Per quanto oggetto di una copiosa ed eterogenea riflessione storiografica, inaugurata dall’opera ancora paradigmatica di Karl Brandi e recentemente innovata, tra gli altri, dai lavori di Elena Bonora („Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V“, 2014), di Denis Crouzet („Charles Quint. Empereur d’une fin des temps“, 2016), di Geoffrey Parker („Emperor. A New Life of Charles V“, 2019) e di Heinz Schilling („Karl V. Der Kaiser, dem die Welt zerbrach“, 2020), la figura dell’imperatore sui cui domini non tramontava mai il sole continua a stimolare interrogativi alimentati da nuove prospettive d’indagine e dall’osservazione critica di consolidate tradizioni storiografiche. Il volume „Charles Quint. Un rêve impérial pour l’Europe“, di Juan Carlos D’Amico e Alexandra Danet (Perrin, 2022), si inserisce proprio in questo ambito mirando, con successo, a restituire un’interpretazione originale di Carlo V, volta ad indagare „le phénomène européenne‟ (p. 8) incarnato dall’Asburgo, mettendo in discussione sia l’immagine stereotipica dell’imperatore come individuo „brouillé avec son temps‟ (p. 8) sia giudizi storiografici di impostazione nazionale che, spesso, hanno letto il personaggio in questione entro coordinate troppo riduttive. L’opera si articola in 34 capitoli raggruppati in quattro sezioni le quali – supportate dall’analisi di un’ampia varietà di fonti conservate, tra gli altri, negli archivi di Simancas e Siena, negli archives nationales, nelle biblioteche Apostolica, Nazionale di Francia e di Madrid – sono unite dal filo rosso rappresentato dalla prospettiva con cui i due studiosi sostengono l’aderenza e la coerenza dell’Asburgo rispetto alle dinamiche e alle logiche del suo tempo, respingendo l’idea che l’imperatore fosse il colpo di coda di un’epoca storica aliena alle nuove direttrici dell’età moderna. Dopo aver osservato la genesi della figura di Carlo d’Asburgo, svolgendo una premessa di lungo periodo sulle sue complesse vicende familiari per inquadrare le molteplici anime che contribuirono a forgiare la peculiare fisionomia di Carlo quale „prince destiné‟, i due studiosi, nella seconda sezione, esaminano l’ascesa del giovane principe prestando un’attenzione specifica alla costruzione del suo progetto politico. Gli ambiziosi obiettivi di Carlo – sottomettere l’Italia settentrionale, impedire l’espansione francese, riformare la Chiesa e imporre l’egemonia della Casa d’Austria nel contesto euro-mediterraneo conseguendo la pax Christianitatis e la vittoria contro gli infideli – trovarono una sintesi organica nel disegno della monarchia universale elaborato da Mercurino Arborio di Gattinara. Di questo snodo cruciale, nel processo di sviluppo del „phénomène‟ Carlo V, D’Amico e Danet esaltano il valore innovativo, non riducibile a un paradigma medievale, di un progetto capace di coniugare eterogenei elementi sociopolitici, amministrativi, economici e culturali, intrecciando piano ideologico e materiale attraverso la ricerca di un complesso equilibrio tra prospettiva locale e universale. Verificando in che modo, nella logica dell’imperatore, il modello tracciato da Gattinara fosse sopravvissuto alla sua stessa morte, in linea con alcune riflessioni di Manuel Rivero Rodríguez, gli autori scardinano le stringenti definizioni attribuite dalla storiografia angloamericana all’assetto politico-istituzionale dei domini dell’Asburgo. Proprio in opposizione alle immagini di monarchia composita, di confederazione o di agglomerato geopolitico, alimentate da lavori illustri quali il saggio „Imperial Spain (1469-1716)‟ di John H. Elliot, i due studiosi sottolineano l’originalità delle soluzioni politiche messe in atto dal governo asburgico definendo l’impero di Carlo V un autentico „laboratoire de la politique moderne‟ (p. 167). Il progetto, propugnato da Gattinara e rielaborato dall’imperatore, viene indagato all’interno della terza sezione del volume, dove D’Amico e Danet, osservando i molteplici fattori che avevano ostacolato gli intenti dell’Asburgo, analizzano la dimensione ideologica e gli esiti materiali della strategia carolina, proiettata alla formazione di uno Stato sovranazionale, unito sotto l’autorità asburgica e amalgamato da un moderno apparato amministrativo-diplomatico, il cui obiettivo era