L’articolo si occupa del trattamento processuale delle questioni di rito e di merito che possono sorgere nel processo civile, sottolineando in primo luogo la priorità logica delle prime rispetto alle seconde nonché l’esistenza di un ordine interno, ricavabili dall’art. 276 c.p.c., nonché dall’art. 279 c.p.c., che, nel precisare il contenuto delle sentenze definitive e non definitive, indica il ‘livello’ al quale la decisione stessa può arrestarsi. In tale direzione vengono innanzi tutto in considerazione le questioni relative alla potestas iudicandi, ossia le questioni di giurisdizione e di competenza; seguono, quindi, quelle relative ai vizi della domanda dal punto di vista soggettivo (per inidoneità del soggetto ad assumere la qualità di parte, per l’estraneità del soggetto rispetto al rapporto dedotto in giudizio, per mancata integrità del contraddittorio) ed oggettivo (ossia in relazione al petitum e all’individuazione della causa petendi, che possono dar luogo ad una chiusura in rito mediante dichiarazione di nullità) nonché quelle concernenti l’esito del procedimento di notificazione dell’atto introduttivo. Vi sono poi le questioni derivanti da eventi successivi al corretto incardinamento del processo, che integrano fattispecie estintive idonee ad impedire l’emanazione di una pronuncia sull’esistenza o inesistenza del diritto azionato. Ulteriormente successive sono le questioni di merito, concernenti i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio ovvero i fatti estintivi, modificativi ed impeditivi degli effetti giuridici derivanti dai primi. Lo scritto esamina, quindi, le tecniche di decisione di tali questioni, a cominciare dalla scelta a favore dell’economia di giudizio operata dall’art. 187 c.p.c., che riconosce al giudice istruttore, e al giudice monocratico, il potere di ritenere la causa matura per la decisione alla luce di una questione attinente alla potestas iudicandi, di altra pregiudiziale di rito o di una questione preliminare di merito che siano idonee a definire il giudizio. In questa prospettiva, la successiva pronuncia di una sentenza definitiva costituisce conferma della correttezza della valutazione operata dal giudice istruttore (o dal giudice unico) sulla fondatezza della questione; mentre l’emanazione di una sentenza non definitiva (salvo il caso in cui di essa il giudice faccia uso consapevole, al fine di fissare in modo vincolante per il prosieguo del giudizio alcuni punti fermi, corrispondenti a questioni di merito non preliminari) rappresenta l’epilogo patologico, indice dell’erroneità di quella valutazione. Peraltro priorità logica delle questioni e principio di economia processuale (consentono ma) non impongono al giudice, automaticamente ed in tutte le ipotesi, di non esaminare le questioni logicamente successive a quella che gli appare decisiva: salvo il caso di pronuncia definitiva per carenza di potestas iudicandi (effettivamente ostativa rispetto alla pronuncia su oggetto diverso da questa), il giudice, quando definisce il giudizio sulla base di altra questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito che gli paia fondata, può estendere il campo della sua decisione ad altre questioni, per consolidare la tenuta del proprio dictum sulla base di altre rationes decidendi. Il discorso viene quindi sviluppato anche in relazione al regime impugnatorio delle sentenze definitive e non definitive e alle conseguenze di un’eventuale riforma o cassazione di esse, sottolineando che il giudice di primo grado, allorché esercita l’ampio potere discrezionale riconosciutogli dall’art. 187 c.p.c., non deve solo ponderare l’effettiva idoneità della questione a definire in concreto il giudizio in relazione allo svolgimento del processo in quel grado di giudizio, ma anche la tenuta della sentenza così pronunciata in sede di impugnazione nonché le ricadute applicative su quel processo dell’eventuale suo accoglimento.

Economia di giudizio e ordine delle questioni / Vaccarella, Romano. - In: IL GIUSTO PROCESSO CIVILE. - ISSN 1828-311X. - STAMPA. - fascicolo 3(2009), pp. 643-657.

