienti e grandi offerte economiche tipiche dell’homo economicus, ma costruita intorno all’impostazione più impegnativa e “profonda” di una contrattualizzazione sia delle condizioni del servizio-prodotto che delle condizioni produttive e di utilizzo del valore aggiunto realizzato dalla collaborazione. Una relazionalità più ampia, nazionale e “molare”, costretta in misura maggiore, rispetto a quella molecolare dei GAS, ad un racconto e ad un’espressività piena della propria progettualità e socialità. Quella “voice narrativa” che J. Couldry vede costantemente schiacciata dal discorso neoliberale. Tre. È il terreno emergente delle relazioni economiche diffuse a cui costringe larga parte della popolazione vulnerabile (Castel) dal welfare della sussidarietà e del “ritiro dello stato”. È il terreno scoperto dall’incapacità dello stato sociale di occuparsi di disabilità, ma anche lo spazio difficilmente recuperabile da un rinnovato ruolo “universalistico” di politiche sociali che non sempre riescono a trovare cure e trattamenti accettati univocamente o sufficiente flessibili per adattarsi alla complessità sociale contemporanea: ne sono esempio la diatriba intorno all’uso e il riconoscimento della Lingua italiana dei segni (LIS) nella comunità dei non udenti o il dibattito intorno alle linee guida dell’istituto Superiore di Sanità sui trattamenti per le persone con autismo. All’interno di questo spazio, ora occupato da decine di piccole cooperative sociali, da migliaia di singole professionalità, da decine di associazioni si costruisce un mercato sociale (de Leonardis) tipico della privatizzazione e mercificazione delle pratiche di cura. Un mercato in cui il modello dell’economia solidale può riprodurre, anche in questo settore, la rivincita di una voce con entrambe le caratteristiche già riassunte: a) nei termini di una relazione economia che si allarga al rapporto tra gruppi di acquisto e imprese e gruppi di imprese; b) in quelli di una consapevolezza sempre più marcata dei movimenti di persone malate di rivendicare non solo la presenza pubblica ma anche il “diritto di parola” nelle controversie scientifiche. Una direzione che riafferma la necessità di un intervento collettivo flessibile garantendo, al contempo, partecipazione, solidarietà, diritti.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/527956
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