In recent years we have witnessed, in the social sciences, to a genuine proliferation of work on the issue of risk, so as to assume the emergence of a veritable "culture of risk". Such a revival of interest may be motivated by the consideration that the "danger level" of social life has gone considerably increasing over the years, but is this really so? In fact, in the first place, if on one hand the technological advancement has made it possible to cope with unexpected and minimize impacts much more than in the past, as well, the nature of "socialized" is in many respects more unreliable compared to the pre-modern . The techno-scientific progress has also gradually canceled the distances of space and time, creating wider interdependence and introducing new risks, often invisible but serious consequences, its a system that has become global, seemingly distant individual experience (according to that " "sequestration of experience '," which, according to Giddens, is becoming increasingly necessary confidence in abstract systems, which, for Beck, the risk to undergo a process of "" social definition "") but still be able to have a significant impact on prospects in life. In this way, uncertainty and "risk culture" appear privileged categories of late modernity. Along the lines of this in mind, we report here the impressions received from a survey conducted in March '95 to March '96 on a sample of international press of "quality." The goal was to make a comparison between the performances of some situations of international risk (terrorism, ecological disasters, epidemics) by the Italian bid ("" Corriere della Sera ""), French ("" Le Monde "" ), English ("" The Times "") and German ("" Die Welt ""), with the aim of providing simple food for thought on some issues. Two questions guided the research: a) there are substantial differences between the national newspapers in communicating the risk internationally? b) printing still serves the function information that has historically marked, so as to exert an impact player on the cognitive side, opposing the deepening wrote to the sensationalism of the culture of the image?

Negli ultimi anni si è assistito, nelle scienze sociali, ad un’autentica proliferazione di lavori sul tema del rischio, tanto da far ipotizzare l’emergere di una vera e propria “cultura del rischio”. Un tale risveglio di interesse potrebbe essere motivato dalla considerazione che il “livello di pericolosità” della vita sociale si sia andato notevolmente accrescendo negli anni: ma le cose stanno davvero così? In realtà, in primo luogo, se da un lato l’avanzamento tecnologico ha reso possibile fronteggiare imprevisti e minimizzarne gli impatti molto più che in passato, pure, la natura “socializzata” risulta sotto molti aspetti più inaffidabile rispetto all’epoca pre-moderna. Il progresso tecno-scientifico ha, inoltre, gradatamente annullato le distanze spazio-temporali, creando più ampia interdipendenza e introducendo nuovi rischi, spesso invisibili ma di gravi conseguenze, propri di un sistema divenuto globale, apparentemente distanti dall’esperienza individuale (secondo quel "sequestro dell'esperienza",che, secondo Giddens, rende sempre più necessaria la fiducia nei sistemi astratti, che, per Beck, sottopongono il rischio a un processo di "definizione sociale") ma comunque in grado di incidere significativamente sulle prospettive di vita. In tal modo, incertezza e “cultura del rischio” appaiono categorie privilegiate della tarda modernità. Sulla falsariga di queste premesse, si riportano in questa sede le impressioni ricevute da una ricerca condotta dal marzo ‘95 al marzo ‘96 su un campione di stampa internazionale “di qualità”. L’obiettivo era quello di operare un confronto tra le rappresentazioni di alcune situazioni di rischio internazionale (terrorismo, disastri ecologici, epidemie) da parte dell'offerta italiana ("Corriere della Sera"), francese ("Le Monde"), inglese ("The Times") e tedesca ("Die Welt"), con l’intento di fornire semplici spunti di riflessione su alcuni temi. Due interrogativi hanno guidato la ricerca: a) esistono differenze sostanziali tra le testate nazionali nel comunicare il rischio internazionale? b) la stampa assolve ancora la funzione informativa che l’ha storicamente contraddistinta, tanto da esercitare sul lettore un impatto prettamente cognitivo, opponendo l’approfondimento scritto al sensazionalismo della cultura dell'immagine?

Comunicare il rischio internazionale. Analisi di alcuni quotidiani europei / Antonini, Erica. - In: SOCIOLOGIA. - ISSN 0038-0156. - STAMPA. - XXXII, 2-3:(1998), pp. 209-222.

