Negli anni Sessanta il Trentino si trovava di fronte a una profonda trasformazione. Dopo decenni di emigrazione e marginalità economica, la provincia autonoma avviò un vasto programma di modernizzazione volto a valorizzare le risorse del territorio alpino. Il Piano urbanistico provinciale del 1967, coordinato da Giuseppe Samonà, costituì lo strumento fondamentale di questa strategia: un progetto di area vasta che univa conoscenza cartogra!ca, rappresentazioni territoriali e visione politica ed economica. Qui il disegno non era soltanto normativa, ma vera e propria forma di progetto: un processo capace, attraverso l’analisi del paesaggio, lo studio dei modelli insediativi e l’elaborazione di strategie economiche, di trasformare concretamente i luoghi. Dentro questa cornice prende forma Marilleva realizzata tra la !ne degli anni Sessanta e i primi Settanta in Val di Sole. Non fu un semplice impianto turistico, ma un prototipo urbano in quota, in cui l’idea di città veniva trasferita alla montagna, consentendo di sviluppare economie a più livelli senza snaturare gli insediamenti locali. L’architetto Sergio Giovanazzi (Trento 1937) e l’ingegnere Luciano Perini (Trento 1929-2021) elaborarono il progetto come processo sperimentale, fondato su una rappresentazione integrata del territorio: dalle carte altimetriche e geologiche alle tavole di inserimento paesaggistico, !no ai diagrammi distributivi che regolavano alloggi, servizi e impianti di risalita. Tuttavia, la mancanza di un reale dialogo con la comunità locale generò un aspro conflitto tra popolazione e promotori, culminato nel referendum popolare del 1977 tra gli abitanti della valle solandra. In parte non si consolidò un riconoscimento condiviso sull’esito formale del progetto: la ricerca, volutamente innovativa e distante dalla tradizione costruttiva locale, ne rese di'cile l’accettazione. Al tempo stesso, l’impostazione progettuale – che univa la costruzione architettonica a un vincolo mirato al mantenimento del territorio – determinò un modello di sviluppo turistico diverso da quello di altre zone del Nord Italia, contribuendo alla preservazione paesaggistica che ancora oggi caratterizza l’area. La soluzione costruttiva – prefabbricazione modulare, pilotis e calcestruzzo faccia a vista – non fu solo una scelta tecnica, ma la conseguenza diretta di quel lavoro di rappresentazione e analisi. Le tavole e i diagrammi non descrivevano soltanto lo stato dei luoghi: lo producevano, trasformando la conoscenza cartogra!ca in azione progettuale. La lunga stecca orizzontale, capace di seguire l’orogra!a e ridurre gli scavi, rappresenta l’esito concreto di un metodo che intrecciava lettura del suolo e invenzione tipologica, facendo della montagna un paesaggio abitabile e attrezzato. Il caso di Marilleva si colloca in una più ampia stagione di architettura turistica alpina, in cui il progetto diventa strumento di costruzione territoriale. Esperienze come il Villaggio ENI di Edoardo Gellner a Borca di Cadore o le residenze di Bruno Morassutti mostrano varianti della stessa tensione: dall’uso della cartogra!a e delle sezioni paesistiche per de!nire insediamenti di"usi, !no ai modelli diagrammatici delle stazioni francesi come Les Arcs. Pur di"erenti per scala e linguaggio, questi progetti condividono l’obiettivo di organizzare la montagna come spazio del tempo libero, fondando ogni scelta formale su un lavoro di analisi e rappresentazione capace di guidare la trasformazione del suolo. Marilleva non è solo un episodio della storia del turismo alpino, ma un vero laboratorio di piani!cazione e progetto. Qui l’architettura diventa strumento di trasformazione territoriale, capace di intrecciare visione politica, conoscenza cartogra!ca e invenzione spaziale. La forza del progetto sta soprattutto nel metodo: leggere il suolo e il paesaggio, tradurre queste analisi in rappresentazioni e farle diventare soluzioni costruttive. La rappresentazione non descrive soltanto, ma genera spazio, trasformando l’analisi in paesaggio abitato. Questa sperimentazione anticipa questioni che oggi sono centrali: come coniugare sviluppo economico e tutela ambientale, come governare territori fragili evitando il consumo indiscriminato di suolo, come costruire luoghi per il tempo libero senza ridurre la montagna a sfondo scenogra!co. Ma il caso di Marilleva ricorda anche che il progetto, per essere duraturo, deve farsi patto sociale. La mancata condivisione con la comunità locale, sfociata nel referendum, dimostra quanto la partecipazione sia decisiva: senza dialogo, persino le intuizioni più avanzate rischiano di restare isolate.
Progettare la montagna: la sfida di Marilleva / Maiorano, Stefano. - (2025), pp. 120-123. ( Dodicesimo Forum ProArch, Il progetto al centro Forme, ruolo e comunicazione del progetto di architettura per la trasformazione dei luoghi, Atti di convegno, 13 | 14 novembre 2025 Trento Trento; Italy ).
