La Stazione Tiburtina è un’architettura romana nel senso più alto del termine. I temi, della struttura che genera la forma (di Nerviana memoria), dello spazio come espressione fisica della densità luminosa, e della percezione temporale del fenomeno architettonico, come sequenza articolata di spazi a diverso gradiente geometrico-dimensionale, concetti tutti appartenenti alla millenaria cultura del progetto di questa città, si ritrovano assieme nella ricca spazialità di questo nuovo ed importante edificio pubblico. È difficile non pensare a Moretti ed agli scritti della rivista “Spazio” mentre percorriamo gli ambienti della stazione. Il concetto di sequenza maestra sembra guidare i nostri passi salendo l’articolato nucleo delle scale mobili poste nella testata che affaccia sul fronte Nomentano, lambendo la bella superficie scultorea dedicata a Cavour, e poi lungo il boulevard in quota a + 9 m. da terra, tra una compressione generata dai volumi sospesi dei servizi indiretti ai viaggiatori e l’ampiezza dell’invaso a tutt’altezza della grande galleria, sino alla compressione finale sul fronte Pietralata, prima della discesa nuovamente alla quota urbana. C’è una dimensione aulica nello spazio percepito che ci parla di Roma attraverso le cifre di un codice contemporaneo che non ne imita le icone ma interpreta i valori profondi della città quale luogo delle relazioni. La stazione così, da spazio atopico perché legato alla dimensione tecnologica ed universale del vettore, diviene luogo topico che si caratterizza per il suo rapporto con il paesaggio, per la sua luce e la sua atmosfera, oltre che per le sue precipue caratteristiche interne. La galleria è sì spazio liquido, per dirla alla Bauman, attraversata com’è dalla luce, ma è al contempo spazio delimitato, spazio misurato, e come tale, luogo delle relazioni tra le autonome figure che lo animano. È dunque una perfetta esplicitazione del concetto di stazione come nodo, ovvero spazio intermedio, sospeso, questa volta è proprio il caso di dirlo, tra il radicamento al luogo e l’attrazione per il viaggio. Ciò che colpisce positivamente è il senso di gioiosa ricchezza fenomenica che l’architettura produce in chi è chiamato a viverne gli spazi. La visione periferica, ovvero quella visione che solo chi è nello spazio ha modo di percepire perché legata al campo visivo che circonda il fuoco della visione, trova in questa architettura un momento di applicazione esemplare. Scriveva Juhani Pallasmaa in un bel libro di qualche anno fa intitolato Gli occhi della pelle (2007) che «uno dei motivi per cui gli scenari architettonici e urbani del nostro tempo ci fanno sentire tendenzialmente degli esclusi, in contrasto con l’energico impegno emotivo degli scenari storici e naturali, è la loro povertà a livello della visione periferica. La percezione periferica inconscia trasforma la Gestalt retinale in esperienze spaziali e corporee. La visione periferica ci integra nello spazio, mentre la visione a fuoco ci spinge fuori dallo spazio, rendendoci meri spettatori». La ricchezza e varietà delle superfici materiche che rivestono i volumi, dalla pietra alla lamiera ossidata, dalla Alicrite ai vetri termici, e la cura con la quale si affrontano le connessioni tra gli elementi, ci parlano di un’attenzione al dettaglio che è parte di quella qualità d’insieme che solo una buona costruzione produce e che “sentiamo” e percepiamo emotivamente anche senza “vedere” fisicamente, proprio grazie alla visione periferica che è parte della qualità spaziale.

La nuova stazione Alta Velocità di Roma Tiburtina di ABDR Architetti Associati / Grimaldi, Andrea. - In: L'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI. - ISSN 0579-4900. - STAMPA. - 425(2012), pp. 60-71.

La nuova stazione Alta Velocità di Roma Tiburtina di ABDR Architetti Associati

GRIMALDI, ANDREA
2012

Abstract

La Stazione Tiburtina è un’architettura romana nel senso più alto del termine. I temi, della struttura che genera la forma (di Nerviana memoria), dello spazio come espressione fisica della densità luminosa, e della percezione temporale del fenomeno architettonico, come sequenza articolata di spazi a diverso gradiente geometrico-dimensionale, concetti tutti appartenenti alla millenaria cultura del progetto di questa città, si ritrovano assieme nella ricca spazialità di questo nuovo ed importante edificio pubblico. È difficile non pensare a Moretti ed agli scritti della rivista “Spazio” mentre percorriamo gli ambienti della stazione. Il concetto di sequenza maestra sembra guidare i nostri passi salendo l’articolato nucleo delle scale mobili poste nella testata che affaccia sul fronte Nomentano, lambendo la bella superficie scultorea dedicata a Cavour, e poi lungo il boulevard in quota a + 9 m. da terra, tra una compressione generata dai volumi sospesi dei servizi indiretti ai viaggiatori e l’ampiezza dell’invaso a tutt’altezza della grande galleria, sino alla compressione finale sul fronte Pietralata, prima della discesa nuovamente alla quota urbana. C’è una dimensione aulica nello spazio percepito che ci parla di Roma attraverso le cifre di un codice contemporaneo che non ne imita le icone ma interpreta i valori profondi della città quale luogo delle relazioni. La stazione così, da spazio atopico perché legato alla dimensione tecnologica ed universale del vettore, diviene luogo topico che si caratterizza per il suo rapporto con il paesaggio, per la sua luce e la sua atmosfera, oltre che per le sue precipue caratteristiche interne. La galleria è sì spazio liquido, per dirla alla Bauman, attraversata com’è dalla luce, ma è al contempo spazio delimitato, spazio misurato, e come tale, luogo delle relazioni tra le autonome figure che lo animano. È dunque una perfetta esplicitazione del concetto di stazione come nodo, ovvero spazio intermedio, sospeso, questa volta è proprio il caso di dirlo, tra il radicamento al luogo e l’attrazione per il viaggio. Ciò che colpisce positivamente è il senso di gioiosa ricchezza fenomenica che l’architettura produce in chi è chiamato a viverne gli spazi. La visione periferica, ovvero quella visione che solo chi è nello spazio ha modo di percepire perché legata al campo visivo che circonda il fuoco della visione, trova in questa architettura un momento di applicazione esemplare. Scriveva Juhani Pallasmaa in un bel libro di qualche anno fa intitolato Gli occhi della pelle (2007) che «uno dei motivi per cui gli scenari architettonici e urbani del nostro tempo ci fanno sentire tendenzialmente degli esclusi, in contrasto con l’energico impegno emotivo degli scenari storici e naturali, è la loro povertà a livello della visione periferica. La percezione periferica inconscia trasforma la Gestalt retinale in esperienze spaziali e corporee. La visione periferica ci integra nello spazio, mentre la visione a fuoco ci spinge fuori dallo spazio, rendendoci meri spettatori». La ricchezza e varietà delle superfici materiche che rivestono i volumi, dalla pietra alla lamiera ossidata, dalla Alicrite ai vetri termici, e la cura con la quale si affrontano le connessioni tra gli elementi, ci parlano di un’attenzione al dettaglio che è parte di quella qualità d’insieme che solo una buona costruzione produce e che “sentiamo” e percepiamo emotivamente anche senza “vedere” fisicamente, proprio grazie alla visione periferica che è parte della qualità spaziale.
2012
Stazioni ferroviarie; Stazioni ponte; Nodi intermodali
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
La nuova stazione Alta Velocità di Roma Tiburtina di ABDR Architetti Associati / Grimaldi, Andrea. - In: L'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI. - ISSN 0579-4900. - STAMPA. - 425(2012), pp. 60-71.
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