Dopo che la domanda di libertà dell’Ungheria fu soffocata dall’intervento mili- tare della Russia zarista e della Casa d’Austria nel 1849, migliaia di rivoluzionari ungheresi, polacchi e italiani cercarono asilo nell’Impero Ottomano. Il loro arrivo suscitò veementi proteste da parte di Austria e Russia, cosicché la Sublime Porta indusse i rifugiati ad abbracciare la religione islamica per alleviare le pressioni di- plomatiche. Mentre alcuni rifugiati, guidati dal generale Józef Bem, si convertirono volontariamente all’Islam, altri, soprattutto i vertici del movimento (in particolare Lajos Kossuth), rifiutarono decisamente l’offerta. Sebbene le divergenze all’inter- no del gruppo degli emigrati continuassero negli anni seguenti, la storiografia ha privilegiato la ricostruzione delle vicende dei vertici, dei leader, trascurando le vicissitudini che gli altri, come i convertiti musulmani, nonostante il loro vasto nu- mero. Questa rappresentazione selettiva, tuttavia, elimina le sfumature discorsive, silenziando gli oppositori. Oltretutto, la visibilità e la presenza dei convertiti nelle narrazioni nazionaliste è inquinata dall’infruttuosa discussione circa la sincerità della loro conversione; una controversia che ignora le possibili trasformazioni delle loro identità nel tempo, alimentata dalla tendenza di alcuni studiosi a incasella- re i convertiti all’interno di categorie identitarie predeterminate per consolidare narrazioni nazionali che si autoavverano. In effetti, i rifugiati non potevano sapere che la loro decisione di convertirsi si sarebbe tradotta in una cultura rivoluzionaria distinta, con conoscenze, abilità ed esperienze accumulate sul suolo ottomano da trasmettere alla successiva generazione di rivoluzionari – non più tardi degli anni Sessanta dell’Ottocen- to – attraverso reti informali in parte incorporate in strutture formali. Poiché il linguaggio è il veicolo centrale della trasmissione della memoria attraverso le generazioni, l’analisi delle testimonianze politiche dei convertiti offre uno sguar- do su un’identità transnazionale piuttosto eterodossa che converge con regioni più ampie ma che diverge da generi particolari. Come fonte di autonarrazione, le testimonianze sotto giuramento di un giovane disertore austriaco di origine ungherese convertitosi all’Islam presentano un esempio di come i convertiti ab- biano gradualmente sviluppato un nuovo discorso patriottico, in contrasto con la principale teleologia nazionalista ungherese, che ritiene la conversione all’Islam una caratteristica identitaria inaccettabile per il Pantheon della nazione magiara. Jusztinián Károly trovò asilo nell’ufficio del governatore ottomano in Bulgaria mentre fuggiva dagli agenti austriaci nella primavera del 1861 e confessò alla fine dell’indagine di essere un membro di un comitato rivoluzionario, Garibaldi’s Sword of Glory (Garibaldi’nin Şan Kılıncı), i cui vertici erano composti principal- mente da emigrati ungheresi e polacchi islamizzati a Costantinopoli, in stretta interazione con alcuni gruppi rivoluzionari della penisola italiana, allora teatro del movimento risorgimentale. Questa micronarrazione accenna a un percorso e a una rete alternativi, utili per fornire informazioni ai rivoluzionari italiani, ai volontari, nonché armi per combattere le guerre patriottiche, trasportandole at- traverso le città portuali del Mediterraneo; in tale quadro, Costantinopoli emerse come base regionale che collegava Ungheria, Italia e Turchia. Tuttavia, questo percorso non può considerarsi contingente, poiché i convertiti mantennero le loro differenze ideologiche assieme alle loro mutevoli identità: in questo senso la loro identità era sfaccettata, il risultato di un processo di negoziazione, così come è possibile affermare basandosi sulle premesse metodologiche della sociologia storica. A questo proposito, la loro storia porta contemporaneamente alla luce un immaginario politico alternativo del patriottismo ungherese (e polacco, in una certa misura) contro le élite. Più precisamente, i convertiti elaborarono una contro-egemonia in opposizione al puro cattolicesimo difeso da Napoleone III, imperatore dei francesi, insieme ai suoi alleati conte Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, e Lajos Kossuth, il più noto leader ungherese in esilio. Nel contempo, si allineavano ai garibaldini, i cui legami con la Sardegna si stavano allentando, e adeguavano i loro obiettivi agli interessi della Porta e alla cultura politica del periodo di riforma dell’impero, l’ottomanesimo.

La spada della gloria di Garibaldi: convertiti ungheresi e polacchi a Costantinopoli / Kiriscioglu, Ilkay. - In: RASSEGNA STORICA DEL RISORGIMENTO. - ISSN 0033-9873. - ANNO 111/FASCICOLO 1 gennaio/giugno 2024(2024), pp. 80-82.

