Firmitas, utilitas, venustas. Con questi tre termini Vitruvio, un secolo prima di Cristo, nel terzo dei dieci libri che compongono il “De Architectura” esprime i fondamenti a cui si deve rivolgere l’architettura. Firmitas la solidità la consistenza, utilitas l’utilità, venustas la bellezza. Nei tempi gli architetti hanno mantenuto uno stretto rapporto con questi tre principi, considerandoli come cardini e sostegni a cui riferirsi in ogni momento del proprio progettare. Nei duemila anni che ci separano da Vitruvio abbiamo testimonianze concrete, attraverso le opere che i maestri che ci hanno lasciato, di come gli architetti abbiano usato questi tre ingredienti. Se è pur vero che questi tre fondamenti hanno assunto nel tempo diversi significati e soluzioni, sempre è stato riconosciuto nella figura dell’architetto il crogiolo dove queste tre componenti si fondevano per ottenere l’impasto, l’amalgama che è l’architettura. Ai tempi attuali dovremo tradurre questi termini in: firmitas la statica, la tecnologia, la tecnica del costruire; utilitas la funzione che deve assumere l’architettura; venustas la forma, ma anche i rapporti e le relazioni tra le parti. Ora, nell’architettura contemporanea, assistiamo spesso ad una separazione dei tre principi della triade, infatti questi sono sempre più l’espressione di personalità distinte, di solisti ognuno esperto nell’uso del proprio strumento. È evidente a tutti che i materiali e le nuove tecnologie implicano un’indispensabile specializzazione tecnica e che quindi si debba intendere il progetto come il risultato sinergico di personalità e specializzazioni diverse. È pur vero però che l’architetto sempre più si è appropriato della forma intesa come libera interpretazione ed il tecnico o come realizzatore fisico osservante delle convenienze tecnologiche o, all’opposto, come artefice di ardite ed autonome sperimentazioni. Viviamo quindi nelle nuove architettura un’evidente alternanza a secondo della capacità di imporsi delle personalità dei vari artefici, ora molto tecnologiche, ora molto formali; purtroppo, in gran parte di esse, l’utilitas sembra avere un ruolo sempre più marginale e secondario. Nel campo della forma architettonica le nuove tecnologie informatiche permettono di immaginare configurazioni spaziali di grandissimo impatto emotivo e di innegabile fascino. Con un qualsiasi modellatore, poste due linee in maniera totalmente arbitraria, con un semplice comando, è possibile, in questo spazio virtuale tridimensionale, far costruire dall’elaboratore la superficie tesa tra le due linee. Improvvisamente la forma assume un nuovo significato e si appropria di una libertà gestuale pressoché infinita. Come naturale conseguenza, Il fascino di questo nuovo modo di percepire e di gestire la forma virtuale è stato prontamente conquistato e asservito alla sperimentazione architettonica. Ma tra la forma virtuale e il suo concretizzarsi in forma fisica, che sottostà quindi alle leggi della natura, il passaggio è talmente radicale che spesso la forma cambia le sue qualità. Viviamo una vera dicotomia tra la forma ideale ma resa realistica dal modellatore e la realizzazione fisica della forma stessa. Dicotomia che sempre più accentua il distacco tra il progetto come idea astratta di vivere lo spazio e il suo realizzarsi come fatto concreto sottoposto alle sollecitazioni naturali come il peso, il movimento, il clima, ecc. Abbiamo quindi provato ad affrontare il tema simbolo dell’architettura, la copertura, con spirito fortemente progettuale ed artigianale unendo nella sperimentazione quello che le nuove tecnologie tecniche ed informatiche propongono per risolvere il tema con semplici accorgimenti costruttivi. L’intenzione di queste sperimentazioni è quindi di avere una forma d’innegabile fascino, gestita con materiali e strumenti di facile reperimento che ripropone una progettazione integrale tra forma, geometria e tecnica di costruzione.

Ragionamenti sulla forma e sul controllo / Casale, Andrea; Valenti, Graziano Mario; Calvano, Michele. - (2011). (Intervento presentato al convegno Architettura e Prototipi tenutosi a roma).

