Nell’antico Egitto integrità del corpo e adeguata sepoltura erano presupposti fondamentali per la vita oltremondana. La distruzione del corpo era molto temuta sia prima che dopo il trapasso e la morte per annegamento poteva rappresentare la non conservazione del cadavere e la non sepoltura. Proprio perché temuta, questa morte poteva essere inflitta come punizione e dannazione a nemici e traditori così come era stato per l’acerrimo nemico di Ra, il serpente Apopi, annegato nel Nilo. Ciononostante la religione egizia ha fatto dell’acqua un importante elemento che ha ispirato la mitologia: l’acqua era anche quella del Nun, l’oceano primordiale, e soprattutto quella del sacro Nilo, dove il corpo di Osiride, prototipo del defunto, era annegato rilasciando nel fiume i suoi fertili umori, fondamentali per il rinnovamento della vita. La resurrezione di Osiride rappresentava la speranza per ogni trapassato e la sua condizione di annegato per eccellenza permise agli annegati di essere a lui equiparati e di ottenere una specifica collocazione nell’Oltretomba facendone dei “divinizzati”. Il Libro dell’Amduat e il Libro delle Porte riferiscono di bacini d’acqua dove gli annegati nuotano protetti da divinità. Attraverso il Nun essi sono giunti nel mondo sotterraneo venendo preservati dalla distruzione finale perché rigenerati dalla materia primordiale. I testi confermano, per bocca di Ra e Horo, che pur non avendo ricevuto una sepoltura le loro anime non moriranno mai. In epoca tarda il concetto di “divinizzazione per annegamento” culminerà con la costruzione di templi dedicati agli annegati raggiungendo l’apice con Antinoo e il culto a lui dedicato. L’annegamento sembra sia stato praticato anche a livello rituale come nel caso del toro Api, considerato un aspetto di Osiride, ucciso al raggiungimento del venticinquesimo anno di età. Attraverso l’analisi dei testi dedicati al mondo oltremondano, del lessico impiegato per indicare la particolare categoria di defunti morti per annegamento, della loro collocazione nell’aldilà e della percezione che di essi si aveva nel mondo dei vivi si potrà delineare i contorni di una dicotomia, annegamento come dannazione o come morte privilegiata, evidenziando come nell’antico Egitto positivo e negativo fossero complementari e non sempre in contraddizione.

La morte per annegamento nell’antico Egitto. Privilegio e dannazione / Colazilli, Alessandra. - STAMPA. - (In corso di stampa). (Intervento presentato al convegno Sulle Rive dell’Acheronte. Costruzione e percezione della sfera del post mortem nel Mediterraneo antico tenutosi a Velletri nel 12-16 Giugno 2012).

La morte per annegamento nell’antico Egitto. Privilegio e dannazione

COLAZILLI, ALESSANDRA
In corso di stampa

Abstract

Nell’antico Egitto integrità del corpo e adeguata sepoltura erano presupposti fondamentali per la vita oltremondana. La distruzione del corpo era molto temuta sia prima che dopo il trapasso e la morte per annegamento poteva rappresentare la non conservazione del cadavere e la non sepoltura. Proprio perché temuta, questa morte poteva essere inflitta come punizione e dannazione a nemici e traditori così come era stato per l’acerrimo nemico di Ra, il serpente Apopi, annegato nel Nilo. Ciononostante la religione egizia ha fatto dell’acqua un importante elemento che ha ispirato la mitologia: l’acqua era anche quella del Nun, l’oceano primordiale, e soprattutto quella del sacro Nilo, dove il corpo di Osiride, prototipo del defunto, era annegato rilasciando nel fiume i suoi fertili umori, fondamentali per il rinnovamento della vita. La resurrezione di Osiride rappresentava la speranza per ogni trapassato e la sua condizione di annegato per eccellenza permise agli annegati di essere a lui equiparati e di ottenere una specifica collocazione nell’Oltretomba facendone dei “divinizzati”. Il Libro dell’Amduat e il Libro delle Porte riferiscono di bacini d’acqua dove gli annegati nuotano protetti da divinità. Attraverso il Nun essi sono giunti nel mondo sotterraneo venendo preservati dalla distruzione finale perché rigenerati dalla materia primordiale. I testi confermano, per bocca di Ra e Horo, che pur non avendo ricevuto una sepoltura le loro anime non moriranno mai. In epoca tarda il concetto di “divinizzazione per annegamento” culminerà con la costruzione di templi dedicati agli annegati raggiungendo l’apice con Antinoo e il culto a lui dedicato. L’annegamento sembra sia stato praticato anche a livello rituale come nel caso del toro Api, considerato un aspetto di Osiride, ucciso al raggiungimento del venticinquesimo anno di età. Attraverso l’analisi dei testi dedicati al mondo oltremondano, del lessico impiegato per indicare la particolare categoria di defunti morti per annegamento, della loro collocazione nell’aldilà e della percezione che di essi si aveva nel mondo dei vivi si potrà delineare i contorni di una dicotomia, annegamento come dannazione o come morte privilegiata, evidenziando come nell’antico Egitto positivo e negativo fossero complementari e non sempre in contraddizione.
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Sulle Rive dell’Acheronte. Costruzione e percezione della sfera del post mortem nel Mediterraneo antico
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
La morte per annegamento nell’antico Egitto. Privilegio e dannazione / Colazilli, Alessandra. - STAMPA. - (In corso di stampa). (Intervento presentato al convegno Sulle Rive dell’Acheronte. Costruzione e percezione della sfera del post mortem nel Mediterraneo antico tenutosi a Velletri nel 12-16 Giugno 2012).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/512193
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