Il recente restauro ha reso accessibile Villa Müller a Praga (1928-32) in tutta la sua seducente policromia ad un pubblico assuefatto alle poche foto storiche. Qui Loos, invalido e quasi cieco, utilizza il colore secondo modalità e obiettivi differenti, che meritano di essere analizzati soprattutto per il loro intrinseco riverbero sociale e psicologico. L’analisi proposta si fonda sull’ipotesi che la villa costituisca una metafora architettonica dell’individuo immerso nella tumultuosa società mitteleuropea degli anni’30, rimarcando mediante appositi topo-cromogrammi, il ruolo del colore in tre aspetti primari: la sua sfuggente presenza urbana, la labirintica concatenazione interna e l’organizzazione dei singoli ambienti. L’edificio è un prisma opaco, refrattario alle trasparenze moderniste, con informali bucature che non concedono nulla al decoro urbano: una grigia divisa che protegge l’anonimato dei suoi abitanti. Ma varcata la soglia scavata nel travertino ci accolgono pavimenti rossi, pareti verdi, soffitti blu, legni, marmi, tappeti. L’interno evidenzia la schizofrenia della sua concezione, frammentato in clusters colorati dove le finestre servono ad illuminare e non a guardare fuori o a orientarsi. Qui la distribuzione dell’hôtel particulier settecentesco, l’enfilade di sale qualificate dagli ornamenti, viene declinata in una meandriforme traiettoria tridimensionale, dove gli ambienti sono autonomamente proporzionati e rivestiti da materiali naturali e colori artificiali che convivono in modo sorprendente. Una visita diretta produce nella memoria il senso di un variopinto paesaggio, che il committente/costruttore contribuisce ad allestire come un ricco campionario da mostrare agli ospiti. Le apparenti contraddizioni sono amplificate dalle ambagi, dalle porte segrete e dagli specchi: ostacoli e dettagli che dilatano i tempi di percorrenza, quasi ad evocare una soggettiva durée bergsoniana, e moltiplicano virtualmente le spazialità interne, metafora delle perversioni latenti nella psiche. Loos lascia i contrasti forti per gli ambienti di servizio e caratterizza gli spazi serviti con carte decorate, essenze e pietre venate: superfici di valore grafico ma dai toni più spenti, che più “naturalmente” accolgono la presenza umana. Il colore segue regole eterne, come quella degli abbinamenti tra tinte complementari, subordinate alla scelta dei materiali naturali, per assumere un ruolo prettamente narrativo, in grado di saltare dal teatrale tricolore francofilo dell’atrio alle aristocratiche venature del mogano dello studio, fino alle tinte sature e disneyane dalla sala dei giochi, mettendo in scena gli infiniti atti dell’animo umano.

Ornamento, delitto e colore / Colonnese, Fabio. - ELETTRONICO. - VII A:(2011), pp. 207-214. (Intervento presentato al convegno VII Conferenza Nazionale del Colore tenutosi a Roma nel 15-16 settembre 2011).

Ornamento, delitto e colore

COLONNESE, Fabio
2011

Abstract

Il recente restauro ha reso accessibile Villa Müller a Praga (1928-32) in tutta la sua seducente policromia ad un pubblico assuefatto alle poche foto storiche. Qui Loos, invalido e quasi cieco, utilizza il colore secondo modalità e obiettivi differenti, che meritano di essere analizzati soprattutto per il loro intrinseco riverbero sociale e psicologico. L’analisi proposta si fonda sull’ipotesi che la villa costituisca una metafora architettonica dell’individuo immerso nella tumultuosa società mitteleuropea degli anni’30, rimarcando mediante appositi topo-cromogrammi, il ruolo del colore in tre aspetti primari: la sua sfuggente presenza urbana, la labirintica concatenazione interna e l’organizzazione dei singoli ambienti. L’edificio è un prisma opaco, refrattario alle trasparenze moderniste, con informali bucature che non concedono nulla al decoro urbano: una grigia divisa che protegge l’anonimato dei suoi abitanti. Ma varcata la soglia scavata nel travertino ci accolgono pavimenti rossi, pareti verdi, soffitti blu, legni, marmi, tappeti. L’interno evidenzia la schizofrenia della sua concezione, frammentato in clusters colorati dove le finestre servono ad illuminare e non a guardare fuori o a orientarsi. Qui la distribuzione dell’hôtel particulier settecentesco, l’enfilade di sale qualificate dagli ornamenti, viene declinata in una meandriforme traiettoria tridimensionale, dove gli ambienti sono autonomamente proporzionati e rivestiti da materiali naturali e colori artificiali che convivono in modo sorprendente. Una visita diretta produce nella memoria il senso di un variopinto paesaggio, che il committente/costruttore contribuisce ad allestire come un ricco campionario da mostrare agli ospiti. Le apparenti contraddizioni sono amplificate dalle ambagi, dalle porte segrete e dagli specchi: ostacoli e dettagli che dilatano i tempi di percorrenza, quasi ad evocare una soggettiva durée bergsoniana, e moltiplicano virtualmente le spazialità interne, metafora delle perversioni latenti nella psiche. Loos lascia i contrasti forti per gli ambienti di servizio e caratterizza gli spazi serviti con carte decorate, essenze e pietre venate: superfici di valore grafico ma dai toni più spenti, che più “naturalmente” accolgono la presenza umana. Il colore segue regole eterne, come quella degli abbinamenti tra tinte complementari, subordinate alla scelta dei materiali naturali, per assumere un ruolo prettamente narrativo, in grado di saltare dal teatrale tricolore francofilo dell’atrio alle aristocratiche venature del mogano dello studio, fino alle tinte sature e disneyane dalla sala dei giochi, mettendo in scena gli infiniti atti dell’animo umano.
2011
VII Conferenza Nazionale del Colore
Adolf Loos; colore in architettura; Villa Muller
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Ornamento, delitto e colore / Colonnese, Fabio. - ELETTRONICO. - VII A:(2011), pp. 207-214. (Intervento presentato al convegno VII Conferenza Nazionale del Colore tenutosi a Roma nel 15-16 settembre 2011).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/471388
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