Progettare la montagna: la sfida di Marilleva
Stefano Maiorano
2025
Abstract
Negli anni Sessanta il Trentino si trovava di fronte a una profonda trasformazione. Dopo decenni di emigrazione e marginalità economica, la provincia autonoma avviò un vasto programma di modernizzazione volto a valorizzare le risorse del territorio alpino. Il Piano urbanistico provinciale del 1967, coordinato da Giuseppe Samonà, costituì lo strumento fondamentale di questa strategia: un progetto di area vasta che univa conoscenza cartogra!ca, rappresentazioni territoriali e visione politica ed economica. Qui il disegno non era soltanto normativa, ma vera e propria forma di progetto: un processo capace, attraverso l’analisi del paesaggio, lo studio dei modelli insediativi e l’elaborazione di strategie economiche, di trasformare concretamente i luoghi. Dentro questa cornice prende forma Marilleva realizzata tra la !ne degli anni Sessanta e i primi Settanta in Val di Sole. Non fu un semplice impianto turistico, ma un prototipo urbano in quota, in cui l’idea di città veniva trasferita alla montagna, consentendo di sviluppare economie a più livelli senza snaturare gli insediamenti locali. L’architetto Sergio Giovanazzi (Trento 1937) e l’ingegnere Luciano Perini (Trento 1929-2021) elaborarono il progetto come processo sperimentale, fondato su una rappresentazione integrata del territorio: dalle carte altimetriche e geologiche alle tavole di inserimento paesaggistico, !no ai diagrammi distributivi che regolavano alloggi, servizi e impianti di risalita. Tuttavia, la mancanza di un reale dialogo con la comunità locale generò un aspro conflitto tra popolazione e promotori, culminato nel referendum popolare del 1977 tra gli abitanti della valle solandra. In parte non si consolidò un riconoscimento condiviso sull’esito formale del progetto: la ricerca, volutamente innovativa e distante dalla tradizione costruttiva locale, ne rese di'cile l’accettazione. Al tempo stesso, l’impostazione progettuale – che univa la costruzione architettonica a un vincolo mirato al mantenimento del territorio – determinò un modello di sviluppo turistico diverso da quello di altre zone del Nord Italia, contribuendo alla preservazione paesaggistica che ancora oggi caratterizza l’area. La soluzione costruttiva – prefabbricazione modulare, pilotis e calcestruzzo faccia a vista – non fu solo una scelta tecnica, ma la conseguenza diretta di quel lavoro di rappresentazione e analisi. Le tavole e i diagrammi non descrivevano soltanto lo stato dei luoghi: lo producevano, trasformando la conoscenza cartogra!ca in azione progettuale. La lunga stecca orizzontale, capace di seguire l’orogra!a e ridurre gli scavi, rappresenta l’esito concreto di un metodo che intrecciava lettura del suolo e invenzione tipologica, facendo della montagna un paesaggio abitabile e attrezzato. Il caso di Marilleva si colloca in una più ampia stagione di architettura turistica alpina, in cui il progetto diventa strumento di costruzione territoriale. Esperienze come il Villaggio ENI di Edoardo Gellner a Borca di Cadore o le residenze di Bruno Morassutti mostrano varianti della stessa tensione: dall’uso della cartogra!a e delle sezioni paesistiche per de!nire insediamenti di"usi, !no ai modelli diagrammatici delle stazioni francesi come Les Arcs. Pur di"erenti per scala e linguaggio, questi progetti condividono l’obiettivo di organizzare la montagna come spazio del tempo libero, fondando ogni scelta formale su un lavoro di analisi e rappresentazione capace di guidare la trasformazione del suolo. Marilleva non è solo un episodio della storia del turismo alpino, ma un vero laboratorio di piani!cazione e progetto. Qui l’architettura diventa strumento di trasformazione territoriale, capace di intrecciare visione politica, conoscenza cartogra!ca e invenzione spaziale. La forza del progetto sta soprattutto nel metodo: leggere il suolo e il paesaggio, tradurre queste analisi in rappresentazioni e farle diventare soluzioni costruttive. La rappresentazione non descrive soltanto, ma genera spazio, trasformando l’analisi in paesaggio abitato. Questa sperimentazione anticipa questioni che oggi sono centrali: come coniugare sviluppo economico e tutela ambientale, come governare territori fragili evitando il consumo indiscriminato di suolo, come costruire luoghi per il tempo libero senza ridurre la montagna a sfondo scenogra!co. Ma il caso di Marilleva ricorda anche che il progetto, per essere duraturo, deve farsi patto sociale. La mancata condivisione con la comunità locale, sfociata nel referendum, dimostra quanto la partecipazione sia decisiva: senza dialogo, persino le intuizioni più avanzate rischiano di restare isolate.| File | Dimensione | Formato | |
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