In the collection of writings on hospitality, Jacques Derrida regards the figure of the stranger as one of "the one who asks the first question," and "she is addressing the first question": breaking into a reality that calls into question between us. From this suggestion can be gauged to decipher the hypothesis in question that migration flows (in particular of Islamic worship) pose to Western cities, a specific request for acceptance that counts as a possible overcoming of tolerance. A question about a possible "manufacture" of new legal space, which can be guided by the understanding of language invoked by Anne Dufourmantelle (Derrida, Defourmantelle, 2000, p. 23), when he recalls that, in Hebrew, the future, or rather the "make time" is equivalent to "invite". Words that refer to the production of the time, the future in space, as bargain of two or more subjects, and where is the contribution of the other to produce a profound change, due to '' I am the host that appears and that traumatizes "(ibid.). In this sense, the future of Western cities can be thought of as the meeting between different spatial orders, even from the historical externality / strangeness of the places of Muslim worship at the orthogonal grid, more familiar to western cities and, in particular, to those of the Roman system (see Fusaro, 1984).

Nella raccolta di scritti sull’Ospitalità, Jacques Derrida riguarda la figura dello straniero come quella di “colui che pone la prima domanda” e “al quale si rivolge la prima domanda”: una realtà che irrompendo tra noi ci mette in questione. Da questa suggestione può essere desunta l’ipotesi di decifrare, nella domanda che i flussi migratori (in particolare di culto islamico) pongono alle città occidentali, una specifica richiesta di accoglienza che valga come possibile oltrepassamento della tolleranza. Una domanda su una possibile “fabbricazione” di nuovi ordinamenti spaziali, che può ispirarsi a quella intelligenza del linguaggio richiamata da Anne Dufourmantelle (Deridda, Defourmantelle, 2000, p. 23), quando ricorda che, in ebraico, l’avvenire, o meglio il “fabbricare il tempo”, equivale a “invitare”. Parole che rimandano alla produzione del tempo, dell’avvenire nello spazio, come affare di due soggetti o più; e dove è l’apporto dell’altro a produrre un cambiamento profondo, dovuto all’«eccomi dell’ospite che compare e che traumatizza» (ibid.). In questo senso, l’avvenire delle città occidentali può essere pensato come l’incontro tra ordinamenti spaziali diversi; anche a partire dalla storica esternità/estraneità dei luoghi del culto musulmano alla griglia ortogonale, più consueta per le città occidentali e, in particolare, per quelle d’impianto romano (cfr. Fusaro, 1984).

Per una visibilità incondizionata. Ospitalità, città e moschee / DE LEO, Daniela; A., Belli. - In: CRIOS. - ISSN 2279-8986. - STAMPA. - 2:2(2011), pp. 57-66.

Per una visibilità incondizionata. Ospitalità, città e moschee

DE LEO, DANIELA;
2011

Abstract

In the collection of writings on hospitality, Jacques Derrida regards the figure of the stranger as one of "the one who asks the first question," and "she is addressing the first question": breaking into a reality that calls into question between us. From this suggestion can be gauged to decipher the hypothesis in question that migration flows (in particular of Islamic worship) pose to Western cities, a specific request for acceptance that counts as a possible overcoming of tolerance. A question about a possible "manufacture" of new legal space, which can be guided by the understanding of language invoked by Anne Dufourmantelle (Derrida, Defourmantelle, 2000, p. 23), when he recalls that, in Hebrew, the future, or rather the "make time" is equivalent to "invite". Words that refer to the production of the time, the future in space, as bargain of two or more subjects, and where is the contribution of the other to produce a profound change, due to '' I am the host that appears and that traumatizes "(ibid.). In this sense, the future of Western cities can be thought of as the meeting between different spatial orders, even from the historical externality / strangeness of the places of Muslim worship at the orthogonal grid, more familiar to western cities and, in particular, to those of the Roman system (see Fusaro, 1984).
2011
Nella raccolta di scritti sull’Ospitalità, Jacques Derrida riguarda la figura dello straniero come quella di “colui che pone la prima domanda” e “al quale si rivolge la prima domanda”: una realtà che irrompendo tra noi ci mette in questione. Da questa suggestione può essere desunta l’ipotesi di decifrare, nella domanda che i flussi migratori (in particolare di culto islamico) pongono alle città occidentali, una specifica richiesta di accoglienza che valga come possibile oltrepassamento della tolleranza. Una domanda su una possibile “fabbricazione” di nuovi ordinamenti spaziali, che può ispirarsi a quella intelligenza del linguaggio richiamata da Anne Dufourmantelle (Deridda, Defourmantelle, 2000, p. 23), quando ricorda che, in ebraico, l’avvenire, o meglio il “fabbricare il tempo”, equivale a “invitare”. Parole che rimandano alla produzione del tempo, dell’avvenire nello spazio, come affare di due soggetti o più; e dove è l’apporto dell’altro a produrre un cambiamento profondo, dovuto all’«eccomi dell’ospite che compare e che traumatizza» (ibid.). In questo senso, l’avvenire delle città occidentali può essere pensato come l’incontro tra ordinamenti spaziali diversi; anche a partire dalla storica esternità/estraneità dei luoghi del culto musulmano alla griglia ortogonale, più consueta per le città occidentali e, in particolare, per quelle d’impianto romano (cfr. Fusaro, 1984).
ospitalità; condizionata; incondizionata; moschee; città
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Per una visibilità incondizionata. Ospitalità, città e moschee / DE LEO, Daniela; A., Belli. - In: CRIOS. - ISSN 2279-8986. - STAMPA. - 2:2(2011), pp. 57-66.
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