Veri e propri omaggi agli Andrii si trovano nella pittura di innumerevoli artisti italiani e stranieri, almeno a partire dai primi anni del secolo, ma solo alcuni ebbero la possibilità di vederli, studiarli e copiarli nel loro contesto romano, prima nel Palazzo Aldobrandini e poi nella Villa Ludovisi. Le fonti più importanti: i quasi contemporanei Giovan Pietro Bellori nelle sue Vite (1672) e Joachim von Sandrart nella Teutsche Academie (1675-80), l’uno grazie alle testimonianze raccolte dagli artisti stessi, l’altro per esperienza personale, descrivono in modo assai vivace le visite tributate alla collezione Ludovisi da parte di pittori – Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Claude Lorrain – e scultori – François Duquesnoy. Né l’uno né l’altro citano tuttavia il nome di Gian Lorenzo Bernini o quello di Alessandro Algardi, di Pietro Testa, di Guercino o di Domenichino, che certamente furono testimoni dell’arrivo, e in alcuni casi della partenza dei Baccanali per Napoli (1633), così come non viene citato il fiammingo Antoon van Dyck, che fu a Roma tra il 1621 ed il 1623 e trasse schizzi e appunti dagli Andrii nel suo Taccuino di disegni italiano. Satiri e ninfe, cupidi e Veneri irruppero nella Villa di Ludovico insieme alle opere di antiche collezioni cedute ai familiari del nuovo papa. Molti dei dipinti di scuola veneta e ferrarese, che costituiscono il nucleo principale delle raccolte Ludovisi, provenivano probabilmente già dalla collezione di famiglia formatasi fin da quando Alessandro Ludovisi era arcivescovo di Bologna (1612), altri si aggiunsero in seguito grazie al matrimonio di Ippolita Ludovisi, figlia di Orazio, e Giovan Giorgio Aldobrandini, e altri ancora vennero donate da amici, clienti e familiari del neoeletto papa e del suo potentissimo nipote. Se le acquisizioni della famiglia papale furono infatti frettolose e dettate dalla necessità di dotarsi di una collezione che potesse essere alla pari con quelle dei principi e cardinali romani, fu merito dell’allestimento nel casino, nel palazzo e nel giardino, dare un senso iconografico ai singoli pezzi, armonizzarli con interventi di restauro a volte invasivi e disporli uno accanto all’altro come in una narrazione per immagini. Non bastava infatti mostrare ai nobili e cittadini romani la ricchezza, lo splendore e la magnificenza del nuovo cardinal nipote e dei suoi familiari, su di un piano più alto occorreva anche esibire raffinatezza e profonda cultura dell’antico e della contemporaneità, perché Ludovico Ludovisi si voleva affermare anche come generoso protettore delle arti.
Natura e antico: la collezione Ludovisi modello per le arti / Volpi, Caterina. - (2024), pp. 221-227.
Natura e antico: la collezione Ludovisi modello per le arti
Volpi, Caterina
2024
Abstract
Veri e propri omaggi agli Andrii si trovano nella pittura di innumerevoli artisti italiani e stranieri, almeno a partire dai primi anni del secolo, ma solo alcuni ebbero la possibilità di vederli, studiarli e copiarli nel loro contesto romano, prima nel Palazzo Aldobrandini e poi nella Villa Ludovisi. Le fonti più importanti: i quasi contemporanei Giovan Pietro Bellori nelle sue Vite (1672) e Joachim von Sandrart nella Teutsche Academie (1675-80), l’uno grazie alle testimonianze raccolte dagli artisti stessi, l’altro per esperienza personale, descrivono in modo assai vivace le visite tributate alla collezione Ludovisi da parte di pittori – Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Claude Lorrain – e scultori – François Duquesnoy. Né l’uno né l’altro citano tuttavia il nome di Gian Lorenzo Bernini o quello di Alessandro Algardi, di Pietro Testa, di Guercino o di Domenichino, che certamente furono testimoni dell’arrivo, e in alcuni casi della partenza dei Baccanali per Napoli (1633), così come non viene citato il fiammingo Antoon van Dyck, che fu a Roma tra il 1621 ed il 1623 e trasse schizzi e appunti dagli Andrii nel suo Taccuino di disegni italiano. Satiri e ninfe, cupidi e Veneri irruppero nella Villa di Ludovico insieme alle opere di antiche collezioni cedute ai familiari del nuovo papa. Molti dei dipinti di scuola veneta e ferrarese, che costituiscono il nucleo principale delle raccolte Ludovisi, provenivano probabilmente già dalla collezione di famiglia formatasi fin da quando Alessandro Ludovisi era arcivescovo di Bologna (1612), altri si aggiunsero in seguito grazie al matrimonio di Ippolita Ludovisi, figlia di Orazio, e Giovan Giorgio Aldobrandini, e altri ancora vennero donate da amici, clienti e familiari del neoeletto papa e del suo potentissimo nipote. Se le acquisizioni della famiglia papale furono infatti frettolose e dettate dalla necessità di dotarsi di una collezione che potesse essere alla pari con quelle dei principi e cardinali romani, fu merito dell’allestimento nel casino, nel palazzo e nel giardino, dare un senso iconografico ai singoli pezzi, armonizzarli con interventi di restauro a volte invasivi e disporli uno accanto all’altro come in una narrazione per immagini. Non bastava infatti mostrare ai nobili e cittadini romani la ricchezza, lo splendore e la magnificenza del nuovo cardinal nipote e dei suoi familiari, su di un piano più alto occorreva anche esibire raffinatezza e profonda cultura dell’antico e della contemporaneità, perché Ludovico Ludovisi si voleva affermare anche come generoso protettore delle arti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.