Nella proposizione 3 della Misura del cerchio, Archimede mostra che: La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro e lo supera ancora di meno di un settimo del diametro, e di più di dieci settantunesimi. In questo lavoro vogliamo porre l’accento su due aspetti della prova di Archimede, che a nostra conoscenza sono commentati in letteratura solo parzialmente. Il primo aspetto riguarda le approssimazioni razionali utilizzate all’inizio della procedura di calcolo. Per giungere alle sue approssimazioni sulla misura del cerchio Archimede utilizza infatti poligoni regolari, circoscritti ed inscritti alla circonferenza, di 96 lati, partendo da un esagono e raddoppiando di volta in volta il numero dei lati . All’inizio di questa procedura è necessario fornire delle approssimazioni per eccesso e per difetto di √3, ossia del rapporto tra l’altezza del triangolo equilatero e la metà del lato, rapporto (λoγoς) che ovviamente era ben noto essere irrazionale (αλoγoς) e quindi scrivibile solo in modo approssimato attraverso una frazione. I valori utilizzati da Archimede per √3 in termini moderni vengono chiamati migliori approssimanti , possono essere ottenuti dalla teoria delle frazioni continue, che è equivalente al noto algoritmo euclideo. Ipotizziamo dunque in questo lavoro che, in un linguaggio diverso dal nostro, la teoria delle frazioni continue fosse nota ai greci, che la utilizzavano come strumento di calcolo, controllando anche il segno dell’errore di approssimazione. Il secondo aspetto riguarda le stime successive utilizzate da Archimede che, nella sezione dedicata al poligono inscritto, sembrano non giustificate e soprattutto non ottimali. Knorr in nota che le scelte di Archimede sono “lungimiranti” ma non fornisce una spiegazione esauriente in proposito. Nel processo iterativo utilizzato dal Siracusano, ogni scelta dei valori frazionari utilizzati per le approssimazioni delle radici quadrate rende il passo successivo tale da fornire frazioni con numeratori e denominatori molto piccoli rispetto a quelli che si otterrebbero con le stime ottimali. Termini più piccoli nella frazione corrispondono a procedure di calcolo con riga e compasso molto più semplici. Secondo la nostra ipotesi, dunque, questa scelta di approssimazioni sub-ottime non è casuale, ma è il frutto di un preciso procedimento logico che abbiamo cercato di ricostruire in linguaggio moderno in termini di un algoritmo.
La terza proposizione della misura del cerchio di Archimede: una nuova lettura / Dragone, Luca; Palma, Antonella; Scoppola, Benedetto. - (2022), pp. 18-18. (Intervento presentato al convegno A cento anni dalla marcia su Roma: la matematica e il nazi-fascismo _ Dal papiro all'incunabolo: matematica e filologia tenutosi a Torino).
La terza proposizione della misura del cerchio di Archimede: una nuova lettura
Dragone, Luca;Palma, Antonella;Scoppola, Benedetto
2022
Abstract
Nella proposizione 3 della Misura del cerchio, Archimede mostra che: La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro e lo supera ancora di meno di un settimo del diametro, e di più di dieci settantunesimi. In questo lavoro vogliamo porre l’accento su due aspetti della prova di Archimede, che a nostra conoscenza sono commentati in letteratura solo parzialmente. Il primo aspetto riguarda le approssimazioni razionali utilizzate all’inizio della procedura di calcolo. Per giungere alle sue approssimazioni sulla misura del cerchio Archimede utilizza infatti poligoni regolari, circoscritti ed inscritti alla circonferenza, di 96 lati, partendo da un esagono e raddoppiando di volta in volta il numero dei lati . All’inizio di questa procedura è necessario fornire delle approssimazioni per eccesso e per difetto di √3, ossia del rapporto tra l’altezza del triangolo equilatero e la metà del lato, rapporto (λoγoς) che ovviamente era ben noto essere irrazionale (αλoγoς) e quindi scrivibile solo in modo approssimato attraverso una frazione. I valori utilizzati da Archimede per √3 in termini moderni vengono chiamati migliori approssimanti , possono essere ottenuti dalla teoria delle frazioni continue, che è equivalente al noto algoritmo euclideo. Ipotizziamo dunque in questo lavoro che, in un linguaggio diverso dal nostro, la teoria delle frazioni continue fosse nota ai greci, che la utilizzavano come strumento di calcolo, controllando anche il segno dell’errore di approssimazione. Il secondo aspetto riguarda le stime successive utilizzate da Archimede che, nella sezione dedicata al poligono inscritto, sembrano non giustificate e soprattutto non ottimali. Knorr in nota che le scelte di Archimede sono “lungimiranti” ma non fornisce una spiegazione esauriente in proposito. Nel processo iterativo utilizzato dal Siracusano, ogni scelta dei valori frazionari utilizzati per le approssimazioni delle radici quadrate rende il passo successivo tale da fornire frazioni con numeratori e denominatori molto piccoli rispetto a quelli che si otterrebbero con le stime ottimali. Termini più piccoli nella frazione corrispondono a procedure di calcolo con riga e compasso molto più semplici. Secondo la nostra ipotesi, dunque, questa scelta di approssimazioni sub-ottime non è casuale, ma è il frutto di un preciso procedimento logico che abbiamo cercato di ricostruire in linguaggio moderno in termini di un algoritmo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.