l’unità della Respublica christiana. In tal senso, l’analisi del trionfo celebrato da Carlo V dopo l’impresa di Tunisi, è un passaggio nevralgico dell’opera perché esplicita concretamente i propositi dell’Asburgo, non riducibili all’utopia o all’anacronismo ma espressione di istanze ed esigenze radicate nella logica coeva e confluite in una precisa strategia in cui idealità e realtà erano inscindibilmente intrecciate. L’imperatore, dunque, incarnava davvero „ce nouveau héros chrétien capable de redonner tout son lustre à l’Empire romain, dicter de nouveau ses lois au monde entier et accomplir le triomphe de la religion chrétienne‟ (p. 375). D’altro canto, gli autori hanno ben delineato la natura ossimorica del disegno carolino, diviso tra anelito pacificatore e costante ricorso alla guerra in una continua tensione che, soprattutto con la pace di Augusta, avrebbe segnato „la défaite du projet politique de Charles‟ (p. 556). Nell’ultima sezione, infatti, l’analisi dei principali passaggi del noto testamento politico, lasciato dall’imperatore al futuro Rey prudente, evidenzia i limiti della prospettiva politica di Carlo V tracciando un bilancio della parabola carolina in cui, non a caso, le vicende di Carlo e Filippo vengono presentate entro una cornice antitetica. Il tramonto del disegno dell’Asburgo non compromette, però, l’immagine di „prince machiavélien‟ attribuitagli da Juan Carlos D’Amico e Alexandra Danet per i quali il fenomeno Carlo V, dunque, è diretta espressione del suo tempo poiché capace di tradurre aspettative e necessità condivise all’interno del mondo euro-cristiano rinascimentale. Non si trattò affatto „d’un homme surgi du passé‟ (p. 623) ma di un individuo coerente con la sua epoca, una figura complessa, tormentata e spesso contraddittoria proprio come lo furono alcune sue scelte, a loro volta espressioni della continua ed esasperata ricerca di un equilibrio tra un obiettivo preciso e le contingenze, tra dimensione ideale e fattuale.
Charles Quint. Un rêve impérial pour l’Europe / Merlani, Giulio. - In: QUELLEN UND FORSCHUNGEN AUS ITALIENISCHEN ARCHIVEN UND BIBLIOTHEKEN. - ISSN 0079-9068. - 104:1(2024), pp. 746-748.
Charles Quint. Un rêve impérial pour l’Europe
giulio merlani
Primo
2024
Abstract
Per quanto oggetto di una copiosa ed eterogenea riflessione storiografica, inaugurata dall’opera ancora paradigmatica di Karl Brandi e recentemente innovata, tra gli altri, dai lavori di Elena Bonora („Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V“, 2014), di Denis Crouzet („Charles Quint. Empereur d’une fin des temps“, 2016), di Geoffrey Parker („Emperor. A New Life of Charles V“, 2019) e di Heinz Schilling („Karl V. Der Kaiser, dem die Welt zerbrach“, 2020), la figura dell’imperatore sui cui domini non tramontava mai il sole continua a stimolare interrogativi alimentati da nuove prospettive d’indagine e dall’osservazione critica di consolidate tradizioni storiografiche. Il volume „Charles Quint. Un rêve impérial pour l’Europe“, di Juan Carlos D’Amico e Alexandra Danet (Perrin, 2022), si inserisce proprio in questo ambito mirando, con successo, a restituire un’interpretazione originale di Carlo V, volta ad indagare „le phénomène européenne‟ (p. 8) incarnato dall’Asburgo, mettendo in discussione sia l’immagine stereotipica dell’imperatore come individuo „brouillé avec son temps‟ (p. 8) sia giudizi storiografici di impostazione nazionale che, spesso, hanno letto il personaggio in questione entro coordinate troppo riduttive. L’opera si articola in 34 capitoli raggruppati in quattro sezioni le quali – supportate dall’analisi di un’ampia varietà di fonti conservate, tra gli altri, negli archivi di Simancas e Siena, negli archives nationales, nelle biblioteche Apostolica, Nazionale di Francia e di Madrid – sono unite dal filo rosso rappresentato dalla prospettiva con cui i due studiosi sostengono l’aderenza e la coerenza dell’Asburgo rispetto alle dinamiche e alle logiche del suo tempo, respingendo l’idea che l’imperatore fosse il colpo di coda di un’epoca storica aliena alle nuove direttrici dell’età moderna. Dopo aver osservato la genesi della figura di Carlo d’Asburgo, svolgendo una premessa di lungo periodo sulle sue complesse vicende familiari per inquadrare le molteplici anime che contribuirono