In che modo sono state edificate le identità balcaniche in un’area così multiculturale come quella balcanica, dove un intricato e antico tessuto multietnico era coperto dalla coltre ottomana? La storiografia polacca ha tentato recentemente di fornire delle interessanti risposte ad un quesito cruciale per comprendere l’età moderna nei Balcani. Gli storici hanno preso in esame l’apporto all’identity-building del cosiddetto circolo balcanico della ‘Slavia Orthodoxa’, ovvero la produzione storiografica rivolta al sud-est europeo tra il XVIII e il XIX secolo. In particolare hanno ricoperto un ruolo chiave nella costrizione identitaria opere come la ‘Istorija slavjanobolgarskaja’ del 1762, di Paisij di Hilendar, figura cardine del risveglio nazionale bulgaro del XVIII secolo; la ‘Istorija raznih slovenskih narodov’, pubblicata in 4 volumi tra il 1794 e il 1795 da Jovan Rajić, studioso tra i capostipiti della storiografia serba, che ha costruito il proprio bagaglio culturale viaggiando tra Impero asburgico, Impero ottomano e Impero russo. Ai pioneristici lavori di Rajić e Paisij di Hilendar si sono aggiunti quelli del rivoluzionario macedone Georgi Pulevski autore della ‘Slavjansko maḱedonska opšta istorija’ del 1892 e dell’etnologo serbo Vuk Stefanović Karadžić, autore dello studio storico-etnologico ‘Kovčežić za istoriju, jezik i običaje Srba sva tri zakona’ del 1849 che per la prima volta individuava una comune identità serba come somma di tutte e tre le confessioni degli slavi del sud (cattolica, ortodossa e musulmana). Karadžić, inoltre, nella convinzione che la costruzione dell’identità nazionale serba dovesse fondarsi sulla produzione culturale popolare preservata nel folklore, lavorò senza sosta per raggruppare le tradizioni orali poetico-popolari serbe nelle raccolte ‘Srpske narodne pјesme’ pubblicate tra il 1823-1833 e nella ‘Srpske pjesme iz Hercegovine’ del 1866. Dopo un’attenta analisi tesa ad individuare le strutture di base della costruzione dell’identità dei popoli balcanici, gli storici polacchi hanno messo in evidenza come questi studi fossero legati da una comune metodologia e dall’utilizzo dello stesso bacino bibliografico: l’opera ‘De origine et rebus gestis Polonorum’ di Marcin Kromer del 1555, ripubblicata con sinossi in russo nel 1810 a San Pietroburgo; ‘Il Regno degli Slavi’ pubblicato a Pesaro nel 1601 dal raguseo Mauro Orbini; la cronaca slavo-illirica composta tra il 1684 e il 1688 da Georgius Brankovich conte di Podgorica; la ‘Historia Byzantina’ del francese Charles du Fresne du Cange del 1680, diffusa nei circoli serbi nei territori asburgici dallo storico sloveno-ungherese Ján Tomka-Sásky nella prima metà del XVIII secolo. Tale produzione culturale non era funzionale solo alla costruzione culturale di una storia delle peculiari identità etnico-nazionali bulgare, serbe e macedoni, bensì era inserita nell’ambito di una comune storia del Sud-Est Europa. Nell’alveolo geo-culturale balcanico l’antichità greco-romana confluiva nella koinè bizantina, vettore dell’identità comune degli intellettuali del Sud-Est europeo durante la cattività ottomana.
Lo sguardo di Varsavia. Dinamiche di identity-building nel Sud-Est Europa in Età moderna nei “Colloquia Balkanika” / Ligorio, Benedetto. - In: EUROSTUDIUM3W. - ISSN 1973-9443. - 2:55(2020), pp. 173-191.
Lo sguardo di Varsavia. Dinamiche di identity-building nel Sud-Est Europa in Età moderna nei “Colloquia Balkanika”
Benedetto Ligorio
Primo
2020
Abstract
In che modo sono state edificate le identità balcaniche in un’area così multiculturale come quella balcanica, dove un intricato e antico tessuto multietnico era coperto dalla coltre ottomana? La storiografia polacca ha tentato recentemente di fornire delle interessanti risposte ad un quesito cruciale per comprendere l’età moderna nei Balcani. Gli storici hanno preso in esame l’apporto all’identity-building del cosiddetto circolo balcanico della ‘Slavia Orthodoxa’, ovvero la produzione storiografica rivolta al sud-est europeo tra il XVIII e il XIX secolo. In particolare hanno ricoperto un ruolo chiave nella costrizione identitaria opere come la ‘Istorija slavjanobolgarskaja’ del 1762, di Paisij di Hilendar, figura cardine del risveglio nazionale bulgaro del XVIII secolo; la ‘Istorija raznih slovenskih narodov’, pubblicata in 4 volumi tra il 1794 e il 1795 da Jovan Rajić, studioso tra i capostipiti della storiografia serba, che ha costruito il proprio bagaglio culturale viaggiando tra Impero asburgico, Impero ottomano e Impero russo. Ai pioneristici lavori di Rajić e Paisij di Hilendar si sono aggiunti quelli del rivoluzionario macedone Georgi Pulevski autore della ‘Slavjansko maḱedonska opšta istorija’ del 1892 e dell’etnologo serbo Vuk Stefanović Karadžić, autore dello studio storico-etnologico ‘Kovčežić za istoriju, jezik i običaje Srba sva tri zakona’ del 1849 che per la prima volta individuava una comune identità serba come somma di tutte e tre le confessioni degli slavi del sud (cattolica, ortodossa e musulmana). Karadžić, inoltre, nella convinzione che la costruzione dell’identità nazionale serba dovesse fondarsi sulla produzione culturale popolare preservata nel folklore, lavorò senza sosta per raggruppare le tradizioni orali poetico-popolari serbe nelle raccolte ‘Srpske narodne pјesme’ pubblicate tra il 1823-1833 e nella ‘Srpske pjesme iz Hercegovine’ del 1866. Dopo un’attenta analisi tesa ad individuare le strutture di base della costruzione dell’identità dei popoli balcanici, gli storici polacchi hanno messo in evidenza come questi studi fossero legati da una comune metodologia e dall’utilizzo dello stesso bacino bibliografico: l’opera ‘De origine et rebus gestis Polonorum’ di Marcin Kromer del 1555, ripubblicata con sinossi in russo nel 1810 a San Pietroburgo; ‘Il Regno degli Slavi’ pubblicato a Pesaro nel 1601 dal raguseo Mauro Orbini; la cronaca slavo-illirica composta tra il 1684 e il 1688 da Georgius Brankovich conte di Podgorica; la ‘Historia Byzantina’ del francese Charles du Fresne du Cange del 1680, diffusa nei circoli serbi nei territori asburgici dallo storico sloveno-ungherese Ján Tomka-Sásky nella prima metà del XVIII secolo. Tale produzione culturale non era funzionale solo alla costruzione culturale di una storia delle peculiari identità etnico-nazionali bulgare, serbe e macedoni, bensì era inserita nell’ambito di una comune storia del Sud-Est Europa. Nell’alveolo geo-culturale balcanico l’antichità greco-romana confluiva nella koinè bizantina, vettore dell’identità comune degli intellettuali del Sud-Est europeo durante la cattività ottomana.File | Dimensione | Formato | |
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