La tesi di dottorato Fuori e dentro il ghetto: ebrei e istituzioni ebraiche nella Roma della Controriforma analizza in profondità i rapporti tra ebrei e cristiani a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Il lavoro è stato condotto su una varietà di fonti archivistiche che vanno dalla schedatura analitica dei protocolli in ebraico e in volgare del fondo Notai Ebrei dell’Archivio Capitolino, alla ricerca dei documenti amministrativi della Camera Apostolica utili per l’indagine, ai registri degli ospedali romani che intrattenevano rapporti d’affari con gli ebrei, alla carte processuali delle magistrature ordinarie e ai fascicoli del S. Uffizio romano fino a comprendere i bandi, gli editti e la produzione legislativa contemporanea in genere. Si tratta di fonti non soltanto inedite ma, per larga parte, solo sporadicamente consultate per il periodo in questione e per il tema in oggetto dagli studiosi di storia moderna. In questo contesto particolare attenzione è stata riservata ai protocolli dei Notai Ebrei. Questi registri, infatti, rappresentano un esempio quantitativamente e qualitativamente eccezionale di testimonianza dall’interno della vita di un gruppo ebraico. Queste carte redatte in ebraico da notai ebrei, per un pubblico di ebrei ma con valore probante se esibiti di fronte a un tribunale ordinario, raccolgono in serie continua, per un secolo, notizie e informazioni complete sulla comunità che li commissionava. L’arco cronologico prescelto - che coincide, grosso modo, con l’ultimo quarto del Cinquecento - è stato selezionato sia sulla base della storiografia a disposizione (che, in linea di massima, si è concentrata negli ultimi anni sui secoli conclusivi dell’età dei ghetti) che in considerazione delle caratteristiche proprie alle fonti considerate specialmente significative per la ricerca e che sembravano segnalare come terreno promettente, oltre che inesplorato, proprio la fase iniziale del periodo. La finalità della tesi, dunque, è quella di esaminare l’impatto sulle condizioni materiali e culturali degli ebrei di Roma di un evento traumatico e di rottura per la loro storia quale fu l’erezione del ghetto nel 1555. I nuclei principali tematici ma anche interpretativi del lavoro riguardano le modalità dello scambio tra comunità minoritaria e società maggioritaria, valutato sia sul piano dell’economia che su quello delle dinamiche culturali. Rientra in questa prospettiva di attenzione alle pratiche sociali “fuori” e “dentro” ghetto anche l’analisi minuziosa delle trasformazioni delle relazioni interne e dell’organizzazione della comunità degli ebrei di Roma messe in atto di fronte alla nuova situazione. I capitolo (Non solo banchieri: gli ebrei nella Roma della Controriforma) affronta le questioni del ruolo economico degli ebrei nella società cittadina a partire dalla descrizione analitica di un processo per spaccio di moneta falsa intentato nel 1594 contro Salomone di Casciano Ram, banchiere rampollo di una prestigiosa famiglia di banchieri ebrei. Attraverso le testimonianze di Salomone, dei suoi soci e conoscenti e la ricostruzione dei percorsi professionali e familiari di buona parte degli indagati - svolta grazie ai dati emersi dalla schedatura delle diverse fonti esaminate per la ricerca - emerge la persistenza di una fitta rete di relazioni personali e istituzionali tra ebrei e cristiani, sia fuori che dentro la città di Roma, nello svolgimento della vita quotidiana e lavorativa. Il ruolo centrale dei banchieri ebrei tanto nell’economia della città quanto nel controllo del potere nel ghetto appare rafforzato rispetto al periodo precedente e incardinato su una diffusa rete di relazioni tessute anche al di fuori di Roma, sulla propensione alla mobilità e su un’innegabile disponibilità al rischio: la posizione predominante dei banchieri comprende, infatti, anche, la diversificazione degli investimenti e un’imprenditorialità allargata finora poco nota negli ospedali e nella gestione dei posti di mercato che si rivelano, anzi, tappe fondamentali nella realizzazione delle carriere professionali e degli avanzamenti sociali legati a queste. Il II capitolo (Dentro il ghetto: istituzioni e società ebraiche nell’età confessionale) mette in luce il paradosso di una situazione istituzionale e giuridica dell’Universitas Judeorum apparentemente immutata rispetto all’età precedente il ghetto, ancora regolamentata dai Capitoli di Daniel da Pisa del 1524, ma che, in realtà, assiste all’ingresso nella gestione politica e amministrativa di soggetti culturali, i rabbini, fino ad allora relegati alla conduzione di questioni di natura esclusivamente religiosa, che rafforzano, attraverso il sapere