Questa ricerca trae spunto dall’attuale situazione di crisi dell’architettura italiana, riscontrabile nella perdita di riconoscibilità della stessa in campo internazionale. In un editoriale di «Casabella» del 1955, dal titolo la tradizione dell’architettura moderna italiana, Rogers osserva che le caratteristiche identificative dell’architettura italiana risiedono in «una equilibrata ripartizione dei pieni e dei vuoti» e nel perseguimento di «una estetica il cui particolare gusto è di estrinsecare sinceramente il rapporto tra l’utilità e la bellezza». A ciò si aggiunge un particolare tratto operativo che contraddistingue gli architetti italiani, e cioè la versatilità intesa come tendenza a spaziare su temi che vanno dall’arredamento all’urbanistica. Il che rappresenta – secondo Rogers – la completa espressione di una concezione umanistica dell’architettura. Ora, se in questa concezione umanistica va ricercato il filo rosso che ha collegato la storia dell’architettura italiana nei secoli, questo stesso umanesimo non rischia oggi di rivelarsi inoperativo? In un momento storico in cui l’azione estetica assume le sembianze della seduzione, in cui la riflessione si sposta dal conoscere al sentire, e di fronte a una concezione sempre meno umanistica delle arti e dei mestieri, come si colloca la nostra disciplina? Come ha reagito l’architettura italiana a questo mutamento di orizzonti? Ovvero: esiste un’architettura italiana, oggi? Citato in: A. Capuano, Temi e figure dell'architettura romana 1944-2004, Gangemi, Roma, 2005, pagg.22-23.

Esiste un'architettura italiana? La crisi dell'architettura italiana tra teoria e prassi / Raitano, Manuela. - STAMPA. - (2001).

Esiste un'architettura italiana? La crisi dell'architettura italiana tra teoria e prassi

RAITANO, Manuela
01/01/2001

Abstract

Questa ricerca trae spunto dall’attuale situazione di crisi dell’architettura italiana, riscontrabile nella perdita di riconoscibilità della stessa in campo internazionale. In un editoriale di «Casabella» del 1955, dal titolo la tradizione dell’architettura moderna italiana, Rogers osserva che le caratteristiche identificative dell’architettura italiana risiedono in «una equilibrata ripartizione dei pieni e dei vuoti» e nel perseguimento di «una estetica il cui particolare gusto è di estrinsecare sinceramente il rapporto tra l’utilità e la bellezza». A ciò si aggiunge un particolare tratto operativo che contraddistingue gli architetti italiani, e cioè la versatilità intesa come tendenza a spaziare su temi che vanno dall’arredamento all’urbanistica. Il che rappresenta – secondo Rogers – la completa espressione di una concezione umanistica dell’architettura. Ora, se in questa concezione umanistica va ricercato il filo rosso che ha collegato la storia dell’architettura italiana nei secoli, questo stesso umanesimo non rischia oggi di rivelarsi inoperativo? In un momento storico in cui l’azione estetica assume le sembianze della seduzione, in cui la riflessione si sposta dal conoscere al sentire, e di fronte a una concezione sempre meno umanistica delle arti e dei mestieri, come si colloca la nostra disciplina? Come ha reagito l’architettura italiana a questo mutamento di orizzonti? Ovvero: esiste un’architettura italiana, oggi? Citato in: A. Capuano, Temi e figure dell'architettura romana 1944-2004, Gangemi, Roma, 2005, pagg.22-23.
2001
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