Il testo, che raccoglie 16 interviste testimoniali, rivolte ad architetti, urbanisti, sociologi e psicologi, punta a far luce su una questione delicata: la sinergia tra scienze progettuali e del sociale. Il nodo del problema, sottolineato dall'intervento di presentazione, si colloca oltre la semplice “ri-composizione” di progetto e necessità umane, di decisioni e reazioni, di forme architettoniche e processi psicologici... oltre le dichiarazioni retoriche, oltre il banalizzante “buonismo”. Il nodo è nella sfida di un sincretismo iniziale delle scelte. Infatti, come fa notare Pullara, nella sua Presentazione, il patto non è affatto scontato. L’andare “oltre lo steccato culturale” di cui ci raccontano i 16 (9 progettisti + 7 scienziati sociali) è un percorso carico di difficoltà, di incomprensioni, di ostilità. Siamo infatti paradossalmente al cospetto di una doppia frontiera o, per dir meglio, di una frontiera al quadrato costituita dalla “doppia coppia” architettura/urbanistica da un lato e psicologia/sociologia dall’altro, e, nella fattispecie, ci troviamo di fronte a due coppie “separate in casa”: edificio-contesto e uomo-società. Coppie che bisticciano da sempre internamente tra loro... per le quali si rende ancor più difficile la coalizione con l’esterno e, faticosissimo il superare le interne dissonanze per esternalizzare i propri obiettivi, perseguendo all’unisono, e trasversalmente, lo scopo umano del progetto, lo scopo sociale dell’intervento di quartiere, urbano, territoriale. La sequenza delle interviste ci dà modo di cogliere la persistenza di una rigida frontiera, di una rifusione, difficile da raggiungere, verso l’unico augurabile obiettivo del progetto, il quale dovrebbe essere, semplicemente, fare le cose del mondo per l’abitare dell’uomo. Ciò che si legge è il registro della fatica, dei tempi lunghi, dei grandi costi, del dispendio di personale aggiuntivo, necessario ai processi sinergici e/o partecipativi. L'intervento di presentazione sottolinea come il Moderno ci abbia insegnato ,nell’indicarci la necessità di un suo superamento, che non deve esistere teoria staccata dalla pratica ... che è la pratica che fa la teoria e che l’utopia è il desiderio, la spinta, l’energia, la brama di mettere in pratica una teoria buona, delle buone idee, degli approcci buoni. Bauman, Touraine, Dubet, Beck, Giddens, Hitzler ... filosofi, sociologi e antropologi “ri-costruttivi”, hanno lanciato all’architettura una sfida. Al disarmo e alla “deriva disciplinare”, nella quale era facile affogare, travolti dal processo di “de-modernizzazione” della società ... questi scienziati hanno contrapposto l'impegno “trasformativo”, il re-indirizzamento della realtà e la ricerca di fattori agglutinanti anche nella “vita liquida” del nostro tempo. La sociologia “trasformativa” di questi autori è intervento più che analisi, è impegno etico/politico, è “utopia positiva”. È più che scienza. È, per usare la più nota definizione di Charles Wright Mills, “immaginazione sociologica”. E’, quindi, più che mai progetto. Il libro curato da Elena Bilotta e Marino Bonaiuto, insiste e porta in primo piano l'assoluta necessità di un“joint planning”, magica espressione di Gifford (2002).

Fare Utopia / Dell'Aira, Paola Veronica. - (2012). (Intervento presentato al convegno P.V.Dell'Aira, Fare Utopia, Intervento alla presentazione del libro a cura di E.Bilotta e M.Bonaiuto. Casa dell'Architettura, Roma 21/06/2012).

Fare Utopia

DELL'AIRA, Paola Veronica
2012

Abstract

Il testo, che raccoglie 16 interviste testimoniali, rivolte ad architetti, urbanisti, sociologi e psicologi, punta a far luce su una questione delicata: la sinergia tra scienze progettuali e del sociale. Il nodo del problema, sottolineato dall'intervento di presentazione, si colloca oltre la semplice “ri-composizione” di progetto e necessità umane, di decisioni e reazioni, di forme architettoniche e processi psicologici... oltre le dichiarazioni retoriche, oltre il banalizzante “buonismo”. Il nodo è nella sfida di un sincretismo iniziale delle scelte. Infatti, come fa notare Pullara, nella sua Presentazione, il patto non è affatto scontato. L’andare “oltre lo steccato culturale” di cui ci raccontano i 16 (9 progettisti + 7 scienziati sociali) è un percorso carico di difficoltà, di incomprensioni, di ostilità. Siamo infatti paradossalmente al cospetto di una doppia frontiera o, per dir meglio, di una frontiera al quadrato costituita dalla “doppia coppia” architettura/urbanistica da un lato e psicologia/sociologia dall’altro, e, nella fattispecie, ci troviamo di fronte a due coppie “separate in casa”: edificio-contesto e uomo-società. Coppie che bisticciano da sempre internamente tra loro... per le quali si rende ancor più difficile la coalizione con l’esterno e, faticosissimo il superare le interne dissonanze per esternalizzare i propri obiettivi, perseguendo all’unisono, e trasversalmente, lo scopo umano del progetto, lo scopo sociale dell’intervento di quartiere, urbano, territoriale. La sequenza delle interviste ci dà modo di cogliere la persistenza di una rigida frontiera, di una rifusione, difficile da raggiungere, verso l’unico augurabile obiettivo del progetto, il quale dovrebbe essere, semplicemente, fare le cose del mondo per l’abitare dell’uomo. Ciò che si legge è il registro della fatica, dei tempi lunghi, dei grandi costi, del dispendio di personale aggiuntivo, necessario ai processi sinergici e/o partecipativi. L'intervento di presentazione sottolinea come il Moderno ci abbia insegnato ,nell’indicarci la necessità di un suo superamento, che non deve esistere teoria staccata dalla pratica ... che è la pratica che fa la teoria e che l’utopia è il desiderio, la spinta, l’energia, la brama di mettere in pratica una teoria buona, delle buone idee, degli approcci buoni. Bauman, Touraine, Dubet, Beck, Giddens, Hitzler ... filosofi, sociologi e antropologi “ri-costruttivi”, hanno lanciato all’architettura una sfida. Al disarmo e alla “deriva disciplinare”, nella quale era facile affogare, travolti dal processo di “de-modernizzazione” della società ... questi scienziati hanno contrapposto l'impegno “trasformativo”, il re-indirizzamento della realtà e la ricerca di fattori agglutinanti anche nella “vita liquida” del nostro tempo. La sociologia “trasformativa” di questi autori è intervento più che analisi, è impegno etico/politico, è “utopia positiva”. È più che scienza. È, per usare la più nota definizione di Charles Wright Mills, “immaginazione sociologica”. E’, quindi, più che mai progetto. Il libro curato da Elena Bilotta e Marino Bonaiuto, insiste e porta in primo piano l'assoluta necessità di un“joint planning”, magica espressione di Gifford (2002).
2012
P.V.Dell'Aira, Fare Utopia, Intervento alla presentazione del libro a cura di E.Bilotta e M.Bonaiuto. Casa dell'Architettura, Roma 21/06/2012
04 Pubblicazione in atti di convegno::04d Abstract in atti di convegno
Fare Utopia / Dell'Aira, Paola Veronica. - (2012). (Intervento presentato al convegno P.V.Dell'Aira, Fare Utopia, Intervento alla presentazione del libro a cura di E.Bilotta e M.Bonaiuto. Casa dell'Architettura, Roma 21/06/2012).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/470434
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