normativo e dottrinale, il ristretto gruppo dirigente. L’individuazione dei soggetti chiamati a compiti di responsabilità sia nella risoluzione dei conflitti interni che nella conduzione della res publica comunitaria delinea il profilo di una classe dirigente compatta e coesa in cui, le restrizioni della strategia conversionistica della Controriforma, hanno prodotto cambiamenti significativi: mai prima di allora, infatti, i rabbini avevano ricoperto nella Universitas romana ruoli burocratici e di controllo di tanta responsabilità e tale inedita situazione sembra adombrare, anche in ambiente ebraico, i termini del fenomeno del confessionalismo così significativo in ambito cristiano. L’analisi in profondità delle trasformazioni interne dell’organizzazione della comunità degli ebrei di Roma di fronte alla nuova situazione determinata dall’applicazione della Cum nimis absurdum, d’altro canto, coincide, in gran parte, con l’esame della trasformazioni occorse alla sua classe dirigente. Tale esame, a sua volta, va condotto “fuori dal ghetto” per reperire notizie sul ruolo di questa e sui suoi comportamenti all’esterno del microcosmo ebraico. Per queste ragioni il III capitolo (Separati in casa: ebrei e cristiani nella Roma della Controriforma) torna a discutere la vita “fuori dal ghetto” e attraverso i complessi e privilegiati rapporti degli imprenditori ebrei con il cardinal camerlengo, avvia il discorso sulla formazione dell’immaginario reciproco, anche grazie all’esame del ruolo di mediatori svolto dai neofiti. L’analisi prende le mosse dalla descrizione di uno strumento normativo - l’inhibitio in Curia ratione foenoris - rilasciato dal camerlengo ai banchieri ebrei di Roma, in forza del quale il cardinale esercita la privativa giurisdizione sull’operato dei prestatori del ghetto; l’inhibitio crea rapporti duraturi tra la classe dirigente ebraica e alcuni esponenti della Curia essenziali sia nell’esercizio delle attività individuali di singoli personaggi che nell’espletazione dei compiti dell’Universitas Judeorum che ai medesimi individui vengono delegati e, attraverso tali relazioni, interviene nelle strategie di potere interne alle magistrature dello Stato della Chiesa e sanciscefortune e successi delle famiglie ebraiche. Al di là dei legami intrecciati nelle sfere dirigenziali, la rete delle relazioni ebraico-cristiane si mantiene vivissima anche negli strati sociali inferiori. L’esame di alcuni processi per furto e truffa in cui sono invischiati ebrei, sia in veste di testimoni che come indagati, dimostra, infatti, che mentre, da una parte, le amicizie più o meno occasionali tra ebrei e cristiani rimangono un elemento essenziale del vissuto quotidiano della città, dall’altra tali frequentazioni, progressivamente, cambiano di segno e di significato e diventano possibili solo e soltanto in presenza di intermediari sentiti come affidabili da tutti gli interessati perché personalmente conosciuti; in questo quadro, naturalmente, una parte centrale è giocata dai neofiti. La differenziazione tra ebreo reale - percepito in termini amichevoli in quanto soggetto conosciuto de visu - e ebreo immaginario - sentito, invece, come pericoloso e pienamente conforme alle raffigurazioni tratteggiate dalla propaganda - si fa via via più marcata e, attraverso la simbologia legata alla medicina ebraica, introduce la problematica del IV capitolo (Le parole per dirlo: il cognome Astrologo tra curiosità e pregiudizi) che affronta i difficili nodi della sfera della mentalità e delle rappresentazioni culturali attraverso l’analisi di uno stereotipo di lunga durata che attribuisce all’ebreo e ai suoi costumi caratteri magici e di vicinanza con la sfera della stregoneria. L’inclusione degli ebrei nel campo inquisitoriale sancita nel 1581 dalla costituzione Antiqua Iudaeorum Improbitas e il successivo allargamento di questo alla lotta antisuperstiziosa ingaggiata a partire dall’operato di Sisto V Peretti (in particolare con le bolle Coeli et Terrae creator Deus e Immensa Aeterni Dei) accelerano questo processo di scollamento; le notizie sulla “percezione” della pericolosità del mondo ebraico da parte dell’Inquisizione e di coloro che ne denunciano i membri al S. Uffizio, infatti, descrivono una difficoltà di relazione lontanissima dai dati “oggettivi” della presenza, in fondo pacifica e accettata, di quegli stessi ebrei nella vita quotidiana. L’etimologia del cognome Astrologo fornisce, da questo punto di vista, informazioni interessanti e a questa particolare vicenda è dedicato l'ultimo capitolo del lavoro.

Fuori e dentro il ghetto: ebrei e istituzioni ebraiche nella Roma della Controriforma / DI NEPI, Serena. - (2007).

