Politicizzare la sostenibilità, riassemblare il sociale nell’epoca neoliberista

Il cambiamento climatico ha a che fare con una molteplicitàdi fenomeni che, nel loro insieme, rendono evidente la necessità di preservare il mondo della natura non umana dagli impatti prodotti dall’azione degli esseri umani. Tali impatti, a loro volta, si collegano a una questione ancor più generale legata alla sostenibilità (o insostenibilità) non solo dei modi attraverso cui si produce e si distribuisce la ricchezza, ma anche dei connessi modelli di consumo. Il tema della sostenibilità, in altri termini, può diventare un utile riferimento per la critica dei contemporanei modelli di produzione e degli ordini regolativi che riproducono dal punto di vista normativo, sociale e culturale questi stessi modelli ma, al tempo stesso, può diventare uno dei tanti flanking mechanisms dei processi attraverso cui il capitalismo contemporaneo estrae valore dal mondo della natura. Attraverso quali categorie teoriche e prospettive di analisi è possibile comprendere per quali ragioni la sostenibilità viene declinata nel primo oppure nel secondo dei modi sopra indicati? È possibile utilizzare questo concetto senza comprometterne le potenzialità critiche e analitiche? Quali sono le variabili storiche che possono esserci di aiuto in questa analisi? L’articolo intende fornire delle prime risposte a queste domande articolando il nesso tra emersione e affermazione del paradigma dello sviluppo sostenibile, neoliberalizzazione dell’azione pubblica e riproduzione del capitalismo contemporaneo. In particolare tale questione sarà letta in connessione con il processo di depoliticizzazione della sostenibilità, analizzando le ragioni per cui questa categoria appare depoliticizzata, e proponendo una chiave teorica (con conseguenze anche per l’azione) per una sua possibile politicizzazione e la conseguente determinazione di percorsi possibili per riassemblare la società.