Gli Organofosforici (OP) sono pesticidi diffusamente utilizzati che possono causare avvelenamenti acuti o cronici a seguito di esposizione accidentale o volontaria. Gli OP esplicano la loro tossicità attraverso l’inibizione dell’enzima acetilcolinesterasi (AChE) con conseguente accumulo di Acetilcolina. Il quadro clinico si manifesta con segni e sintomi muscarinici, quali nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, broncospasmo, miosi, bradicardia, salivazione e sudorazione; nicotinici, quali fascicolazioni muscolari, tremori e debolezza, e, a carico del SNC: agitazione, convulsioni e coma. Il trattamento prevede somministrazione di atropina, antagonista dei recettori muscarinici, e dell’antidoto pralidossima, riattivatore enzimatico. In Italia, dal 1980 al 2002, i decessi per avvelenamento sono stati 21360 (ISS, 2008). Il Centro Antiveleni (CAV) del Policlinico Umberto I di Roma, è stato contattato per il caso di una donna filippina di 48 anni arrivata in coma nel reparto di Rianimazione dello stesso ospedale, dopo essere stata trovata nella sua abitazione priva di coscienza con accanto un flacone contenente un liquido ignoto, in seguito identificato quale un pesticida OP. La paziente era intubata, emodinamicamente stabile e con GCS di 7. Gastroscopia, RX del torace e diretta addome risultavano negativi; l’esame tossicologico delle urine mostrava positività alle benzodiazepine e alle anfetamine. Gli esami ematochimici rilevavano livelli di colinesterasi di 2091 U/litro, che si ridussero a 273 U/litro in seconda giornata. Avendo tempestivamente i RIS identificato nel campione di liquido raccolto in casa della paziente, il cloripirifosmetile (Dursban®) si iniziò a trattare la paziente con: atropina e l’antidoto pralidossima (Contrathion®) e.v. 8mg/Kg/h, carbone attivo per sng e lattulosio. Solo in seconda giornata è stato possibile ricostruire l’anamnesi patologica della paziente, causata da ingestione di OP a scopo suicidario. Dopo circa 48 ore, migliorate le condizioni cliniche, la paziente è stata estubata ed è stata sospesa la terapia specifica. In terza giornata la paziente si mostrava molto agitata e aggressiva per cui veniva trattata con benzodiazepine e aloperidolo e.v. e iniziava terapia antibiotica per sospetta polmonite da aspirazione. In sesta giornata, dopo evacuazione e con livelli ematici delle colinesterasi in risalita (470 U/litro), a seguito di alcuni episodi di autolesionismo e non adesione alla terapia, la paziente veniva trasferita dalla rianimazione al reparto di psichiatria da dove è stata dimessa dopo circa una settimana con terapia medica. Il caso clinico descritto contribuisce a richiamare l’attenzione sul rischio delle intossicazioni da OP a scopo suicidario associate ad elevata letalità. Identificare tempestivamente l’OP e quindi ridurre l’intervallo di tempo tra l’ingestione e l’inizio del trattamento antidotico può prevenire molti decessi. Diminuire l’uso e vietare alcuni composti OP può essere, quindi, un’utile misura preventiva, essendo queste sostanze un metodo di tentativo di suicidio molto comune soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Intossicazione da Organofosforici: caso di tentato suicidio / Malavasi, Elisa; D., Sabatini; Grassi, Maria Caterina. - STAMPA. - (2012). (Intervento presentato al convegno Antidotes in Depth 2012, Clinical Toxicology, Substances of Abuse and Chemical Emergencies tenutosi a Pavia nel 19-21 settembre 2012).

Intossicazione da Organofosforici: caso di tentato suicidio

MALAVASI, ELISA;GRASSI, Maria Caterina
2012

Abstract

Gli Organofosforici (OP) sono pesticidi diffusamente utilizzati che possono causare avvelenamenti acuti o cronici a seguito di esposizione accidentale o volontaria. Gli OP esplicano la loro tossicità attraverso l’inibizione dell’enzima acetilcolinesterasi (AChE) con conseguente accumulo di Acetilcolina. Il quadro clinico si manifesta con segni e sintomi muscarinici, quali nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, broncospasmo, miosi, bradicardia, salivazione e sudorazione; nicotinici, quali fascicolazioni muscolari, tremori e debolezza, e, a carico del SNC: agitazione, convulsioni e coma. Il trattamento prevede somministrazione di atropina, antagonista dei recettori muscarinici, e dell’antidoto pralidossima, riattivatore enzimatico. In Italia, dal 1980 al 2002, i decessi per avvelenamento sono stati 21360 (ISS, 2008). Il Centro Antiveleni (CAV) del Policlinico Umberto I di Roma, è stato contattato per il caso di una donna filippina di 48 anni arrivata in coma nel reparto di Rianimazione dello stesso ospedale, dopo essere stata trovata nella sua abitazione priva di coscienza con accanto un flacone contenente un liquido ignoto, in seguito identificato quale un pesticida OP. La paziente era intubata, emodinamicamente stabile e con GCS di 7. Gastroscopia, RX del torace e diretta addome risultavano negativi; l’esame tossicologico delle urine mostrava positività alle benzodiazepine e alle anfetamine. Gli esami ematochimici rilevavano livelli di colinesterasi di 2091 U/litro, che si ridussero a 273 U/litro in seconda giornata. Avendo tempestivamente i RIS identificato nel campione di liquido raccolto in casa della paziente, il cloripirifosmetile (Dursban®) si iniziò a trattare la paziente con: atropina e l’antidoto pralidossima (Contrathion®) e.v. 8mg/Kg/h, carbone attivo per sng e lattulosio. Solo in seconda giornata è stato possibile ricostruire l’anamnesi patologica della paziente, causata da ingestione di OP a scopo suicidario. Dopo circa 48 ore, migliorate le condizioni cliniche, la paziente è stata estubata ed è stata sospesa la terapia specifica. In terza giornata la paziente si mostrava molto agitata e aggressiva per cui veniva trattata con benzodiazepine e aloperidolo e.v. e iniziava terapia antibiotica per sospetta polmonite da aspirazione. In sesta giornata, dopo evacuazione e con livelli ematici delle colinesterasi in risalita (470 U/litro), a seguito di alcuni episodi di autolesionismo e non adesione alla terapia, la paziente veniva trasferita dalla rianimazione al reparto di psichiatria da dove è stata dimessa dopo circa una settimana con terapia medica. Il caso clinico descritto contribuisce a richiamare l’attenzione sul rischio delle intossicazioni da OP a scopo suicidario associate ad elevata letalità. Identificare tempestivamente l’OP e quindi ridurre l’intervallo di tempo tra l’ingestione e l’inizio del trattamento antidotico può prevenire molti decessi. Diminuire l’uso e vietare alcuni composti OP può essere, quindi, un’utile misura preventiva, essendo queste sostanze un metodo di tentativo di suicidio molto comune soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
2012
Antidotes in Depth 2012, Clinical Toxicology, Substances of Abuse and Chemical Emergencies
04 Pubblicazione in atti di convegno::04d Abstract in atti di convegno
Intossicazione da Organofosforici: caso di tentato suicidio / Malavasi, Elisa; D., Sabatini; Grassi, Maria Caterina. - STAMPA. - (2012). (Intervento presentato al convegno Antidotes in Depth 2012, Clinical Toxicology, Substances of Abuse and Chemical Emergencies tenutosi a Pavia nel 19-21 settembre 2012).
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