Il 17 febbraio 1971 Gio Ponti scrive a Luisa Anversa dopo aver visitato il villaggio Valtur di Ostuni, progettato dalla stessa Anversa e aperto al pubblico da poco più di due anni. Per Ponti, Ostuni è “illusione di un piccolo paradiso”, salvezza di fronte a una società contemporanea minacciata da “competizioni ideologiche… e cupidigie commerciali”. L’osservazione di Ponti muove dalla capacità di Anversa di aver saputo ricreare “la realtà naturale di un ambiente” anzitutto volgendo le spalle a quanto vi era attorno: le deturpazioni delle coste italiane, l’espansione delle città, i sempre maggiori conformismi di una nascente società dell’accumulo, nonostante di questo benessere Valtur fosse figlia, e nonostante le volontà di radicamento predicate dall’azienda sin dagli esordi. Effettivamente, all’inizio degli anni Settanta, Valtur si era consolidata come un’alternativa illusoria e provvisoria, meta di una borghesia sedotta dai sentimenti di amnesia e nostalgia su cui Valtur agiva: nostalgia del tempo trascorso al villaggio, amnesia dello spazio e della vita urbana che ci si lasciava alle spalle. Una condizione di alterità, quella di Valtur, che Ponti non esiterà a definire “soccorrevole, proteggente e materna”. In questa prospettiva, il paradiso vagheggiato da Ponti si risolveva in ultima istanza proprio nel femminino, ovvero in quel senso di protezione e custodia che l’architettura del villaggio forniva, e che la stessa azienda promuoveva nell’aspetto domestico e familiare delle sue strutture. Ma è proprio su questa percezione – proteggente e materna – che si materializzerà l’inversione, il corto circuito di una collettività transitoria che opererà in controtendenza rispetto ai canoni e i riti della società del tempo. Contro ogni aspettativa, infatti, il “piccolo paradiso” Valtur sarà non solo il luogo di una domesticità difesa, confinata e immersa entro uno spazio naturalmente materno; ma anche e soprattutto il luogo duale della trasgressione e della violazione; complice anche la rivoluzione dei costumi e delle relazioni che la società post-Sessantotto stava elaborando. Questo saggio indaga la molteplicità e la contraddittorietà di questi aspetti concentrandosi sui primi due villaggi che Luisa Anversa progetta e realizza per Valtur fra il 1965 e il 1969: Ostuni, in Puglia, e Isola di Capo Rizzuto, in Calabria. Nella loro complementarietà, infatti, le due opere rispecchiano in pieno la dimensione tratteggiata da Ponti, contenendo al tempo stesso le premesse per la sua progressiva dissoluzione. Il saggio tenta di indagare modalità ed elementi di questo passaggio – o di questa inattesa convivenza – guardando alla specie e agli usi degli spazi di cui si compongono i due villaggi: nature costruite organizzate su dispositivi che alternativamente rivelano e occultano, mettono in comunicazione e separano, ricombinando corpi e comportamenti secondo nuove convenzioni.
La genesi dei villaggi Valtur nella corrispondenza di Luisa Anversa, 1965-1971 / Donato, Di; Dominicis, De. - In: VESPER. - ISSN 2704-7598. - 10:(2024), pp. 168-174.
La genesi dei villaggi Valtur nella corrispondenza di Luisa Anversa, 1965-1971
Di Donato;De Dominicis
2024
Abstract
Il 17 febbraio 1971 Gio Ponti scrive a Luisa Anversa dopo aver visitato il villaggio Valtur di Ostuni, progettato dalla stessa Anversa e aperto al pubblico da poco più di due anni. Per Ponti, Ostuni è “illusione di un piccolo paradiso”, salvezza di fronte a una società contemporanea minacciata da “competizioni ideologiche… e cupidigie commerciali”. L’osservazione di Ponti muove dalla capacità di Anversa di aver saputo ricreare “la realtà naturale di un ambiente” anzitutto volgendo le spalle a quanto vi era attorno: le deturpazioni delle coste italiane, l’espansione delle città, i sempre maggiori conformismi di una nascente società dell’accumulo, nonostante di questo benessere Valtur fosse figlia, e nonostante le volontà di radicamento predicate dall’azienda sin dagli esordi. Effettivamente, all’inizio degli anni Settanta, Valtur si era consolidata come un’alternativa illusoria e provvisoria, meta di una borghesia sedotta dai sentimenti di amnesia e nostalgia su cui Valtur agiva: nostalgia del tempo trascorso al villaggio, amnesia dello spazio e della vita urbana che ci si lasciava alle spalle. Una condizione di alterità, quella di Valtur, che Ponti non esiterà a definire “soccorrevole, proteggente e materna”. In questa prospettiva, il paradiso vagheggiato da Ponti si risolveva in ultima istanza proprio nel femminino, ovvero in quel senso di protezione e custodia che l’architettura del villaggio forniva, e che la stessa azienda promuoveva nell’aspetto domestico e familiare delle sue strutture. Ma è proprio su questa percezione – proteggente e materna – che si materializzerà l’inversione, il corto circuito di una collettività transitoria che opererà in controtendenza rispetto ai canoni e i riti della società del tempo. Contro ogni aspettativa, infatti, il “piccolo paradiso” Valtur sarà non solo il luogo di una domesticità difesa, confinata e immersa entro uno spazio naturalmente materno; ma anche e soprattutto il luogo duale della trasgressione e della violazione; complice anche la rivoluzione dei costumi e delle relazioni che la società post-Sessantotto stava elaborando. Questo saggio indaga la molteplicità e la contraddittorietà di questi aspetti concentrandosi sui primi due villaggi che Luisa Anversa progetta e realizza per Valtur fra il 1965 e il 1969: Ostuni, in Puglia, e Isola di Capo Rizzuto, in Calabria. Nella loro complementarietà, infatti, le due opere rispecchiano in pieno la dimensione tratteggiata da Ponti, contenendo al tempo stesso le premesse per la sua progressiva dissoluzione. Il saggio tenta di indagare modalità ed elementi di questo passaggio – o di questa inattesa convivenza – guardando alla specie e agli usi degli spazi di cui si compongono i due villaggi: nature costruite organizzate su dispositivi che alternativamente rivelano e occultano, mettono in comunicazione e separano, ricombinando corpi e comportamenti secondo nuove convenzioni.File | Dimensione | Formato | |
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