Fuori e dentro il ghetto: ebrei e istituzioni ebraiche nella Roma della Controriforma

DI NEPI, SERENA
01/01/2007

Abstract

La tesi di dottorato Fuori e dentro il ghetto: ebrei e istituzioni ebraiche nella Roma della Controriforma analizza in profondità i rapporti tra ebrei e cristiani a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Il lavoro è stato condotto su una varietà di fonti archivistiche che vanno dalla schedatura analitica dei protocolli in ebraico e in volgare del fondo Notai Ebrei dell’Archivio Capitolino, alla ricerca dei documenti amministrativi della Camera Apostolica utili per l’indagine, ai registri degli ospedali romani che intrattenevano rapporti d’affari con gli ebrei, alla carte processuali delle magistrature ordinarie e ai fascicoli del S. Uffizio romano fino a comprendere i bandi, gli editti e la produzione legislativa contemporanea in genere. Si tratta di fonti non soltanto inedite ma, per larga parte, solo sporadicamente consultate per il periodo in questione e per il tema in oggetto dagli studiosi di storia moderna. In questo contesto particolare attenzione è stata riservata ai protocolli dei Notai Ebrei. Questi registri, infatti, rappresentano un esempio quantitativamente e qualitativamente eccezionale di testimonianza dall’interno della vita di un gruppo ebraico. Queste carte redatte in ebraico da notai ebrei, per un pubblico di ebrei ma con valore probante se esibiti di fronte a un tribunale ordinario, raccolgono in serie continua, per un secolo, notizie e informazioni complete sulla comunità che li commissionava. L’arco cronologico prescelto - che coincide, grosso modo, con l’ultimo quarto del Cinquecento - è stato selezionato sia sulla base della storiografia a disposizione (che, in linea di massima, si è concentrata negli ultimi anni sui secoli conclusivi dell’età dei ghetti) che in considerazione delle caratteristiche proprie alle fonti considerate specialmente significative per la ricerca e che sembravano segnalare come terreno promettente, oltre che inesplorato, proprio la fase iniziale del periodo. La finalità della tesi, dunque, è quella di esaminare l’impatto sulle condizioni materiali e culturali degli ebrei di Roma di un evento traumatico e di rottura per la loro storia quale fu l’erezione del ghetto nel 1555. I nuclei principali tematici ma anche interpretativi del lavoro riguardano le modalità dello scambio tra comunità minoritaria e società maggioritaria, valutato sia sul piano dell’economia che su quello delle dinamiche culturali. Rientra in questa prospettiva di attenzione alle pratiche sociali “fuori” e “dentro” ghetto anche l’analisi minuziosa delle trasformazioni delle relazioni interne e dell’organizzazione della comunità degli ebrei di Roma messe in atto di fronte alla nuova situazione. I capitolo (Non solo banchieri: gli ebrei nella Roma della Controriforma) affronta le questioni del ruolo economico degli ebrei nella società cittadina a partire dalla descrizione analitica di un processo per spaccio di moneta falsa intentato nel 1594 contro Salomone di Casciano Ram, banchiere rampollo di una prestigiosa famiglia di banchieri ebrei. Attraverso le testimonianze di Salomone, dei suoi soci e conoscenti e la ricostruzione dei percorsi professionali e familiari di buona parte degli indagati - svolta grazie ai dati emersi dalla schedatura delle diverse fonti esaminate per la ricerca - emerge la persistenza di una fitta rete di relazioni personali e istituzionali tra ebrei e cristiani, sia fuori che dentro la città di Roma, nello svolgimento della vita quotidiana e lavorativa. Il ruolo centrale dei banchieri ebrei tanto nell’economia della città quanto nel controllo del potere nel ghetto appare rafforzato rispetto al periodo precedente e incardinato su una diffusa rete di relazioni tessute anche al di fuori di Roma, sulla propensione alla mobilità e su un’innegabile disponibilità al rischio: la posizione predominante dei banchieri comprende, infatti, anche, la diversificazione degli investimenti e un’imprenditorialità allargata finora poco nota negli ospedali e nella gestione dei posti di mercato che si rivelano, anzi, tappe fondamentali nella realizzazione delle carriere professionali e degli avanzamenti sociali legati a queste. Il II capitolo (Dentro il ghetto: istituzioni e società ebraiche nell’età confessionale) mette in luce il paradosso di una situazione istituzionale e giuridica dell’Universitas Judeorum apparentemente immutata rispetto all’età precedente il ghetto, ancora regolamentata dai Capitoli di Daniel da Pisa del 1524, ma che, in realtà, assiste all’ingresso nella gestione politica e amministrativa di soggetti culturali, i rabbini, fino ad allora relegati alla conduzione di questioni di natura