Figure della città convessa. La costruzione di un lessico dello spazio aperto nei quartieri del moderno

La questione della trasformazione dei quartieri d’abitazione del moderno, che da ormai alcuni decenni impegna studiosi e progettisti tra le opposte istanze di demolizione e conservazione, sta assumendo in Italia e in ambito internazionale un’importanza sempre crescente, soprattutto in relazione ai temi della rigenerazione urbana, dell’ecologia, dello spazio pubblico, in accordo con le attuali linee di ricerca che, con sempre più convinzione, tentano di spostare il focus dall’ontologia degli oggetti verso lo spazio tra le cose. La tesi di Dottorato che qui si presenta, propone di guardare ai grandi complessi d’abitazione del Novecento proprio a partire dai loro “spazi aperti”, cercando di indagare le modalità operative con cui questi sono stati immaginati, progettati e costruiti. In tal senso, con l’accezione “città convessa”, si è tentato di dare un nome a quella condizione spaziale riconoscibile nella presenza di volumi architettonici disposti liberamente su un piano isotropo e illimitato, che risponde al cliché funzionalista della tabula rasa e che in questa ricerca diviene il vero oggetto dell’indagine. L’obiettivo è tuttavia il superamento di tale retorica, per aprire a nuovi e più complessi strumenti di lettura e rappresentazione, che aiutino a riconoscere il valore dei principi spaziali su cui si fonda questo modello insediativo. Individuando le regole che sottendono al progetto e alla costruzione dello spazio aperto, si è cercato di far emergere le modalità con cui gli architetti di quella fase storica hanno tentato di articolare un nuovo discorso sulla città, non più fondato sulla continuità del tessuto, quanto piuttosto su un nuovo rapporto tra natura e abitare.