La questione dell’incompiuto nell’opera letteraria può essere indagata da molteplici punti di vista. Guar-dando all’ampio orizzonte della filologia d’autore e, più nello specifico, al campo dell’ecdotica, l’insieme del materiale preparatorio costituito da bozze, carte e frammenti, manoscritti o a stampa, spesso testi-monia la redazione di opere mai giunte a conclusione. Esempi di ecdotica dell’opera incompiuta sono presenti nella letteratura italiana sin dalle origini. Tra i casi meritevoli di attenzione, si può citare quello di Petrarca, i cui lavori sono già stati oggetto in anni recenti di attente valutazioni filologiche (Africa, Triumphus Eternitatis), ma anche le Grazie di Foscolo, gli scritti linguistici di Manzoni così come il Fermo e Lucia, fino a giungere in epoca contemporanea ai complessi casi editoriali dei postumi fenogliani (Una questione privata, Il partigiano Johnny) e pasoliniani (Petrolio). Non mancano, tra l’altro, le possibilità di con-fronto con le letterature europee, se si pensa, a mero titolo di esempio, ai molti incompiuti dell’opera di Mallarmé e alla pubblicazione quasi integralmente postuma degli scritti di Franz Kafka. Nel campo dell’ecdotica dell’opera postuma l’aggettivo può essere inteso, come da Giulio Ferroni, in una duplice accezione: non solo, cioè, relativamente alla pubblicazione di un’opera post mortem, spesso a se-guito di un atto editoriale che si pone come sostitutivo della volontà autoriale, o comunque come suo completamento sulla base di più o meno condivisi criteri filologici, ma anche all’essere postumo dell’opera stessa, nell’ottica della sua ricezione e fortuna. Su questa linea, ulteriori prospettive di studio analizzano il rapporto tra i concetti di fine e di forma: si pensi a The Sense of an Ending: Studies in the Theo-ry of Fiction di Frank Kermode, sulla relazione tra forma del finale e scansione temporale del romanzo, nonché agli studi sulla “drammaturgia della fine” di Beatrice Alfonzetti, incentrati sulla codificazione del rapporto tra finale di un’opera e genere letterario. Proprio lo studio attorno alla conclusione dei testi si configura come prospettiva critica ed ermeneutica da affiancare al concetto di “opera aperta”. Punto cardine della riflessione è la pubblicazione nel 1962 del saggio Opera aperta di Umberto Eco, in cui si propone una ricognizione storiografica delle risposte della letteratura contemporanea di fronte alla crisi dei valori assoluti della cultura occidentale: le nuove suggestioni della fisica, della psicologia e delle scienze generano, infatti, una percezione “frammentaria” del mondo. Secondo Eco, nel Novecento è James Joyce a farsi portavoce del nuovo stile, intenzional-mente “non finito”, aperto a ogni interpretazione, mentre Calvino, che ne riprende la lezione nelle Le-zioni americane dedicate alle qualità dell’Esattezza e della Molteplicità, fornisce una serie di esempi che spaziano da Leopardi a Perec. Del resto, l’estetica del frammentismo non si limita al contemporaneo. Tradizionalmente essa viene ri-condotta alle origini della letteratura moderna, quando gli Essais di Montaigne si fanno modello dell’elaborazione di un pensiero asistematico e soggettivo; non a caso saranno molti gli scrittori e le scrittrici che, accompagnando la propria opera con riflessioni di tipo saggistico, ne determinano il por-tato costitutivamente semilavorato e costantemente in fieri. D’altro canto, in La préparation du roman Ro-land Barthes individua il germe di tale estetica nel Romanticismo tedesco, teorizzando un nuovo tipo di romanzo contemporaneo aperto e polimorfico. L’idea, inoltre, non è assente dal contesto della lettera-tura delle origini, come mostra Sonia Gentili: è proprio in tale estetica, tipica del contesto culturale me-dievale, che i Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca mettono radice. Alla luce di questi spunti, il seminario si propone di accogliere contributi che affrontino la tematica dell’opera incompiuta e dell’incompiuto letterario nella letteratura italiana e, in prospettiva comparata, anche nelle altre letterature. Saranno accettate proposte sia focalizzate su singoli casi di studio, sia legate a prospettive teoriche. In particolare, saranno graditi interventi che riguardino i seguenti ambiti di stu-dio e ricerca: 1. L’ecdotica dell’opera incompiuta, ovvero carte, abbozzi, frammenti; 2. L’opera incompiuta come intenzione autoriale; 3. Le opere postume, con particolare riguardo agli interventi editoriali e filologici; 4. L’opera aperta e l’estetica del frammentismo lungo i secoli; 5. Gli studi sui finali delle opere; 6. Gli scrittori-saggisti, ovvero il rapporto tra la scrittura creativa e l’autoriflessione saggistica.
Opera aperta, opera incompiuta. Forme e questioni del "non-finito" letterario / Bonasia, Mattia; Canazza, Alessandro; DE LUCA, Lorenzo; Elia, Annamaria; Mohamed, SARA TAHA ELTAHER IBRAHIM; Mari, Giulia; Sabia, Mara; Valigi, Elena. - (2024). (Intervento presentato al convegno Opera aperta, opera incompiuta. Forme e questioni del "non-finito" letterario tenutosi a La Sapienza Università di Roma. Aula di Archeologia. Edificio di Lettere e Filosofia nel 15-16 gennaio 2024).
Opera aperta, opera incompiuta. Forme e questioni del "non-finito" letterario
Mattia Bonasia;Alessandro Canazza;Lorenzo De Luca;Annamaria Elia;Sara Taha Eltaher Ibrahim;Giulia Mari;Mara Sabia;Elena Valigi
2024
Abstract
La questione dell’incompiuto nell’opera letteraria può essere indagata da molteplici punti di vista. Guar-dando all’ampio orizzonte della filologia d’autore e, più nello specifico, al campo dell’ecdotica, l’insieme del materiale preparatorio costituito da bozze, carte e frammenti, manoscritti o a stampa, spesso testi-monia la redazione di opere mai giunte a conclusione. Esempi di ecdotica dell’opera incompiuta sono presenti nella letteratura italiana sin dalle origini. Tra i casi meritevoli di attenzione, si può citare quello di Petrarca, i cui lavori sono già stati oggetto in anni recenti di attente valutazioni filologiche (Africa, Triumphus Eternitatis), ma anche le Grazie di Foscolo, gli scritti linguistici di Manzoni così come il Fermo e Lucia, fino a giungere in epoca contemporanea ai complessi casi editoriali dei postumi fenogliani (Una questione privata, Il partigiano Johnny) e pasoliniani (Petrolio). Non mancano, tra l’altro, le possibilità di con-fronto con le letterature europee, se si pensa, a mero titolo di esempio, ai molti incompiuti dell’opera di Mallarmé e alla pubblicazione quasi integralmente postuma degli scritti di Franz Kafka. Nel campo dell’ecdotica dell’opera postuma l’aggettivo può essere inteso, come da Giulio Ferroni, in una duplice accezione: non solo, cioè, relativamente alla pubblicazione di un’opera post mortem, spesso a se-guito di un atto editoriale che si pone come sostitutivo della volontà autoriale, o comunque come suo completamento sulla base di più o meno condivisi criteri filologici, ma anche all’essere postumo dell’opera stessa, nell’ottica della sua ricezione e fortuna. Su questa linea, ulteriori prospettive di studio analizzano il rapporto tra i concetti di fine e di forma: si pensi a The Sense of an Ending: Studies in the Theo-ry of Fiction di Frank Kermode, sulla relazione tra forma del finale e scansione temporale del romanzo, nonché agli studi sulla “drammaturgia della fine” di Beatrice Alfonzetti, incentrati sulla codificazione del rapporto tra finale di un’opera e genere letterario. Proprio lo studio attorno alla conclusione dei testi si configura come prospettiva critica ed ermeneutica da affiancare al concetto di “opera aperta”. Punto cardine della riflessione è la pubblicazione nel 1962 del saggio Opera aperta di Umberto Eco, in cui si propone una ricognizione storiografica delle risposte della letteratura contemporanea di fronte alla crisi dei valori assoluti della cultura occidentale: le nuove suggestioni della fisica, della psicologia e delle scienze generano, infatti, una percezione “frammentaria” del mondo. Secondo Eco, nel Novecento è James Joyce a farsi portavoce del nuovo stile, intenzional-mente “non finito”, aperto a ogni interpretazione, mentre Calvino, che ne riprende la lezione nelle Le-zioni americane dedicate alle qualità dell’Esattezza e della Molteplicità, fornisce una serie di esempi che spaziano da Leopardi a Perec. Del resto, l’estetica del frammentismo non si limita al contemporaneo. Tradizionalmente essa viene ri-condotta alle origini della letteratura moderna, quando gli Essais di Montaigne si fanno modello dell’elaborazione di un pensiero asistematico e soggettivo; non a caso saranno molti gli scrittori e le scrittrici che, accompagnando la propria opera con riflessioni di tipo saggistico, ne determinano il por-tato costitutivamente semilavorato e costantemente in fieri. D’altro canto, in La préparation du roman Ro-land Barthes individua il germe di tale estetica nel Romanticismo tedesco, teorizzando un nuovo tipo di romanzo contemporaneo aperto e polimorfico. L’idea, inoltre, non è assente dal contesto della lettera-tura delle origini, come mostra Sonia Gentili: è proprio in tale estetica, tipica del contesto culturale me-dievale, che i Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca mettono radice. Alla luce di questi spunti, il seminario si propone di accogliere contributi che affrontino la tematica dell’opera incompiuta e dell’incompiuto letterario nella letteratura italiana e, in prospettiva comparata, anche nelle altre letterature. Saranno accettate proposte sia focalizzate su singoli casi di studio, sia legate a prospettive teoriche. In particolare, saranno graditi interventi che riguardino i seguenti ambiti di stu-dio e ricerca: 1. L’ecdotica dell’opera incompiuta, ovvero carte, abbozzi, frammenti; 2. L’opera incompiuta come intenzione autoriale; 3. Le opere postume, con particolare riguardo agli interventi editoriali e filologici; 4. L’opera aperta e l’estetica del frammentismo lungo i secoli; 5. Gli studi sui finali delle opere; 6. Gli scrittori-saggisti, ovvero il rapporto tra la scrittura creativa e l’autoriflessione saggistica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.