Il leone ride ancora. L’Africa di Pancho

The Lion Still Laughs. The Africa of Pancho Guedes In Africa, among the many variations and diffusions of the Modern Movement, there have been attempts to incorporate the vernacular qualities of the continent into architectures. However, most of these attempts have often failed, driven by a process of adapting traditional forms to the materials and needs of modernity. In this scenario, the work of Pancho Guedes emerges, capable of producing an original post-colonial and post-modern African architecture. Born in Portugal, educated in Mozambique and South Africa, and a member of Team 10, Guedes is among those architects who, spanning from the Mediterranean to the sub-Saharan region, have sought to activate a flow of ideas, styles, forms, and architectural-artistic sensibilities. His production between the 1950s and 1970s is distinguished by the ‘humanization’ of buildings, during a period of both political and architectural disorientation. His work does not express Portuguese colonization in Africa, but rather the geocultural hybridization that now appears as one of the paths to pursue in asserting African architectural culture. This involves a synthesis process between tradition, modernity and contemporaneity, today especially significant.

In Africa, tra le tante variazioni e diffusioni del Movimento Moderno, ci sono stati tentativi di incorporare le qualità vernacolari del continente nelle architetture. Tuttavia, la maggior parte di questi tentativi sono spesso falliti, guidati da un processo di adattamento delle forme tradizionali ai materiali e alle esigenze della modernità. In questo scenario emerge l'opera di Pancho Guedes, capace di produrre un'originale architettura africana postcoloniale e postmoderna. Nato in Portogallo, formatosi in Mozambico e Sudafrica, membro del Team 10, Guedes è tra quegli architetti che, spaziando dal Mediterraneo alla regione subsahariana, hanno cercato di attivare un flusso di idee, stili, forme e sensibilità architettonico-artistiche. La sua produzione tra gli anni '50 e '70 si distingue per l'“umanizzazione” degli edifici, in un periodo di disorientamento politico e architettonico. Il suo lavoro non esprime la colonizzazione portoghese in Africa, ma piuttosto l'ibridazione geoculturale che oggi appare come una delle strade da percorrere per affermare la cultura architettonica africana. Si tratta di un processo di sintesi tra tradizione, modernità e contemporaneità, oggi particolarmente significativo.