esclusivamente religiosa, che rafforzano, attraverso il sapere normativo e dottrinale, il ristretto gruppo dirigente. L’individuazione dei soggetti chiamati a compiti di responsabilità sia nella risoluzione dei conflitti interni che nella conduzione della res publica comunitaria delinea il profilo di una classe dirigente compatta e coesa in cui, le restrizioni della strategia conversionistica della Controriforma, hanno prodotto cambiamenti significativi: mai prima di allora, infatti, i rabbini avevano ricoperto nella Universitas romana ruoli burocratici e di controllo di tanta responsabilità e tale inedita situazione sembra adombrare, anche in ambiente ebraico, i termini del fenomeno del confessionalismo così significativo in ambito cristiano. L’analisi in profondità delle trasformazioni interne dell’organizzazione della comunità degli ebrei di Roma di fronte alla nuova situazione determinata dall’applicazione della Cum nimis absurdum, d’altro canto, coincide, in gran parte, con l’esame della trasformazioni occorse alla sua classe dirigente. Tale esame, a sua volta, va condotto “fuori dal ghetto” per reperire notizie sul ruolo di questa e sui suoi comportamenti all’esterno del microcosmo ebraico. Per queste ragioni il III capitolo (Separati in casa: ebrei e cristiani nella Roma della Controriforma) torna a discutere la vita “fuori dal ghetto” e attraverso i complessi e privilegiati rapporti degli imprenditori ebrei con il cardinal camerlengo, avvia il discorso sulla formazione dell’immaginario reciproco, anche grazie all’esame del ruolo di mediatori svolto dai neofiti. L’analisi prende le mosse dalla descrizione di uno strumento normativo - l’inhibitio in Curia ratione foenoris - rilasciato dal camerlengo ai banchieri ebrei di Roma, in forza del quale il cardinale esercita la privativa giurisdizione sull’operato dei prestatori del ghetto; l’inhibitio crea rapporti duraturi tra la classe dirigente ebraica e alcuni esponenti della Curia essenziali sia nell’esercizio delle attività individuali di singoli personaggi che nell’espletazione dei compiti dell’Universitas Judeorum che ai medesimi individui vengono delegati e, attraverso tali relazioni, interviene nelle strategie di potere interne alle magistrature dello Stato della Chiesa e sanciscefortune e successi delle famiglie ebraiche. Al di là dei legami intrecciati nelle sfere dirigenziali, la rete delle relazioni ebraico-cristiane si mantiene vivissima anche negli strati sociali inferiori. L’esame di alcuni processi per furto e truffa in cui sono invischiati ebrei, sia in veste di testimoni che come indagati, dimostra, infatti, che mentre, da una parte, le amicizie più o meno occasionali tra ebrei e cristiani rimangono un elemento essenziale del vissuto quotidiano della città, dall’altra tali frequentazioni, progressivamente, cambiano di segno e di significato e diventano possibili solo e soltanto in presenza di intermediari sentiti come affidabili da tutti gli interessati perché personalmente conosciuti; in questo quadro, naturalmente, una parte centrale è giocata dai neofiti. La differenziazione tra ebreo reale - percepito in termini amichevoli in quanto soggetto conosciuto de visu - e ebreo immaginario - sentito, invece, come pericoloso e pienamente conforme alle raffigurazioni tratteggiate dalla propaganda - si fa via via più marcata e, attraverso la simbologia legata alla medicina ebraica, introduce la problematica del IV capitolo (Le parole per dirlo: il cognome Astrologo tra curiosità e pregiudizi) che affronta i difficili nodi della sfera della mentalità e delle rappresentazioni culturali attraverso l’analisi di uno stereotipo di lunga durata che attribuisce all’ebreo e ai suoi costumi caratteri magici e di vicinanza con la sfera della stregoneria. L’inclusione degli ebrei nel campo inquisitoriale sancita nel 1581 dalla costituzione Antiqua Iudaeorum Improbitas e il successivo allargamento di questo alla lotta antisuperstiziosa ingaggiata a partire dall’operato di Sisto V Peretti (in particolare con le bolle Coeli et Terrae creator Deus e Immensa Aeterni Dei) accelerano questo processo di scollamento; le notizie sulla “percezione” della pericolosità del mondo ebraico da parte dell’Inquisizione e di coloro che ne denunciano i membri al S. Uffizio, infatti, descrivono una difficoltà di relazione lontanissima dai dati “oggettivi” della presenza, in fondo pacifica e accettata, di quegli stessi ebrei nella vita quotidiana. L’etimologia del cognome Astrologo fornisce, da questo punto di vista, informazioni interessanti e a questa particolare vicenda è dedicato l'ultimo capitolo del lavoro.
2007
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/436866
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