–“Mi parli della differenza tra realtà e finzione”. – “Non c’è differenza tra realtà e finzione, perché il cinema è la realtà che esprime se stessa attraverso se stessa” (Varda, 1967). Il contributo intende indagare la rappresentazione della città della miseria, utilizzando il cinema (documentario) come dispositivo di immersione nello spazio e nella società di chi è espulso e disancorato (Lago, Toni, 2024). Se la miseria è un impensato e un irrappresentabile, il primo e fondamentale movimento per vederne il corpo nella città è quello dello sguardo e degli strumenti per allargarlo. In questa esplorazione il cinema “senza tetto né legge” (Falcinella, 2010) di Agnès Varda, e di chi in Francia ha indagato la miseria dopo di lei, ci offre uno strumentario pratico e teorico per pensare e progettare dentro e con Miserabilia. Le diverse forme di indigenza estrema che occupano o sono confinate in diversi luoghi dell’urbano, ci penetrano come dispositivi: mani erranti si nutrono di ciò che è scartato dai suoli del centro come Les Glaneurs et la glaneuse (2000); corpi vagano tra stazioni e campagne in insediamenti effimeri come spettri di chi è Sans toit ni loi (1985); in altri casi sono sovrascritture sul corpo della città che permettono di ancorare ai luoghi chi ne è separato da Mur Murs (1981). L’intervento procede nella giustapposizione di diversi autori: Leos Carax ha cercato il monumentale della miseria dove Les amants du Pont-Neuf (1991) possono abitare, in stati d’eccezione nella loro dimensione fantasmatica, anche gli spazi simbolici della città. La miseria può farsi fatale dissolvendo ogni morale nel conflitto tra chi ha e chi non ha, come nella solitudine di Seul contre tous (1998) di Gaspar Noé. In questi spazi, La haine (1995) è ciò che collega ed elettrifica la società dall’alto al basso, ci ricorda Mathieu Kassovitz. Nel contemporaneo, altri autori hanno seguito i sentieri della Varda, come JR e Ladj Ly in Paper & Glue(2021) e Visages villages (2017) dove le immagini sono e rifanno lo spazio. È proprio Ladj Ly che sovraespone l’attualità della miseria in Francia, registrando luoghi in cui non c’è spazio neanche per morire come Les Indésirables (2023); o dove lo spazio pubblico è interdetto e militarizzato, impedendo il respiro, in un esercizio costante di violenza su Les Misérables (2019). Quando questa tensione fa scintille, il fuoco divampa e si impossessa dei luoghi rovesciandoli: l’alto che serviva per dominare e segregare con droni e videocamere, come in un medioevo moderno, ora è usato per controllare a vista e difendere dagli assalti della polizia anti sommossa. Athena (2022) di Romain Gavras, Ladj Ly, è di particolare importanza perché come il cinema della Varda, ci mostra la reciprocità tra fiction e realtà, tra centro e periferia, tra produzioni e comunità che vivono nei luoghi ripresi, sottolineando i progetti impliciti di cui sono portatori. Come maneggiare la disparità di potere tra chi rappresenta e chi è rappresentato? Come un progetto audiovisuale può agire da virus spaziale e sociale trasformando i luoghi in cui si sedimenta? Fatima Ouassak (2024) da abitante delle banlieue e attivista ci ricorda che entrare nel territorio della perenne erranza della miseria significa farsi toccare e agire in un conflitto che “o è di liberazione, o non è affatto”.
Il cinema senza tetto né legge di Agnès Varda / Anelli-Monti, Michele. - (2024). (Intervento presentato al convegno La città della miseria tenutosi a Roma).
Il cinema senza tetto né legge di Agnès Varda
Anelli-Monti, Michele
2024
Abstract
–“Mi parli della differenza tra realtà e finzione”. – “Non c’è differenza tra realtà e finzione, perché il cinema è la realtà che esprime se stessa attraverso se stessa” (Varda, 1967). Il contributo intende indagare la rappresentazione della città della miseria, utilizzando il cinema (documentario) come dispositivo di immersione nello spazio e nella società di chi è espulso e disancorato (Lago, Toni, 2024). Se la miseria è un impensato e un irrappresentabile, il primo e fondamentale movimento per vederne il corpo nella città è quello dello sguardo e degli strumenti per allargarlo. In questa esplorazione il cinema “senza tetto né legge” (Falcinella, 2010) di Agnès Varda, e di chi in Francia ha indagato la miseria dopo di lei, ci offre uno strumentario pratico e teorico per pensare e progettare dentro e con Miserabilia. Le diverse forme di indigenza estrema che occupano o sono confinate in diversi luoghi dell’urbano, ci penetrano come dispositivi: mani erranti si nutrono di ciò che è scartato dai suoli del centro come Les Glaneurs et la glaneuse (2000); corpi vagano tra stazioni e campagne in insediamenti effimeri come spettri di chi è Sans toit ni loi (1985); in altri casi sono sovrascritture sul corpo della città che permettono di ancorare ai luoghi chi ne è separato da Mur Murs (1981). L’intervento procede nella giustapposizione di diversi autori: Leos Carax ha cercato il monumentale della miseria dove Les amants du Pont-Neuf (1991) possono abitare, in stati d’eccezione nella loro dimensione fantasmatica, anche gli spazi simbolici della città. La miseria può farsi fatale dissolvendo ogni morale nel conflitto tra chi ha e chi non ha, come nella solitudine di Seul contre tous (1998) di Gaspar Noé. In questi spazi, La haine (1995) è ciò che collega ed elettrifica la società dall’alto al basso, ci ricorda Mathieu Kassovitz. Nel contemporaneo, altri autori hanno seguito i sentieri della Varda, come JR e Ladj Ly in Paper & Glue(2021) e Visages villages (2017) dove le immagini sono e rifanno lo spazio. È proprio Ladj Ly che sovraespone l’attualità della miseria in Francia, registrando luoghi in cui non c’è spazio neanche per morire come Les Indésirables (2023); o dove lo spazio pubblico è interdetto e militarizzato, impedendo il respiro, in un esercizio costante di violenza su Les Misérables (2019). Quando questa tensione fa scintille, il fuoco divampa e si impossessa dei luoghi rovesciandoli: l’alto che serviva per dominare e segregare con droni e videocamere, come in un medioevo moderno, ora è usato per controllare a vista e difendere dagli assalti della polizia anti sommossa. Athena (2022) di Romain Gavras, Ladj Ly, è di particolare importanza perché come il cinema della Varda, ci mostra la reciprocità tra fiction e realtà, tra centro e periferia, tra produzioni e comunità che vivono nei luoghi ripresi, sottolineando i progetti impliciti di cui sono portatori. Come maneggiare la disparità di potere tra chi rappresenta e chi è rappresentato? Come un progetto audiovisuale può agire da virus spaziale e sociale trasformando i luoghi in cui si sedimenta? Fatima Ouassak (2024) da abitante delle banlieue e attivista ci ricorda che entrare nel territorio della perenne erranza della miseria significa farsi toccare e agire in un conflitto che “o è di liberazione, o non è affatto”.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.