Il termine kur in sumerico significa “montagna”. Esso, tuttavia, ha uno spettro semantico più ampio, in quanto designa anche gli Inferi e le terre straniere (kur-kur). Le catene montuose degli Zagros, che cingono a est la Mesopotamia, sono infatti abitate da popolazioni nomadi pre-iraniche (come i Gutei e i Lullubiti) che esercitano una pressione continua contro la fertile pianura e che per gli abitanti del kalam (Sumer) costituiscono l’alterità: uomini-animali, senza cultura, senza casa, incapaci di parlare. La contrapposizione tra la città e le montagne è evidente: la prima rappresenta il centro del mondo, il cosmos della legge del dio poliade che il sovrano deve, in quando governatore per conto del dio, fare rispettare; la seconda, insieme alla steppa (edin), è spazio caotico governato da animali, nemici, sede della selvatichezza. La montagna rappresenta pertanto, rispetto al contesto urbano, la natura selvaggia (Wilderness). L’alterità della Wilderness, tuttavia, non è di per sé negativa, ma ambigua. Essa, infatti, è associata altresì alla dimensione sovrumana, spesso rappresentata come un locus amoenus, sede degli dèi (si veda l’uso del determinativo divino diĝir anteposto al nome di alcune montagne). Le sue caratteristiche sono la maestosità, che le permette di raggiunge il cielo, lo splendore e la bellezza. Allo stesso tempo, proprio per la sua ontologia ambigua, la montagna ha temperamento ribelle, potente e minaccioso, e pertanto essa deve essere sconfitta e poi riorganizzata dall’azione divina, come è nel caso di Inana con la montagna Ebiḫ o di Ninurta con il demone Asag, eletto re delle piante della montagna nel mito Lugal-e. Solo dopo l’atto di organizzazione da parte della divinità, la potenza ambigua dell’alterità della montagna si trasforma in benevola per la comunità umana, funzionale al benessere degli esseri umani. Essa diviene così simbolo di abbondanza e fertilità, in quanto fonte di approvvigionamento di molte materie prime: acqua, pietra, lapislazzuli, argento, essenze e legname. Allo stesso modo, come rivelano le storie mitiche che hanno come protagonisti i sovrani sumerici, come Gilgameš e Lugalbanda, veri e propri eroi culturali, la montagna, la sua foresta e il suo guardiano raccolgono in sé potenzialità sovrumane che sono al tempo stesso nefaste se continuano ad essere marginalizzate, ma benevoli, portatrici di prosperità, se culturalmente ordinate a vantaggio della comunità umana. In questo contributo, si analizzeranno le seguenti composizioni sumeriche paleo-babilonesi (2004-1595 a.C.): Lugal-e; Inana ed Ebiḫ; Enmerkar e il Signore di Aratta; Lugalbanda e Anzû; Lugalbanda nella grotta della montagna; Gilgameš e Ḫuwawa.
"L’eccezionale splendore della montagna è spaventoso e si diffonde su tutte le terre". Scenari di alterità nella mitologia sumerica paleo-babilonese / Zisa, Gioele. - 17:(2024), pp. 69-89. (Intervento presentato al convegno La montagna: miti, simboli, immagini, storie, culture tenutosi a Geraci Siculo).
"L’eccezionale splendore della montagna è spaventoso e si diffonde su tutte le terre". Scenari di alterità nella mitologia sumerica paleo-babilonese
Gioele Zisa
2024
Abstract
Il termine kur in sumerico significa “montagna”. Esso, tuttavia, ha uno spettro semantico più ampio, in quanto designa anche gli Inferi e le terre straniere (kur-kur). Le catene montuose degli Zagros, che cingono a est la Mesopotamia, sono infatti abitate da popolazioni nomadi pre-iraniche (come i Gutei e i Lullubiti) che esercitano una pressione continua contro la fertile pianura e che per gli abitanti del kalam (Sumer) costituiscono l’alterità: uomini-animali, senza cultura, senza casa, incapaci di parlare. La contrapposizione tra la città e le montagne è evidente: la prima rappresenta il centro del mondo, il cosmos della legge del dio poliade che il sovrano deve, in quando governatore per conto del dio, fare rispettare; la seconda, insieme alla steppa (edin), è spazio caotico governato da animali, nemici, sede della selvatichezza. La montagna rappresenta pertanto, rispetto al contesto urbano, la natura selvaggia (Wilderness). L’alterità della Wilderness, tuttavia, non è di per sé negativa, ma ambigua. Essa, infatti, è associata altresì alla dimensione sovrumana, spesso rappresentata come un locus amoenus, sede degli dèi (si veda l’uso del determinativo divino diĝir anteposto al nome di alcune montagne). Le sue caratteristiche sono la maestosità, che le permette di raggiunge il cielo, lo splendore e la bellezza. Allo stesso tempo, proprio per la sua ontologia ambigua, la montagna ha temperamento ribelle, potente e minaccioso, e pertanto essa deve essere sconfitta e poi riorganizzata dall’azione divina, come è nel caso di Inana con la montagna Ebiḫ o di Ninurta con il demone Asag, eletto re delle piante della montagna nel mito Lugal-e. Solo dopo l’atto di organizzazione da parte della divinità, la potenza ambigua dell’alterità della montagna si trasforma in benevola per la comunità umana, funzionale al benessere degli esseri umani. Essa diviene così simbolo di abbondanza e fertilità, in quanto fonte di approvvigionamento di molte materie prime: acqua, pietra, lapislazzuli, argento, essenze e legname. Allo stesso modo, come rivelano le storie mitiche che hanno come protagonisti i sovrani sumerici, come Gilgameš e Lugalbanda, veri e propri eroi culturali, la montagna, la sua foresta e il suo guardiano raccolgono in sé potenzialità sovrumane che sono al tempo stesso nefaste se continuano ad essere marginalizzate, ma benevoli, portatrici di prosperità, se culturalmente ordinate a vantaggio della comunità umana. In questo contributo, si analizzeranno le seguenti composizioni sumeriche paleo-babilonesi (2004-1595 a.C.): Lugal-e; Inana ed Ebiḫ; Enmerkar e il Signore di Aratta; Lugalbanda e Anzû; Lugalbanda nella grotta della montagna; Gilgameš e Ḫuwawa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.