The aim of this essay is to analyse the presence and value of the “catalogue” form in some literary texts when it is used in connection with the urban landscape. The catalogue is a very ancient rhetorical figure. In its long history one can identify some constant elements, but also a number of discontinuities, profound breaks, and finally, as I wish to demonstrate, a change of function. And all these transformations are particularly evident in those texts in which the catalogue is not used to represent natural places or interior scenes, but the very site of modernity: the city. In the development traced in this study, one can see a progressive falling apart of this particular form. Catalogues have always been, to a certain extent, open structures: it is impossible to enumerate everything. But the basic idea, still valid at the beginning of the parable described in this essay, i.e. the eighteenth century, is that reality is something ordered and knowable; consequently, the writer only has to “translate” that order into words. In more recent times, however, and particularly in relation with the disquieting modern urban experience, catalogues tend to become more and more incongruous. At this point the catalogue is no longer a means to range things but, on the contrary, a privileged device to represent chaos. This great change is examined with particular reference to: Daniel Defoe, A Journal of the Plague Year; William Wordsworth, The Prelude: Book VII; Edgar Allan Poe, The Man of the Crowd; John Dos Passos, Manhattan Transfer.

L’intento di questo studio è di analizzare, all’interno di alcuni testi letterari, la presenza e il valore della forma “catalogo” laddove essa è utilizzata in riferimento al panorama urbano. Il catalogo è una figura retorica con un’antichissima tradizione alle spalle. In questa lunga storia si possono individuare delle costanti, ma anche delle discontinuità, delle fratture profonde e infine, come intendo mostrare, un cambiamento di funzione. E tali trasformazioni divengono particolarmente evidenti nei testi in cui il catalogo è chiamato a rappresentare non paesaggi naturali o scene di interni, ma il luogo per eccellenza della modernità: la città. Nel percorso tracciato in questo saggio si può osservare un progressivo sfaldarsi della forma catalogo. Una certa apertura è da sempre connaturata a tale forma: non si può davvero elencare tutto. L’idea fondamentale, ancora in parte valida all’inizio della parabola qui ricostruita, ossia nel diciottesimo secolo, è però che la realtà sia ordinata e conoscibile: lo scrittore, in un certo senso, non deve far altro che enunciare, mettere in parole quell’ordine. In tempi e autori più recenti, e soprattutto in rapporto all’esperienza sconcertante per la sua complessità della metropoli moderna, il catalogo si fa invece progressivamente incongruo. A questo punto esso smette di essere strumento di organizzazione della realtà e diventa, al contrario, figura principe per la rappresentazione del caos. Questa grande trasformazione è analizzata con particolare riferimento a: Daniel Defoe, A Journal of the Plague Year; William Wordsworth, The Prelude: Book VII; Edgar Allan Poe, The Man of the Crowd; John Dos Passos, Manhattan Transfer.

"Cataloghi urbani. Metamorfosi dell'enumerazione da Defoe a Dos Passos" / Talarico, Laura. - In: FICTIONS. - ISSN 1721-3673. - STAMPA. - 6 "Metropoli ordine caso II", a cura di Rosy Colombo:(2008), pp. 25-37. [10.1400/92680]

"Cataloghi urbani. Metamorfosi dell'enumerazione da Defoe a Dos Passos"

TALARICO, Laura
2008

Abstract

The aim of this essay is to analyse the presence and value of the “catalogue” form in some literary texts when it is used in connection with the urban landscape. The catalogue is a very ancient rhetorical figure. In its long history one can identify some constant elements, but also a number of discontinuities, profound breaks, and finally, as I wish to demonstrate, a change of function. And all these transformations are particularly evident in those texts in which the catalogue is not used to represent natural places or interior scenes, but the very site of modernity: the city. In the development traced in this study, one can see a progressive falling apart of this particular form. Catalogues have always been, to a certain extent, open structures: it is impossible to enumerate everything. But the basic idea, still valid at the beginning of the parable described in this essay, i.e. the eighteenth century, is that reality is something ordered and knowable; consequently, the writer only has to “translate” that order into words. In more recent times, however, and particularly in relation with the disquieting modern urban experience, catalogues tend to become more and more incongruous. At this point the catalogue is no longer a means to range things but, on the contrary, a privileged device to represent chaos. This great change is examined with particular reference to: Daniel Defoe, A Journal of the Plague Year; William Wordsworth, The Prelude: Book VII; Edgar Allan Poe, The Man of the Crowd; John Dos Passos, Manhattan Transfer.
2008
L’intento di questo studio è di analizzare, all’interno di alcuni testi letterari, la presenza e il valore della forma “catalogo” laddove essa è utilizzata in riferimento al panorama urbano. Il catalogo è una figura retorica con un’antichissima tradizione alle spalle. In questa lunga storia si possono individuare delle costanti, ma anche delle discontinuità, delle fratture profonde e infine, come intendo mostrare, un cambiamento di funzione. E tali trasformazioni divengono particolarmente evidenti nei testi in cui il catalogo è chiamato a rappresentare non paesaggi naturali o scene di interni, ma il luogo per eccellenza della modernità: la città. Nel percorso tracciato in questo saggio si può osservare un progressivo sfaldarsi della forma catalogo. Una certa apertura è da sempre connaturata a tale forma: non si può davvero elencare tutto. L’idea fondamentale, ancora in parte valida all’inizio della parabola qui ricostruita, ossia nel diciottesimo secolo, è però che la realtà sia ordinata e conoscibile: lo scrittore, in un certo senso, non deve far altro che enunciare, mettere in parole quell’ordine. In tempi e autori più recenti, e soprattutto in rapporto all’esperienza sconcertante per la sua complessità della metropoli moderna, il catalogo si fa invece progressivamente incongruo. A questo punto esso smette di essere strumento di organizzazione della realtà e diventa, al contrario, figura principe per la rappresentazione del caos. Questa grande trasformazione è analizzata con particolare riferimento a: Daniel Defoe, A Journal of the Plague Year; William Wordsworth, The Prelude: Book VII; Edgar Allan Poe, The Man of the Crowd; John Dos Passos, Manhattan Transfer.
catalogue, city, description, taxonomy, Daniel Defoe, William Wordsworth, Edgar Allan Poe, John Dos Passos
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
"Cataloghi urbani. Metamorfosi dell'enumerazione da Defoe a Dos Passos" / Talarico, Laura. - In: FICTIONS. - ISSN 1721-3673. - STAMPA. - 6 "Metropoli ordine caso II", a cura di Rosy Colombo:(2008), pp. 25-37. [10.1400/92680]
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