a forgiare la peculiare fisionomia di Carlo quale „prince destiné‟, i due studiosi, nella seconda sezione, esaminano l’ascesa del giovane principe prestando un’attenzione specifica alla costruzione del suo progetto politico. Gli ambiziosi obiettivi di Carlo – sottomettere l’Italia settentrionale, impedire l’espansione francese, riformare la Chiesa e imporre l’egemonia della Casa d’Austria nel contesto euro-mediterraneo conseguendo la pax Christianitatis e la vittoria contro gli infideli – trovarono una sintesi organica nel disegno della monarchia universale elaborato da Mercurino Arborio di Gattinara. Di questo snodo cruciale, nel processo di sviluppo del „phénomène‟ Carlo V, D’Amico e Danet esaltano il valore innovativo, non riducibile a un paradigma medievale, di un progetto capace di coniugare eterogenei elementi sociopolitici, amministrativi, economici e culturali, intrecciando piano ideologico e materiale attraverso la ricerca di un complesso equilibrio tra prospettiva locale e universale. Verificando in che modo, nella logica dell’imperatore, il modello tracciato da Gattinara fosse sopravvissuto alla sua stessa morte, in linea con alcune riflessioni di Manuel Rivero Rodríguez, gli autori scardinano le stringenti definizioni attribuite dalla storiografia angloamericana all’assetto politico-istituzionale dei domini dell’Asburgo. Proprio in opposizione alle immagini di monarchia composita, di confederazione o di agglomerato geopolitico, alimentate da lavori illustri quali il saggio „Imperial Spain (1469-1716)‟ di John H. Elliot, i due studiosi sottolineano l’originalità delle soluzioni politiche messe in atto dal governo asburgico definendo l’impero di Carlo V un autentico „laboratoire de la politique moderne‟ (p. 167). Il progetto, propugnato da Gattinara e rielaborato dall’imperatore, viene indagato all’interno della terza sezione del volume, dove D’Amico e Danet, osservando i molteplici fattori che avevano ostacolato gli intenti dell’Asburgo, analizzano la dimensione ideologica e gli esiti materiali della strategia carolina, proiettata alla formazione di uno Stato sovranazionale, unito sotto l’autorità asburgica e amalgamato da un moderno apparato amministrativo-diplomatico, il cui obiettivo era l’unità della Respublica christiana. In tal senso, l’analisi del trionfo celebrato da Carlo V dopo l’impresa di Tunisi, è un passaggio nevralgico dell’opera perché esplicita concretamente i propositi dell’Asburgo, non riducibili all’utopia o all’anacronismo ma espressione di istanze ed esigenze radicate nella logica coeva e confluite in una precisa strategia in cui idealità e realtà erano inscindibilmente intrecciate. L’imperatore, dunque, incarnava davvero „ce nouveau héros chrétien capable de redonner tout son lustre à l’Empire romain, dicter de nouveau ses lois au monde entier et accomplir le triomphe de la religion chrétienne‟ (p. 375). D’altro canto, gli autori hanno ben delineato la natura ossimorica del disegno carolino, diviso tra anelito pacificatore e costante ricorso alla guerra in una continua tensione che, soprattutto con la pace di Augusta, avrebbe segnato „la défaite du projet politique de Charles‟ (p. 556). Nell’ultima sezione, infatti, l’analisi dei principali passaggi del noto testamento politico, lasciato dall’imperatore al futuro Rey prudente, evidenzia i limiti della prospettiva politica di Carlo V tracciando un bilancio della parabola carolina in cui, non a caso, le vicende di Carlo e Filippo vengono presentate entro una cornice antitetica. Il tramonto del disegno dell’Asburgo non compromette, però, l’immagine di „prince machiavélien‟ attribuitagli da Juan Carlos D’Amico e Alexandra Danet per i quali il fenomeno Carlo V, dunque, è diretta espressione del suo tempo poiché capace di tradurre aspettative e necessità condivise all’interno del mondo euro-cristiano rinascimentale. Non si trattò affatto „d’un homme surgi du passé‟ (p. 623) ma di un individuo coerente con la sua epoca, una figura complessa, tormentata e spesso contraddittoria proprio come lo furono alcune sue scelte, a loro volta espressioni della continua ed esasperata ricerca di un equilibrio tra un obiettivo preciso e le contingenze, tra dimensione ideale e fattuale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.