Il contributo affronta l’analisi critica dei quattro palazzi romani rappresentati nell’opera grafica di Antonio Lafréri: palazzo Farnese, la casa di Raffaello, il fronte verso il giardino del cortile di palazzo Farnese, palazzo Stati (poi Cenci, Maccarani, Brazzà) e palazzo Alberini (poi Cicciaporci, Calderari). Tralasciando palazzo Farnese, lo studio approfondisce gli altri tre edifici che hanno in comune l’impiego degli ordini architettonici in prospetto, con il fine di trarre alcune considerazioni sulla modalità del Lafréri di interpretare questa tipologia di facciata e di valutare l’attendibilità delle sue incisioni. La puntuale osservazione della riproduzione di palazzo Caprini, con una fronte a cinque assi di aperture, simmetrica rispetto al portale d’ingresso (senza specificare l’affaccio su Borgo Nuovo o su piazza Scossacavalli), ha permesso di verificare che il prospetto è raffigurato con una leggera inclinazione che accentua la «prospettiva» da sotto in su e risulta diviso in due in altezza con un rapporto tra la parte basamentale e la quota totale al cornicione pari circa a 1:2, con minime differenze a seconda che si considerino le misure in palmi romani indicate nella xilografia, quelle della facciata effettivamente incisa o quelle ricavabili dal disegno RIBA. Questa relazione proporzionale, che quantifica la gerarchizzazione tra le porzioni che costituiscono il fronte della casa di Raffaello, è risultata compatibile con la quota del pavimento del piano nobile e con quella dell’estradosso del solaio del livello superiore dell’edificio demolito nel 1937: circostanza che ha portato ad escludere la presenza di un piano sottotetto (come appare nello schizzo RIBA) e che, per la diversità tra l’imposta delle finestre del mezzanino del Lafréri e il calpestio dello stesso livello del palazzo al 1937, ha fatto ipotizzare un intervento di ristrutturazione dell’ammezzato dopo il 1576. Inoltre, confrontando la disposizione degli assi delle aperture su via Alessandrina e su Scossacavalli, nel disegno planimetrico di Ottaviano Mascherino (1591-1603), nelle due serie di piante degli anni trenta del Novecento e nelle fotografie dell’Album delle demolizioni del 1937, con quanto inciso da Lafréri (facendo anche riferimento alle ipotesi avanzate dalla critica architettonica: Gnoli 1887; Frommel 1973; Bruschi 1989), si può notare che nella xilografia la lunghezza della facciata è notevolmente maggiore. Questa riflessione solleva alcune perplessità sull’attendibilità della rappresentazione cinquecentesca e sulle interpretazioni della reale consistenza del palazzetto bramantesco, nonostante Lafréri abbia definito con puntualità le proporzioni dell’intera fronte e dei partiti architettonici che la compongono. Il medesimo approfondimento critico è stato portato avanti per palazzo Stati (attribuito a Giulio Romano), riprodotto dal Lafréri con un prospetto simmetricamente impostato su cinque campate con portale in asse, in esatta rispondenza con la sua reale consistenza, e per palazzo Alberini (di scuola raffaellesca), raffigurato con cinque assi di aperture disposti in maniera simmetrica rispetto al portale centrale e con un risvolto in prospettiva sul lato destro, che non trova riscontro nel rilievo di Antonio Sarti del 1864. L’esame dettagliato dei tre edifici ha evidenziato che Lafréri, nelle sue incisioni, ha delineato la casa dei Caprini e il palazzo Alberini lontani dalla realtà costruita, completandone le facciate in maniera simmetrica in aderenza ad una classicità rigidamente intesa; operazione che non ha attuato per palazzo Stati, già pressoché simmetrico nella sua concretezza costruttiva. Considerazioni che mettono in discussione la credibilità documentale tradizionalmente attribuita al Lafréri e che lasciano intendere che dopo l’esempio di palazzo Caprini e il fallimento tecnico-costruttivo della soluzione bramantesca, l’incisore abbia rappresentato le esperienze di Raffaello e della generazione successiva di architetti che rinuncia alla plasticità della superficie muraria per soluzioni più linearistiche (bugnato non più rustico; paraste e ordini a fascia al posto di semicolonne), che si contrappongono al sangallesco palazzo Farnese, che elimina l’ordine architettonico in facciata e attribuisce rilevanza ai rapporti proporzionali tra le fasce gerarchizzate dei piani e alla parete ritmata dalle finestre.

Considerazioni sulla rappresentazione di Antonio Lafreri dei palazzi romani del primo Cinquecento / DAL MAS, Roberta Maria. - In: QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA. - ISSN 0485-4152. - STAMPA. - Fascicolo 53:Nuova Serie(2010), pp. 47-50.

