Il presente intervento si propone di analizzare le posizioni critiche assunte da Giovan Pietro Bellori e Filippo Titi in merito ai grandi cantieri artistici avviati nell’Urbe nella seconda metà del XVII secolo. Il primo, celebre antiquario e raffinato intendente d’arte, mostrò sempre una profonda ostilità verso i decoratori della corrente cortonesca, lanfranchiana e berniniana. Tale visione appare evidente già nel 1664, quando nella Nota delli musei egli taceva del tutto la Galleria di Alessandro VII, forse l’impresa più paradigmatica di tutto il cortonismo. In antitesi, nello Studio (1674) l’abate Titi non solo esprimeva massima stima nei confronti del Berrettini, ma celebrava con entusiasmo anche le grandiose opere che Ciro Ferri, Giacinto Brandi e Giovan Battista Gaulli andavano compiendo in città. A svolgere un ruolo marginale nella guida era invece Carlo Maratti, che non aveva ancora dato prova del proprio valore in simili imprese. Dal canto suo, nella successiva vita manoscritta del pittore Bellori tentava di riabilitare l’immagine del suo pupillo, lodando oltremodo il soffitto di palazzo Altieri e la grandiosa pala dell’altar maggiore di San Carlo al Corso, in cui Maratti – a detta di Bellori – dipinse una ‘macchina’ che poteva stare sullo stesso piano delle cupole affrescate da Cortona, Gaulli e Ferri.
La Roma dei grandi cantieri barocchi (1656–1690): le opinioni divergenti di Giovan Pietro Bellori e Filippo Titi / Ciannarella, Alessio; Pierguidi, Stefano. - (2025), pp. 291-304.
La Roma dei grandi cantieri barocchi (1656–1690): le opinioni divergenti di Giovan Pietro Bellori e Filippo Titi
Ciannarella, Alessio;Pierguidi, Stefano
2025
Abstract
Il presente intervento si propone di analizzare le posizioni critiche assunte da Giovan Pietro Bellori e Filippo Titi in merito ai grandi cantieri artistici avviati nell’Urbe nella seconda metà del XVII secolo. Il primo, celebre antiquario e raffinato intendente d’arte, mostrò sempre una profonda ostilità verso i decoratori della corrente cortonesca, lanfranchiana e berniniana. Tale visione appare evidente già nel 1664, quando nella Nota delli musei egli taceva del tutto la Galleria di Alessandro VII, forse l’impresa più paradigmatica di tutto il cortonismo. In antitesi, nello Studio (1674) l’abate Titi non solo esprimeva massima stima nei confronti del Berrettini, ma celebrava con entusiasmo anche le grandiose opere che Ciro Ferri, Giacinto Brandi e Giovan Battista Gaulli andavano compiendo in città. A svolgere un ruolo marginale nella guida era invece Carlo Maratti, che non aveva ancora dato prova del proprio valore in simili imprese. Dal canto suo, nella successiva vita manoscritta del pittore Bellori tentava di riabilitare l’immagine del suo pupillo, lodando oltremodo il soffitto di palazzo Altieri e la grandiosa pala dell’altar maggiore di San Carlo al Corso, in cui Maratti – a detta di Bellori – dipinse una ‘macchina’ che poteva stare sullo stesso piano delle cupole affrescate da Cortona, Gaulli e Ferri.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