Ragionamenti sulla forma e sul controllo

CASALE, Andrea;VALENTI, Graziano Mario;CALVANO, MICHELE
2011

Abstract

Firmitas, utilitas, venustas. Con questi tre termini Vitruvio, un secolo prima di Cristo, nel terzo dei dieci libri che compongono il “De Architectura” esprime i fondamenti a cui si deve rivolgere l’architettura. Firmitas la solidità la consistenza, utilitas l’utilità, venustas la bellezza. Nei tempi gli architetti hanno mantenuto uno stretto rapporto con questi tre principi, considerandoli come cardini e sostegni a cui riferirsi in ogni momento del proprio progettare. Nei duemila anni che ci separano da Vitruvio abbiamo testimonianze concrete, attraverso le opere che i maestri che ci hanno lasciato, di come gli architetti abbiano usato questi tre ingredienti. Se è pur vero che questi tre fondamenti hanno assunto nel tempo diversi significati e soluzioni, sempre è stato riconosciuto nella figura dell’architetto il crogiolo dove queste tre componenti si fondevano per ottenere l’impasto, l’amalgama che è l’architettura. Ai tempi attuali dovremo tradurre questi termini in: firmitas la statica, la tecnologia, la tecnica del costruire; utilitas la funzione che deve assumere l’architettura; venustas la forma, ma anche i rapporti e le relazioni tra le parti. Ora, nell’architettura contemporanea, assistiamo spesso ad una separazione dei tre principi della triade, infatti questi sono sempre più l’espressione di personalità distinte, di solisti ognuno esperto nell’uso del proprio strumento. È evidente a tutti che i materiali e le nuove tecnologie implicano un’indispensabile specializzazione tecnica e che quindi si debba intendere il progetto come il risultato sinergico di personalità e specializzazioni diverse. È pur vero però che l’architetto sempre più si è appropriato della forma intesa come libera interpretazione ed il tecnico o come realizzatore fisico osservante delle convenienze tecnologiche o, all’opposto, come artefice di ardite ed autonome sperimentazioni. Viviamo quindi nelle nuove architettura un’evidente alternanza a secondo della capacità di imporsi delle personalità dei vari artefici, ora molto tecnologiche, ora molto formali; purtroppo, in gran parte di esse, l’utilitas sembra avere un ruolo sempre più marginale e secondario. Nel campo della forma architettonica le nuove tecnologie informatiche permettono di immaginare configurazioni spaziali di grandissimo impatto emotivo e di innegabile fascino. Con un qualsiasi modellatore, poste due linee in maniera totalmente arbitraria, con un semplice comando, è possibile, in questo spazio virtuale tridimensionale, far costruire dall’elaboratore la superficie tesa tra le due linee. Improvvisamente la forma assume un nuovo significato e si appropria di una libertà gestuale pressoché infinita. Come naturale conseguenza, Il fascino di questo nuovo modo di percepire e di gestire la forma virtuale è stato prontamente conquistato e asservito alla sperimentazione architettonica. Ma tra la forma virtuale e il suo concretizzarsi in forma fisica, che sottostà quindi alle leggi della natura, il passaggio è talmente radicale che spesso la forma cambia le sue qualità. Viviamo una vera dicotomia tra la forma ideale ma resa realistica dal modellatore e la realizzazione fisica della forma stessa. Dicotomia che sempre più accentua il distacco tra il progetto come idea astratta di vivere lo spazio e il suo realizzarsi come fatto concreto sottoposto alle sollecitazioni naturali come il peso, il movimento, il clima, ecc. Abbiamo quindi provato ad affrontare il tema simbolo dell’architettura, la copertura, con spirito fortemente progettuale ed artigianale unendo nella sperimentazione quello che le nuove tecnologie tecniche ed informatiche propongono per risolvere il tema con semplici accorgimenti costruttivi. L’intenzione di queste sperimentazioni è quindi di avere una forma d’innegabile fascino, gestita con materiali e strumenti di facile reperimento che ripropone una progettazione integrale tra forma, geometria e tecnica di costruzione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/407873
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