La spada della gloria di Garibaldi: convertiti ungheresi e polacchi a Costantinopoli

ilkay kiriscioglu
2024

Abstract

Dopo che la domanda di libertà dell’Ungheria fu soffocata dall’intervento mili- tare della Russia zarista e della Casa d’Austria nel 1849, migliaia di rivoluzionari ungheresi, polacchi e italiani cercarono asilo nell’Impero Ottomano. Il loro arrivo suscitò veementi proteste da parte di Austria e Russia, cosicché la Sublime Porta indusse i rifugiati ad abbracciare la religione islamica per alleviare le pressioni di- plomatiche. Mentre alcuni rifugiati, guidati dal generale Józef Bem, si convertirono volontariamente all’Islam, altri, soprattutto i vertici del movimento (in particolare Lajos Kossuth), rifiutarono decisamente l’offerta. Sebbene le divergenze all’inter- no del gruppo degli emigrati continuassero negli anni seguenti, la storiografia ha privilegiato la ricostruzione delle vicende dei vertici, dei leader, trascurando le vicissitudini che gli altri, come i convertiti musulmani, nonostante il loro vasto nu- mero. Questa rappresentazione selettiva, tuttavia, elimina le sfumature discorsive, silenziando gli oppositori. Oltretutto, la visibilità e la presenza dei convertiti nelle narrazioni nazionaliste è inquinata dall’infruttuosa discussione circa la sincerità della loro conversione; una controversia che ignora le possibili trasformazioni delle loro identità nel tempo, alimentata dalla tendenza di alcuni studiosi a incasella- re i convertiti all’interno di categorie identitarie predeterminate per consolidare narrazioni nazionali che si autoavverano. In effetti, i rifugiati non potevano sapere che la loro decisione di convertirsi si sarebbe tradotta in una cultura rivoluzionaria distinta, con conoscenze, abilità ed esperienze accumulate sul suolo ottomano da trasmettere alla successiva generazione di rivoluzionari – non più tardi degli anni Sessanta dell’Ottocen- to – attraverso reti informali in parte incorporate in strutture formali. Poiché il linguaggio è il veicolo centrale della trasmissione della memoria attraverso le generazioni, l’analisi delle testimonianze politiche dei convertiti offre uno sguar- do su un’identità transnazionale piuttosto eterodossa che converge con regioni più ampie ma che diverge da generi particolari. Come fonte di autonarrazione, le testimonianze sotto giuramento di un giovane disertore austriaco di origine ungherese convertitosi all’Islam presentano un esempio di come i convertiti ab- biano gradualmente sviluppato un nuovo discorso patriottico, in contrasto con la principale teleologia nazionalista ungherese, che ritiene la conversione all’Islam una caratteristica identitaria inaccettabile per il Pantheon della nazione magiara. Jusztinián Károly trovò asilo nell’ufficio del governatore ottomano in Bulgaria mentre fuggiva dagli agenti austriaci nella primavera del 1861 e confessò alla fine dell’indagine di essere un membro di un comitato rivoluzionario, Garibaldi’s Sword of Glory (Garibaldi’nin Şan Kılıncı), i cui vertici erano composti principal- mente da emigrati ungheresi e polacchi islamizzati a Costantinopoli, in stretta interazione con alcuni gruppi rivoluzionari della penisola italiana, allora teatro del movimento risorgimentale. Questa micronarrazione accenna a un percorso e a una rete alternativi, utili per fornire informazioni ai rivoluzionari italiani, ai volontari, nonché armi per combattere le guerre patriottiche, trasportandole at- traverso le città portuali del Mediterraneo; in tale quadro, Costantinopoli emerse come base regionale che collegava Ungheria, Italia e Turchia. Tuttavia, questo percorso non può considerarsi contingente, poiché i convertiti mantennero le loro differenze ideologiche assieme alle loro mutevoli identità: in questo senso la loro identità era sfaccettata, il risultato di un processo di negoziazione, così come è possibile affermare basandosi sulle premesse metodologiche della sociologia storica. A questo proposito, la loro storia porta contemporaneamente alla luce un immaginario politico alternativo del patriottismo ungherese (e polacco, in una certa misura) contro le élite. Più precisamente, i convertiti elaborarono una contro-egemonia in opposizione al puro cattolicesimo difeso da Napoleone III, imperatore dei francesi, insieme ai suoi alleati conte Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, e Lajos Kossuth, il più noto leader ungherese in esilio. Nel contempo, si allineavano ai garibaldini, i cui legami con la Sardegna si stavano allentando, e adeguavano i loro obiettivi agli interessi della Porta e alla cultura politica del periodo di riforma dell’impero, l’ottomanesimo.
2024
La spada della gloria di Garibaldi; risorgimento; Ungheresi rivoluzionari; Garibaldi
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
La spada della gloria di Garibaldi: convertiti ungheresi e polacchi a Costantinopoli / Kiriscioglu, Ilkay. - In: RASSEGNA STORICA DEL RISORGIMENTO. - ISSN 0033-9873. - ANNO 111/FASCICOLO 1 gennaio/giugno 2024(2024), pp. 80-82.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1724803
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