I manufatti architettonici e i contesti paesaggistici vincolati risultano spesso imprigionati nel recinto storico estetico del concetto di Patrimonio. Nel Parco dell’Appia Antica, per esempio, una precisa politica vincolistica ha eroso l’uso comune e «basso» (Bataille,1920) dell’antico traccia-to, dei suoi manufatti e delle attività produttive moderne, isolandoli dalla vita quotidiana e distorcendone l’immaginario. Alla scala paesaggistica e urbana, riprogettare l’uso comune del Patrimonio diventa pertanto l’unico vero strumento di tutela a disposizione, date le «fratture della modernità alla spirale temporale» (Jameson,1989), che rendono impossibile il ripristino delle situazioni originarie: l’Appia è un deserto pieno di beni di ogni epoca che può ridiventare un «monumento vivo» (Cloquet,1901) solo attualizzando la sua funzione ludica di giardino delle meraviglie, progettato da Canina (1850), con le Folies incarnate nelle vestigia archeologiche. La fotografia è lo strumento principale per riconoscere l’uso comune dello spazio. Le Corbusier, Pagano, Rudofsky, Zevi, Quaroni, Banham, Venturi-Scott Brown, Van Eyck, De Carlo, Koolhaas e altri, utilizzarono la fotografia poiché fondativa di quella pratica visiva etnografica che sovrappone lettura architettonica e lettura antropologica dello spazio (Bilò,2019). Nel caso del riuso del Patrimonio, la fotografia è la prima fase di una corretta progettazione critica, in quanto permette un’indagine dell’esistente allo stesso tempo oggettiva e interpretativa. La possibilità di fotografare con quella distrazione essenziale per «far sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte» (Benjamin1966), fa infatti emergere il «carattere indiziario» (Krauss 1996) dell’immagine fotografica, ossia fisicamente forzato dalla presenza di un qualcosa in quel preciso luogo e in quel preciso istante in cui scattiamo. Ci costringe, insomma, a considerare nella successiva pratica progettuale le tracce degli eventi materialmente accaduti nel passato.
Osservare l’esistente per progettare il riuso. Fotografare come prima fase del progetto / Lanzetta, Alessandro. - (2019), pp. 1440-1443. (Intervento presentato al convegno Il progetto di architettura come intersezione di saperi. Per una nozione rinnovata di Patrimonio tenutosi a Napoli; Italy).
Osservare l’esistente per progettare il riuso. Fotografare come prima fase del progetto
Alessandro Lanzetta
2019
Abstract
I manufatti architettonici e i contesti paesaggistici vincolati risultano spesso imprigionati nel recinto storico estetico del concetto di Patrimonio. Nel Parco dell’Appia Antica, per esempio, una precisa politica vincolistica ha eroso l’uso comune e «basso» (Bataille,1920) dell’antico traccia-to, dei suoi manufatti e delle attività produttive moderne, isolandoli dalla vita quotidiana e distorcendone l’immaginario. Alla scala paesaggistica e urbana, riprogettare l’uso comune del Patrimonio diventa pertanto l’unico vero strumento di tutela a disposizione, date le «fratture della modernità alla spirale temporale» (Jameson,1989), che rendono impossibile il ripristino delle situazioni originarie: l’Appia è un deserto pieno di beni di ogni epoca che può ridiventare un «monumento vivo» (Cloquet,1901) solo attualizzando la sua funzione ludica di giardino delle meraviglie, progettato da Canina (1850), con le Folies incarnate nelle vestigia archeologiche. La fotografia è lo strumento principale per riconoscere l’uso comune dello spazio. Le Corbusier, Pagano, Rudofsky, Zevi, Quaroni, Banham, Venturi-Scott Brown, Van Eyck, De Carlo, Koolhaas e altri, utilizzarono la fotografia poiché fondativa di quella pratica visiva etnografica che sovrappone lettura architettonica e lettura antropologica dello spazio (Bilò,2019). Nel caso del riuso del Patrimonio, la fotografia è la prima fase di una corretta progettazione critica, in quanto permette un’indagine dell’esistente allo stesso tempo oggettiva e interpretativa. La possibilità di fotografare con quella distrazione essenziale per «far sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte» (Benjamin1966), fa infatti emergere il «carattere indiziario» (Krauss 1996) dell’immagine fotografica, ossia fisicamente forzato dalla presenza di un qualcosa in quel preciso luogo e in quel preciso istante in cui scattiamo. Ci costringe, insomma, a considerare nella successiva pratica progettuale le tracce degli eventi materialmente accaduti nel passato.| File | Dimensione | Formato | |
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