Tra le opere più citate di Raffaello, la c.d. Pianta di Roma Antica resta fra le più misteriose. Eppure, nella Lettera a Leone X, Raffaello stesso ne descrive alcune qualità ineludibili, come un attento studio e rilievo topografico, o la rappresentazione degli edifici in pianta, sezione ed alzato, che da sole basterebbero ad escludere alcune proposte di identificazione, prima fra tutte quelle con la Roma Antica di Fabio Calvo. Nonostante una genericamente ammessa contemporaneità di concezione, nulla negli ideogrammi di Fabio Calvo riflette il reale interesse topografico e architettonico che letteralmente infiamma il Raffaello della Lettera. Si ritiene ora di avere identificato tracce significative dell’intento di Raffaello nell’opera di artisti a lui immediatamente connessi, i quali però, stando a quanto comunemente ammesso dagli studi, non coltivavano lo stesso interesse, o per lo meno non lo coltivavano allo stesso fine. In primis Antonio da Sangallo il Giovane, che intorno al 1518 effettua una vera e propria campagna di rilievo archeologico nell’area compresa tra la Curia (allora S. Adriano), S. Martina, il Muraglione dei Pantani e le “Colonnacce”, con una metodologia che esclude qualsiasi altro fine se non quello topografico, con ogni evidenza finalizzato a produrre un’immagine integrata e ricostruita, più che un rilievo dello stato di fatto. Contemporaneamente Baldassarre Peruzzi rileva una porzione della stessa area con il metodo già enunciato da L. B. Alberti e ripreso poi, almeno teoricamente, da Raffaello, ovvero tramite la bussola. Il suo interesse, però, sembra maggiormente rivolto agli alzati dei monumenti della stessa area interessata dai rilievi di Antonio, creando un corpus che notoriamente fungerà da base per l’opera di Serlio. Particolarmente preziosa la proposta di ricostruzione dell’interno della cella del tempio di Marte Ultore, più volte messa in dubbio, ma della cui veridicità proprio i rilievi di Antonio sono testimonianza evidente. Dopo la morte di Raffaello, Peruzzi riutilizza il suo rilevo dell’area tra S. Adriano e s. Martina per un’occasione professionale; Antonio abbandona ogni interesse per l’area dei Fori, salvo riprenderlo negli Anni Quaranta, in maniera diversissima, forse addirittura come mentore di un giovanissimo Andrea Palladio. Avendo peraltro potuto documentare che i tre disegni “in pulito” che riassumono le battute topografiche di Antonio da Sangallo sono non soltanto alla stessa scala, ma combaciano tra di loro (o riportano le istruzioni per collegare due rilevi troppo distanti), non avendo trovato traccia di un così precoce e maturo interesse archeologico dello stesso Antonio, si propone di concludere che con ogni probabilità Raffaello, cuore e mente del progetto di ricostruzione archeologica della Roma Antica, ne avesse demandato ai suoi migliori allievi l’esecuzione pratica (come accadrebbe in qualsiasi studio professionale ancora oggi) riservandosi poi di effettuarne le sintesi e di presentarne, in prima persona e magistralmente, gli stadi di avanzamento al Papa: il che coincide con quanto riferito da M. A. Michiel. Ma a interrompere l’impresa non fu soltanto la morte del Maestro. Come era già manifesto al momento dell’abortito tentativo di ricostruzione in pianta della Roma Antica ad opera di L. B. Alberti, e contrariamente a quanto si immagina oggi, della Roma Antica, tra crolli e interri, tra vegetazione spontanea, ortaglie e costruzioni “moderne”, si vedeva e si riconosceva pochissimo: della zona dei Fori, in particolare, solo quanto rilevato da Antonio da Sangallo (che mostra un imprevedibile fiuto per le identificazioni, spesso più azzeccate di quelle dei letterati coevi). Una lettura letterale di Vitruvio, priva cioè di capacità filologiche diacroniche, aveva già impedito ad Alberti, per esempio, di ritenere antiche le Mura di Aureliano, perché non corrispondevano, appunto, ai precetti vitruviani in materia di fortificazioni. A fronte di una tale carenza di capisaldi e riferimenti, orbati della guida più filologicamente accorta di Raffaello, anche i suoi allievi lasciarono cadere il progetto.

La Roma Antica di Raffaello / Viscogliosi, Alessandro. - (2023), pp. 405-415. (Intervento presentato al convegno Raffaello in Vaticano tenutosi a Città del Vaticano).

