Il presente contributo indaga le diete mediali e le pratiche d’uso dei social media, le percezioni dei contenuti relativi alle estetiche di genere promossi online e i processi di autorappresentazione di giovani ragazze fra i 13 e i 24 anni a cui sia stato diagnosticato un disturbo del comportamento alimentare (gruppo di interesse), a confronto con ragazze nella medesima fascia di età che non presentano tali patologie (gruppo di controllo). Negli ultimi anni, sulla scorta dell’ampia letteratura relativa ai mass media come strumenti di promozione di canoni estetici irrealistici (Field et al. 1999; Fouts, Burggraf 2000; Garner et al. 1980; Wykes, Gunter 2004; Wolf 1991) – che per le donne sono legate a fisici estremamente magri –, e alla correlazione fra consumo degli stessi e problematiche legate all’immagine corporea (Albright 2007; Bell, Dittmar 2011; Kinnally, Van Vonderen 2014), studi appartenenti a discipline diverse – principalmente di matrice psicologica e medica – hanno iniziato ad approfondire le rappresentazioni veicolate all’interno dei social network sites e i possibili “effetti” del loro consumo. Il quadro che si delinea è complesso e composito: i processi di autorappresentazione degli user-creator, infatti, permettono una più ampia gamma di raffigurazioni che si intrecciano con quelle tradizionali, talvolta riproducendole, altre contrastandole, sebbene non sempre con esiti positivi (Brathwaite, DeAndrea 2021; Carrotte, Prichard, Lim 2017; Cohen, Newton-John, Slater 2020; Fardouly, Willburger, Vertanian 2017; Lazuka et al. 2020). Inoltre, emerge la tendenza ad associare all’esposizione di rappresentazioni estetiche promosse dalle piattaforme digitali conseguenze negative sulla salute mentale degli individui, che possono contribuire all’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare o DCA (Fardouly, Vartanian 2015; Mingoia et al. 2017; Saiphoo, Vahedi 2019). Alla luce di ciò, il lavoro si pone l’obiettivo di rilevare eventuali punti di contatto e di distanza fra gruppo di interesse e di controllo nelle pratiche che negli ambienti digitali hanno luogo, fornendo un contributo di carattere sociologico allo studio del rapporto fra media e disordini alimentari, fino ad oggi appannaggio della psicologia e della medicina. Tra i diversi social network sites, si è deciso di prendere in esame Instagram e TikTok sia perché in entrambi l’immagine ha un ruolo centrale (Fardouly, Willburger, Vartanian 2018; Liu 2021) sia perché sono tra i più utilizzati dai giovani (Kennedy 2020). Data la natura qualitativa dello studio, come strumenti di indagine sono stati scelti l’osservazione partecipante, svolta all’interno di due strutture extra-ospedaliere, e le interviste semi-strutturate, condotte su un totale di 50 partecipanti. In particolare, il primo è stato utilizzato in maniera strumentale all’elaborazione della traccia dell’intervista e a definire il registro linguistico più adatto, vista la specificità e le caratteristiche del gruppo con il quale si intendeva interfacciarsi. Nell’insieme, non si rilevano punti di divergenza significativi nelle percezioni e pratiche due gruppi. Semmai, emergono differenze nell’uso e nelle percezioni di Instagram e TikTok ad indicare come, nonostante le due piattaforme siano impegnate in un continuo e reciproco meccanismo imitativo, il modo di abitare questi spazi risponda ormai a logiche e pratiche condivise non sovrapponibili. Sebbene “vecchi e nuovi” mezzi di comunicazione siano pienamente parte della vita degli individui, infatti, nelle diete mediali delle partecipanti allo studio questa coesistenza si declina in termini di una marcata centralità del digitale e, in particolare, dei due SNSs oggetto di indagine, e marginalità di tutti gli altri mezzi di comunicazione. Questo aspetto non varia nemmeno quando l’utilizzo avviene entro i limiti imposti di un ambiente “tecnofobico” come quello delle strutture in cui sono ricoverate le ragazze con DCA. L’utilizzo delle due piattaforme, comunque, si traduce in attività di passively consuming (Shao 2009), ossia consumo tendenzialmente passivo dei contenuti condivisi da altri, soprattutto nel caso di TikTok, coerentemente con l’idea che esse siano risorse contro la noia e