Economia di giudizio e ordine delle questioni

VACCARELLA, ROMANO
2009

Abstract

L’articolo si occupa del trattamento processuale delle questioni di rito e di merito che possono sorgere nel processo civile, sottolineando in primo luogo la priorità logica delle prime rispetto alle seconde nonché l’esistenza di un ordine interno, ricavabili dall’art. 276 c.p.c., nonché dall’art. 279 c.p.c., che, nel precisare il contenuto delle sentenze definitive e non definitive, indica il ‘livello’ al quale la decisione stessa può arrestarsi. In tale direzione vengono innanzi tutto in considerazione le questioni relative alla potestas iudicandi, ossia le questioni di giurisdizione e di competenza; seguono, quindi, quelle relative ai vizi della domanda dal punto di vista soggettivo (per inidoneità del soggetto ad assumere la qualità di parte, per l’estraneità del soggetto rispetto al rapporto dedotto in giudizio, per mancata integrità del contraddittorio) ed oggettivo (ossia in relazione al petitum e all’individuazione della causa petendi, che possono dar luogo ad una chiusura in rito mediante dichiarazione di nullità) nonché quelle concernenti l’esito del procedimento di notificazione dell’atto introduttivo. Vi sono poi le questioni derivanti da eventi successivi al corretto incardinamento del processo, che integrano fattispecie estintive idonee ad impedire l’emanazione di una pronuncia sull’esistenza o inesistenza del diritto azionato. Ulteriormente successive sono le questioni di merito, concernenti i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio ovvero i fatti estintivi, modificativi ed impeditivi degli effetti giuridici derivanti dai primi. Lo scritto esamina, quindi, le tecniche di decisione di tali questioni, a cominciare dalla scelta a favore dell’economia di giudizio operata dall’art. 187 c.p.c., che riconosce al giudice istruttore, e al giudice monocratico, il potere di ritenere la causa matura per la decisione alla luce di una questione attinente alla potestas iudicandi, di altra pregiudiziale di rito o di una questione preliminare di merito che siano idonee a definire il giudizio. In questa prospettiva, la successiva pronuncia di una sentenza definitiva costituisce conferma della correttezza della valutazione operata dal giudice istruttore (o dal giudice unico) sulla fondatezza della questione; mentre l’emanazione di una sentenza non definitiva (salvo il caso in cui di essa il giudice faccia uso consapevole, al fine di fissare in modo vincolante per il prosieguo del giudizio alcuni punti fermi, corrispondenti a questioni di merito non preliminari) rappresenta l’epilogo patologico, indice dell’erroneità di quella valutazione. Peraltro priorità logica delle questioni e principio di economia processuale (consentono ma) non impongono al giudice, automaticamente ed in tutte le ipotesi, di non esaminare le questioni logicamente successive a quella che gli appare decisiva: salvo il caso di pronuncia definitiva per carenza di potestas iudicandi (effettivamente ostativa rispetto alla pronuncia su oggetto diverso da questa), il giudice, quando definisce il giudizio sulla base di altra questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito che gli paia fondata, può estendere il campo della sua decisione ad altre questioni, per consolidare la tenuta del proprio dictum sulla base di altre rationes decidendi. Il discorso viene quindi sviluppato anche in relazione al regime impugnatorio delle sentenze definitive e non definitive e alle conseguenze di un’eventuale riforma o cassazione di esse, sottolineando che il giudice di primo grado, allorché esercita l’ampio potere discrezionale riconosciutogli dall’art. 187 c.p.c., non deve solo ponderare l’effettiva idoneità della questione a definire in concreto il giudizio in relazione allo svolgimento del processo in quel grado di giudizio, ma anche la tenuta della sentenza così pronunciata in sede di impugnazione nonché le ricadute applicative su quel processo dell’eventuale suo accoglimento.
2009
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Economia di giudizio e ordine delle questioni / Vaccarella, Romano. - In: IL GIUSTO PROCESSO CIVILE. - ISSN 1828-311X. - STAMPA. - fascicolo 3(2009), pp. 643-657.
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