La Roma Antica di Raffaello

Alessandro Viscogliosi
2023

Abstract

Tra le opere più citate di Raffaello, la c.d. Pianta di Roma Antica resta fra le più misteriose. Eppure, nella Lettera a Leone X, Raffaello stesso ne descrive alcune qualità ineludibili, come un attento studio e rilievo topografico, o la rappresentazione degli edifici in pianta, sezione ed alzato, che da sole basterebbero ad escludere alcune proposte di identificazione, prima fra tutte quelle con la Roma Antica di Fabio Calvo. Nonostante una genericamente ammessa contemporaneità di concezione, nulla negli ideogrammi di Fabio Calvo riflette il reale interesse topografico e architettonico che letteralmente infiamma il Raffaello della Lettera. Si ritiene ora di avere identificato tracce significative dell’intento di Raffaello nell’opera di artisti a lui immediatamente connessi, i quali però, stando a quanto comunemente ammesso dagli studi, non coltivavano lo stesso interesse, o per lo meno non lo coltivavano allo stesso fine. In primis Antonio da Sangallo il Giovane, che intorno al 1518 effettua una vera e propria campagna di rilievo archeologico nell’area compresa tra la Curia (allora S. Adriano), S. Martina, il Muraglione dei Pantani e le “Colonnacce”, con una metodologia che esclude qualsiasi altro fine se non quello topografico, con ogni evidenza finalizzato a produrre un’immagine integrata e ricostruita, più che un rilievo dello stato di fatto. Contemporaneamente Baldassarre Peruzzi rileva una porzione della stessa area con il metodo già enunciato da L. B. Alberti e ripreso poi, almeno teoricamente, da Raffaello, ovvero tramite la bussola. Il suo interesse, però, sembra maggiormente rivolto agli alzati dei monumenti della stessa area interessata dai rilievi di Antonio, creando un corpus che notoriamente fungerà da base per l’opera di Serlio. Particolarmente preziosa la proposta di ricostruzione dell’interno della cella del tempio di Marte Ultore, più volte messa in dubbio, ma della cui veridicità proprio i rilievi di Antonio sono testimonianza evidente. Dopo la morte di Raffaello, Peruzzi riutilizza il suo rilevo dell’area tra S. Adriano e s. Martina per un’occasione professionale; Antonio abbandona ogni interesse per l’area dei Fori, salvo riprenderlo negli Anni Quaranta, in maniera diversissima, forse addirittura come mentore di un giovanissimo Andrea Palladio. Avendo peraltro potuto documentare che i tre disegni “in pulito” che riassumono le battute topografiche di Antonio da Sangallo sono non soltanto alla stessa scala, ma combaciano tra di loro (o riportano le istruzioni per collegare due rilevi troppo distanti), non avendo trovato traccia di un così precoce e maturo interesse archeologico dello stesso Antonio, si propone di concludere che con ogni probabilità Raffaello, cuore e mente del progetto di ricostruzione archeologica della Roma Antica, ne avesse demandato ai suoi migliori allievi l’esecuzione pratica (come accadrebbe in qualsiasi studio professionale ancora oggi) riservandosi poi di effettuarne le sintesi e di presentarne, in prima persona e magistralmente, gli stadi di avanzamento al Papa: il che coincide con quanto riferito da M. A. Michiel. Ma a interrompere l’impresa non fu soltanto la morte del Maestro. Come era già manifesto al momento dell’abortito tentativo di ricostruzione in pianta della Roma Antica ad opera di L. B. Alberti, e contrariamente a quanto si immagina oggi, della Roma Antica, tra crolli e interri, tra vegetazione spontanea, ortaglie e costruzioni “moderne”, si vedeva e si riconosceva pochissimo: della zona dei Fori, in particolare, solo quanto rilevato da Antonio da Sangallo (che mostra un imprevedibile fiuto per le identificazioni, spesso più azzeccate di quelle dei letterati coevi). Una lettura letterale di Vitruvio, priva cioè di capacità filologiche diacroniche, aveva già impedito ad Alberti, per esempio, di ritenere antiche le Mura di Aureliano, perché non corrispondevano, appunto, ai precetti vitruviani in materia di fortificazioni. A fronte di una tale carenza di capisaldi e riferimenti, orbati della guida più filologicamente accorta di Raffaello, anche i suoi allievi lasciarono cadere il progetto.
2023
Raffaello in Vaticano
Raffaello; Antonio da Sangallo il Giovane; pianta di Roma Antica
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
La Roma Antica di Raffaello / Viscogliosi, Alessandro. - (2023), pp. 405-415. (Intervento presentato al convegno Raffaello in Vaticano tenutosi a Città del Vaticano).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1706693
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