Comunicare il rischio internazionale. Analisi di alcuni quotidiani europei

ANTONINI, Erica
1998

Abstract

In recent years we have witnessed, in the social sciences, to a genuine proliferation of work on the issue of risk, so as to assume the emergence of a veritable "culture of risk". Such a revival of interest may be motivated by the consideration that the "danger level" of social life has gone considerably increasing over the years, but is this really so? In fact, in the first place, if on one hand the technological advancement has made it possible to cope with unexpected and minimize impacts much more than in the past, as well, the nature of "socialized" is in many respects more unreliable compared to the pre-modern . The techno-scientific progress has also gradually canceled the distances of space and time, creating wider interdependence and introducing new risks, often invisible but serious consequences, its a system that has become global, seemingly distant individual experience (according to that " "sequestration of experience '," which, according to Giddens, is becoming increasingly necessary confidence in abstract systems, which, for Beck, the risk to undergo a process of "" social definition "") but still be able to have a significant impact on prospects in life. In this way, uncertainty and "risk culture" appear privileged categories of late modernity. Along the lines of this in mind, we report here the impressions received from a survey conducted in March '95 to March '96 on a sample of international press of "quality." The goal was to make a comparison between the performances of some situations of international risk (terrorism, ecological disasters, epidemics) by the Italian bid ("" Corriere della Sera ""), French ("" Le Monde "" ), English ("" The Times "") and German ("" Die Welt ""), with the aim of providing simple food for thought on some issues. Two questions guided the research: a) there are substantial differences between the national newspapers in communicating the risk internationally? b) printing still serves the function information that has historically marked, so as to exert an impact player on the cognitive side, opposing the deepening wrote to the sensationalism of the culture of the image?
1998
Negli ultimi anni si è assistito, nelle scienze sociali, ad un’autentica proliferazione di lavori sul tema del rischio, tanto da far ipotizzare l’emergere di una vera e propria “cultura del rischio”. Un tale risveglio di interesse potrebbe essere motivato dalla considerazione che il “livello di pericolosità” della vita sociale si sia andato notevolmente accrescendo negli anni: ma le cose stanno davvero così? In realtà, in primo luogo, se da un lato l’avanzamento tecnologico ha reso possibile fronteggiare imprevisti e minimizzarne gli impatti molto più che in passato, pure, la natura “socializzata” risulta sotto molti aspetti più inaffidabile rispetto all’epoca pre-moderna. Il progresso tecno-scientifico ha, inoltre, gradatamente annullato le distanze spazio-temporali, creando più ampia interdipendenza e introducendo nuovi rischi, spesso invisibili ma di gravi conseguenze, propri di un sistema divenuto globale, apparentemente distanti dall’esperienza individuale (secondo quel "sequestro dell'esperienza",che, secondo Giddens, rende sempre più necessaria la fiducia nei sistemi astratti, che, per Beck, sottopongono il rischio a un processo di "definizione sociale") ma comunque in grado di incidere significativamente sulle prospettive di vita. In tal modo, incertezza e “cultura del rischio” appaiono categorie privilegiate della tarda modernità. Sulla falsariga di queste premesse, si riportano in questa sede le impressioni ricevute da una ricerca condotta dal marzo ‘95 al marzo ‘96 su un campione di stampa internazionale “di qualità”. L’obiettivo era quello di operare un confronto tra le rappresentazioni di alcune situazioni di rischio internazionale (terrorismo, disastri ecologici, epidemie) da parte dell'offerta italiana ("Corriere della Sera"), francese ("Le Monde"), inglese ("The Times") e tedesca ("Die Welt"), con l’intento di fornire semplici spunti di riflessione su alcuni temi. Due interrogativi hanno guidato la ricerca: a) esistono differenze sostanziali tra le testate nazionali nel comunicare il rischio internazionale? b) la stampa assolve ancora la funzione informativa che l’ha storicamente contraddistinta, tanto da esercitare sul lettore un impatto prettamente cognitivo, opponendo l’approfondimento scritto al sensazionalismo della cultura dell'immagine?
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Comunicare il rischio internazionale. Analisi di alcuni quotidiani europei / Antonini, Erica. - In: SOCIOLOGIA. - ISSN 0038-0156. - STAMPA. - XXXII, 2-3:(1998), pp. 209-222.
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