Una funzione principalmente compromessa nel soggetto ipovedente è la sensibilità al contrasto di cui a tutt’oggi non se ne tiene conto nelle diverse classificazioni dell’ipovisione. Il sistema visivo è in grado di rispondere bene a varie distribuzioni di luminanza sia spaziali che temporali, mentre risponde poco a stimoli di luminanza uniforme. Secondo la legge di Weber è la differenza in percentuale tra i livelli di luminosità tra oggetto e sfondo che rende l’oggetto facile da riconoscere, non solo la differenza dei valori assoluti di luminosità. Per studiare questa funzione, definita in inglese Contrast Sensitivity Function (CSF), ci basiamo sul rilievo delle soglie di sensibilità al contrasto spaziale e/o temporale. La ricerca scientifica ha dimostrato che il sistema migliore per studiare la sensibilità al contrasto è utilizzare stimoli periodici nelle dimensioni (cioè in base alle frequenze spaziali) e/o nel tempo (cioè in base alle frequenze temporali). In termini matematici, prendendo in considerazione uno stimolo a barre sinusoidali, il contrasto è definibile come la differenza tra la luminosità massima e la luminosità minima divisa la loro somma: CONTRASTO = Lmax – Lmin / Lmax + Lmin, dove Lmax è la luminosità massima presente al centro della barra chiara e Lmin è la luminosità minima presente al centro della barra scura. I valori del contrasto variano da un minimo di 0 (nessuna differenza di luminosità tra due barre) ad un massimo di 1 (una barra completamente nera rispetto all’altra completamente bianca), oppure possono essere espressi da una percentuale (0–100%). La sensibilità al contrasto è rappresentata da un grafico in cui in ascisse vengono riportate le frequenze spaziali e in ordinate la sensibilità al contrasto o il suo inverso. La misura della sensibilità al contrasto spaziale può essere eseguita essenzialmente in due diversi modi: utilizzando speciali ottotipi a frequenza spaziale definita con simboli a contrasto via via decrescente (tavole a basso contrasto di Cambridge, di Regan e Neima o di Pelli Robson etc.), oppure utilizzando stimoli a barre con contrasto e frequenza spaziale variabile (tavole VCTS, FACT, SWCT, lettere E, strumenti View-in o Sistemi computer-video etc.). Gli Autori riportano ancora i diversi fattori che influenzano tale funzione quali: la luminanza, il diametro pupillare, il potere rifrattivo, la localizzazione retinica, l’effetto dell’età e l’illuminamento. A conclusione, gli Autori prpongono di inserire anche questa funzione nelle classi d’invalidità.

Valutazione della sensibilità al contrasto nel soggetto ipovedente / Pescosolido, Nicola; Evangelista, Mariasilvia. - In: IPOVISIONE. - STAMPA. - 34:10(2010), pp. 14-18.

Valutazione della sensibilità al contrasto nel soggetto ipovedente

PESCOSOLIDO, Nicola;EVANGELISTA, MARIASILVIA
2010

Abstract

Una funzione principalmente compromessa nel soggetto ipovedente è la sensibilità al contrasto di cui a tutt’oggi non se ne tiene conto nelle diverse classificazioni dell’ipovisione. Il sistema visivo è in grado di rispondere bene a varie distribuzioni di luminanza sia spaziali che temporali, mentre risponde poco a stimoli di luminanza uniforme. Secondo la legge di Weber è la differenza in percentuale tra i livelli di luminosità tra oggetto e sfondo che rende l’oggetto facile da riconoscere, non solo la differenza dei valori assoluti di luminosità. Per studiare questa funzione, definita in inglese Contrast Sensitivity Function (CSF), ci basiamo sul rilievo delle soglie di sensibilità al contrasto spaziale e/o temporale. La ricerca scientifica ha dimostrato che il sistema migliore per studiare la sensibilità al contrasto è utilizzare stimoli periodici nelle dimensioni (cioè in base alle frequenze spaziali) e/o nel tempo (cioè in base alle frequenze temporali). In termini matematici, prendendo in considerazione uno stimolo a barre sinusoidali, il contrasto è definibile come la differenza tra la luminosità massima e la luminosità minima divisa la loro somma: CONTRASTO = Lmax – Lmin / Lmax + Lmin, dove Lmax è la luminosità massima presente al centro della barra chiara e Lmin è la luminosità minima presente al centro della barra scura. I valori del contrasto variano da un minimo di 0 (nessuna differenza di luminosità tra due barre) ad un massimo di 1 (una barra completamente nera rispetto all’altra completamente bianca), oppure possono essere espressi da una percentuale (0–100%). La sensibilità al contrasto è rappresentata da un grafico in cui in ascisse vengono riportate le frequenze spaziali e in ordinate la sensibilità al contrasto o il suo inverso. La misura della sensibilità al contrasto spaziale può essere eseguita essenzialmente in due diversi modi: utilizzando speciali ottotipi a frequenza spaziale definita con simboli a contrasto via via decrescente (tavole a basso contrasto di Cambridge, di Regan e Neima o di Pelli Robson etc.), oppure utilizzando stimoli a barre con contrasto e frequenza spaziale variabile (tavole VCTS, FACT, SWCT, lettere E, strumenti View-in o Sistemi computer-video etc.). Gli Autori riportano ancora i diversi fattori che influenzano tale funzione quali: la luminanza, il diametro pupillare, il potere rifrattivo, la localizzazione retinica, l’effetto dell’età e l’illuminamento. A conclusione, gli Autori prpongono di inserire anche questa funzione nelle classi d’invalidità.
2010
Sensibilità al contrasto; Soggetto ipovedente; Luminanza; Diametro pupillare
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Valutazione della sensibilità al contrasto nel soggetto ipovedente / Pescosolido, Nicola; Evangelista, Mariasilvia. - In: IPOVISIONE. - STAMPA. - 34:10(2010), pp. 14-18.
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