rispondano, come ben colto dalla teoria degli Usi e Gratificazioni (Katz, Gurevitch, Haas 1974), alla volontà di essere intrattenuti. In tal senso, dunque, forse, stiamo assistendo a un processo di “disincantamento” dei digital media, nella misura in cui tende a ridursi la distanza con i mass media, che non includono possibilità di interagire o condividere user-generated content. A orientare queste trasformazioni sembrano essere le affordances di piattaforma, quelle di TikTok nello specifico, che permettono la definizione di feed sempre più personalizzati, in cui la rete di contatti è presente ma la sua importanza appare limitata. Inoltre, l’intersezione tra il consumo privato di entertainment e il coinvolgimento in termini di socialità sembra dar vita a una nuova, peculiare, categoria di virtual togetherness (Bakardjieva 2003) – intesa come forma «of being and acting together» (ivi, p.294) – che mette al centro il primo, declinato in termini di “allontanamento temporaneo dal contesto fisico di riferimento” e “immersione nella vita altrui” e affiancato dalla possibilità di intrattenere relazioni sociali più o meno profonde. In tale contesto, comunque, la percezione è che il corpo femminile rimanga assolutamente centrale, inserendosi un’intricata rete di raffigurazioni, non interpretabile nei soli termini di riproposizione online di stereotipi tradizionali o nuove narrazioni. Le immagini che ogni giorno vengono fruite tendono per lo più a rinforzare la tirannia della perfezione (Gill 2023), in quanto al centro vi sono estetiche femminili volte alla magrezza estrema e prive di qualsiasi “difetto”, frutto di alterazioni digitali; questi contenuti sono però affiancati da tentativi, per adesso sporadici, ma percepiti come sintomatici di un cambiamento in atto, di decostruire l’apparente perfezione a favore di rappresentazioni più realistiche, in parte afferenti alla corrente body positivity, percepita più come un tema caldo di dibattito che come una forma di attivismo sociale. Inoltre, se Instagram è inquadrata come body-centric e appearance-based platform, TikTok assume connotazioni più sfumate, in quanto ospita una molteplicità di contenuti diversi, nei quali l’apparenza ha un ruolo importante ma non è necessariamente il fulcro intorno al quale si sviluppano i feed delle utenti. Rispetto agli stimoli visuali che provengono da Instagram e TikTok, la capacità critica delle intervistate appare elevata e i contenuti non vengono acriticamente accettati. La bellezza veicolata online, infatti, viene percepita come falsa e irrealistica, riconoscendone la natura artefatta. Il ritratto che ne emerge è quello di una “bellezza digitale”, in cui elementi naturali si fondono con alterazioni digitali dando vita a corpi ibridi, che esistono solo all’interno del frame che li rappresenta. La digitized dysmorphia (Coy-Dibley 2016) del corpo femminile, come condizione culturalmente e socialmente costituita, appare evidente nella misura in cui le attività di editing sono talmente normalizzate tra gli utenti della piattaforma da costituire un requisito necessario per potersi mostrare ed ottenere approvazione sociale. Questi aspetti si riflettono anche nelle pratiche di rappresentazione del sé che, per quanto sporadiche e prerogativa di Instagram, permettono di cogliere pienamente la complessità che caratterizza gli ambienti digitali, in cui ogni utente è incoraggiato a gestire sé stesso come fosse un brand (Farci, Scarcelli 2022). All’interno di questi ultimi, infatti, l’esigenza di conformarsi alle logiche estetiche dominanti è inserita in un processo di rinegoziazione continua con la necessità di rimanere autentici, che si traduce nel bisogno di aderenza fra immagine online e offline, dettata anche dal timore di poter essere giudicati negativamente dal gruppo dei pari se percepiti come “inautentici”. Nel complesso, le esperienze e le pratiche online rispondono a logiche condivise in cui la presenza di un disturbo alimentare non sembra essere influente. In tal senso, pur senza mettere in discussione la generale tirannia della perfezione che pervade questi spazi, la correlazione fra percezione dismorfica di sé stessi e consumo di contenuti (mass e social) mediatici non appare supportata.