Considerazioni sulla rappresentazione di Antonio Lafreri dei palazzi romani del primo Cinquecento

DAL MAS, Roberta Maria
2010

Abstract

Il contributo affronta l’analisi critica dei quattro palazzi romani rappresentati nell’opera grafica di Antonio Lafréri: palazzo Farnese, la casa di Raffaello, il fronte verso il giardino del cortile di palazzo Farnese, palazzo Stati (poi Cenci, Maccarani, Brazzà) e palazzo Alberini (poi Cicciaporci, Calderari). Tralasciando palazzo Farnese, lo studio approfondisce gli altri tre edifici che hanno in comune l’impiego degli ordini architettonici in prospetto, con il fine di trarre alcune considerazioni sulla modalità del Lafréri di interpretare questa tipologia di facciata e di valutare l’attendibilità delle sue incisioni. La puntuale osservazione della riproduzione di palazzo Caprini, con una fronte a cinque assi di aperture, simmetrica rispetto al portale d’ingresso (senza specificare l’affaccio su Borgo Nuovo o su piazza Scossacavalli), ha permesso di verificare che il prospetto è raffigurato con una leggera inclinazione che accentua la «prospettiva» da sotto in su e risulta diviso in due in altezza con un rapporto tra la parte basamentale e la quota totale al cornicione pari circa a 1:2, con minime differenze a seconda che si considerino le misure in palmi romani indicate nella xilografia, quelle della facciata effettivamente incisa o quelle ricavabili dal disegno RIBA. Questa relazione proporzionale, che quantifica la gerarchizzazione tra le porzioni che costituiscono il fronte della casa di Raffaello, è risultata compatibile con la quota del pavimento del piano nobile e con quella dell’estradosso del solaio del livello superiore dell’edificio demolito nel 1937: circostanza che ha portato ad escludere la presenza di un piano sottotetto (come appare nello schizzo RIBA) e che, per la diversità tra l’imposta delle finestre del mezzanino del Lafréri e il calpestio dello stesso livello del palazzo al 1937, ha fatto ipotizzare un intervento di ristrutturazione dell’ammezzato dopo il 1576. Inoltre, confrontando la disposizione degli assi delle aperture su via Alessandrina e su Scossacavalli, nel disegno planimetrico di Ottaviano Mascherino (1591-1603), nelle due serie di piante degli anni trenta del Novecento e nelle fotografie dell’Album delle demolizioni del 1937, con quanto inciso da Lafréri (facendo anche riferimento alle ipotesi avanzate dalla critica architettonica: Gnoli 1887; Frommel 1973; Bruschi 1989), si può notare che nella xilografia la lunghezza della facciata è notevolmente maggiore. Questa riflessione solleva alcune perplessità sull’attendibilità della rappresentazione cinquecentesca e sulle interpretazioni della reale consistenza del palazzetto bramantesco, nonostante Lafréri abbia definito con puntualità le proporzioni dell’intera fronte e dei partiti architettonici che la compongono. Il medesimo approfondimento critico è stato portato avanti per palazzo Stati (attribuito a Giulio Romano), riprodotto dal Lafréri con un prospetto simmetricamente impostato su cinque campate con portale in asse, in esatta rispondenza con la sua reale consistenza, e per palazzo Alberini (di scuola raffaellesca), raffigurato con cinque assi di aperture disposti in maniera simmetrica rispetto al portale centrale e con un risvolto in prospettiva sul lato destro, che non trova riscontro nel rilievo di Antonio Sarti del 1864. L’esame dettagliato dei tre edifici ha evidenziato che Lafréri, nelle sue incisioni, ha delineato la casa dei Caprini e il palazzo Alberini lontani dalla realtà costruita, completandone le facciate in maniera simmetrica in aderenza ad una classicità rigidamente intesa; operazione che non ha attuato per palazzo Stati, già pressoché simmetrico nella sua concretezza costruttiva. Considerazioni che mettono in discussione la credibilità documentale tradizionalmente attribuita al Lafréri e che lasciano intendere che dopo l’esempio di palazzo Caprini e il fallimento tecnico-costruttivo della soluzione bramantesca, l’incisore abbia rappresentato le esperienze di Raffaello e della generazione successiva di architetti che rinuncia alla plasticità della superficie muraria per soluzioni più linearistiche (bugnato non più rustico; paraste e ordini a fascia al posto di semicolonne), che si contrappongono al sangallesco palazzo Farnese, che elimina l’ordine architettonico in facciata e attribuisce rilevanza ai rapporti proporzionali tra le fasce gerarchizzate dei piani e alla parete ritmata dalle finestre.
2010
Antonio Lafreri; Palazzi Cinquecento; Palazzo Caprini
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Considerazioni sulla rappresentazione di Antonio Lafreri dei palazzi romani del primo Cinquecento / DAL MAS, Roberta Maria. - In: QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA. - ISSN 0485-4152. - STAMPA. - Fascicolo 53:Nuova Serie(2010), pp. 47-50.
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