Giovani, genere e corpi. Forme e processi di (auto)rappresentazione su Instagram e TikTok / Carbonari, Maddalena. - (2024 Jan 18).

Giovani, genere e corpi. Forme e processi di (auto)rappresentazione su Instagram e TikTok

CARBONARI, MADDALENA
18/01/2024

Abstract

Il presente contributo indaga le diete mediali e le pratiche d’uso dei social media, le percezioni dei contenuti relativi alle estetiche di genere promossi online e i processi di autorappresentazione di giovani ragazze fra i 13 e i 24 anni a cui sia stato diagnosticato un disturbo del comportamento alimentare (gruppo di interesse), a confronto con ragazze nella medesima fascia di età che non presentano tali patologie (gruppo di controllo). Negli ultimi anni, sulla scorta dell’ampia letteratura relativa ai mass media come strumenti di promozione di canoni estetici irrealistici (Field et al. 1999; Fouts, Burggraf 2000; Garner et al. 1980; Wykes, Gunter 2004; Wolf 1991) – che per le donne sono legate a fisici estremamente magri –, e alla correlazione fra consumo degli stessi e problematiche legate all’immagine corporea (Albright 2007; Bell, Dittmar 2011; Kinnally, Van Vonderen 2014), studi appartenenti a discipline diverse – principalmente di matrice psicologica e medica – hanno iniziato ad approfondire le rappresentazioni veicolate all’interno dei social network sites e i possibili “effetti” del loro consumo. Il quadro che si delinea è complesso e composito: i processi di autorappresentazione degli user-creator, infatti, permettono una più ampia gamma di raffigurazioni che si intrecciano con quelle tradizionali, talvolta riproducendole, altre contrastandole, sebbene non sempre con esiti positivi (Brathwaite, DeAndrea 2021; Carrotte, Prichard, Lim 2017; Cohen, Newton-John, Slater 2020; Fardouly, Willburger, Vertanian 2017; Lazuka et al. 2020). Inoltre, emerge la tendenza ad associare all’esposizione di rappresentazioni estetiche promosse dalle piattaforme digitali conseguenze negative sulla salute mentale degli individui, che possono contribuire all’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare o DCA (Fardouly, Vartanian 2015; Mingoia et al. 2017; Saiphoo, Vahedi 2019). Alla luce di ciò, il lavoro si pone l’obiettivo di rilevare eventuali punti di contatto e di distanza fra gruppo di interesse e di controllo nelle pratiche che negli ambienti digitali hanno luogo, fornendo un contributo di carattere sociologico allo studio del rapporto fra media e disordini alimentari, fino ad oggi appannaggio della psicologia e della medicina. Tra i diversi social network sites, si è deciso di prendere in esame Instagram e TikTok sia perché in entrambi l’immagine ha un ruolo centrale (Fardouly, Willburger, Vartanian 2018; Liu 2021) sia perché sono tra i più utilizzati dai giovani (Kennedy 2020). Data la natura qualitativa dello studio, come strumenti di indagine sono stati scelti l’osservazione partecipante, svolta all’interno di due strutture extra-ospedaliere, e le interviste semi-strutturate, condotte su un totale di 50 partecipanti. In particolare, il primo è stato utilizzato in maniera strumentale all’elaborazione della traccia dell’intervista e a definire il registro linguistico più adatto, vista la specificità e le caratteristiche del gruppo con il quale si intendeva interfacciarsi. Nell’insieme, non si rilevano punti di divergenza significativi nelle percezioni e pratiche due gruppi. Semmai, emergono differenze nell’uso e nelle percezioni di Instagram e TikTok ad indicare come, nonostante le due piattaforme siano impegnate in un continuo e reciproco meccanismo imitativo, il modo di abitare questi spazi risponda ormai a logiche e pratiche condivise non sovrapponibili. Sebbene “vecchi e nuovi” mezzi di comunicazione siano pienamente parte della vita degli individui, infatti, nelle diete mediali delle partecipanti allo studio questa coesistenza si declina in termini di una marcata centralità del digitale e, in particolare, dei due SNSs oggetto di indagine, e marginalità di tutti gli altri mezzi di comunicazione. Questo aspetto non varia nemmeno quando l’utilizzo avviene entro i limiti imposti di un ambiente “tecnofobico” come quello delle strutture in cui sono ricoverate le ragazze con DCA. L’utilizzo delle due piattaforme, comunque, si traduce in attività di passively consuming (Shao 2009), ossia consumo tendenzialmente passivo dei contenuti condivisi da altri, soprattutto nel caso di TikTok, coerentemente con l’idea che esse siano risorse contro la noia e rispondano, come ben colto dalla teoria degli Usi e Gratificazioni (Katz, Gurevitch, Haas 1974), alla volontà di essere intrattenuti. In tal senso, dunque, forse, stiamo assistendo a un processo di “disincantamento” dei digital media, nella misura in cui tende a ridursi la distanza con i mass media, che non includono possibilità di interagire o condividere user-generated content. A orientare queste trasformazioni sembrano essere le affordances di piattaforma, quelle di TikTok nello specifico, che permettono la definizione di feed sempre più personalizzati, in cui la rete di contatti è presente ma la sua importanza appare limitata. Inoltre, l’intersezione tra il consumo privato di entertainment e il coinvolgimento in termini di socialità sembra dar vita a una nuova, peculiare, categoria di virtual togetherness (Bakardjieva 2003) – intesa come forma «of being and acting together» (ivi, p.294) – che mette al centro il primo, declinato in termini di “allontanamento temporaneo dal contesto fisico di riferimento” e “immersione nella vita altrui” e affiancato dalla possibilità di intrattenere relazioni sociali più o meno profonde. In tale contesto, comunque, la percezione è che il corpo femminile rimanga assolutamente centrale, inserendosi un’intricata rete di raffigurazioni, non interpretabile nei soli termini di riproposizione online di stereotipi tradizionali o nuove narrazioni. Le immagini che ogni giorno vengono fruite tendono per lo più a rinforzare la tirannia della perfezione (Gill 2023), in quanto al centro vi sono estetiche femminili volte alla magrezza estrema e prive di qualsiasi “difetto”, frutto di alterazioni digitali; questi contenuti sono però affiancati da tentativi, per adesso sporadici, ma percepiti come sintomatici di un cambiamento in atto, di decostruire l’apparente perfezione a favore di rappresentazioni più realistiche, in parte afferenti alla corrente body positivity, percepita più come un tema caldo di dibattito che come una forma di attivismo sociale. Inoltre, se Instagram è inquadrata come body-centric e appearance-based platform, TikTok assume connotazioni più sfumate, in quanto ospita una molteplicità di contenuti diversi, nei quali l’apparenza ha un ruolo importante ma non è necessariamente il fulcro intorno al quale si sviluppano i feed delle utenti. Rispetto agli stimoli visuali che provengono da Instagram e TikTok, la capacità critica delle intervistate appare elevata e i contenuti non vengono acriticamente accettati. La bellezza veicolata online, infatti, viene percepita come falsa e irrealistica, riconoscendone la natura artefatta. Il ritratto che ne emerge è quello di una “bellezza digitale”, in cui elementi naturali si fondono con alterazioni digitali dando vita a corpi ibridi, che esistono solo all’interno del frame che li rappresenta. La digitized dysmorphia (Coy-Dibley 2016) del corpo femminile, come condizione culturalmente e socialmente costituita, appare evidente nella misura in cui le attività di editing sono talmente normalizzate tra gli utenti della piattaforma da costituire un requisito necessario per potersi mostrare ed ottenere approvazione sociale. Questi aspetti si riflettono anche nelle pratiche di rappresentazione del sé che, per quanto sporadiche e prerogativa di Instagram, permettono di cogliere pienamente la complessità che caratterizza gli ambienti digitali, in cui ogni utente è incoraggiato a gestire sé stesso come fosse un brand (Farci, Scarcelli 2022). All’interno di questi ultimi, infatti, l’esigenza di conformarsi alle logiche estetiche dominanti è inserita in un processo di rinegoziazione continua con la necessità di rimanere autentici, che si traduce nel bisogno di aderenza fra immagine online e offline, dettata anche dal timore di poter essere giudicati negativamente dal gruppo dei pari se percepiti come “inautentici”. Nel complesso, le esperienze e le pratiche online rispondono a logiche condivise in cui la presenza di un disturbo alimentare non sembra essere influente. In tal senso, pur senza mettere in discussione la generale tirannia della perfezione che pervade questi spazi, la correlazione fra percezione dismorfica di sé stessi e consumo di contenuti (mass e social) mediatici non appare supportata.
18-gen-2024
File allegati a questo prodotto
File Dimensione Formato  
Tesi_dottorato_Carbonari.pdf

accesso aperto

Note: Tesi completa
Tipologia: Tesi di dottorato
Licenza: Tutti i diritti riservati (All rights reserved)
Dimensione 1.46 MB
Formato Adobe PDF
1.46 MB Adobe PDF

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1699537
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact