Le bonifiche di aree umide nell’Agro Pontino, similmente a quanto già stava avvenendo in territori contermini, insieme alla suddivisione in poderi e alla realizzazione di borghi funzionali alla coltivazione e all’allevamento di bestiame, comportarono l’ideazione di vere e proprie città di fondazione (la cosiddetta pentapoli pontina) con funzioni programmaticamente differenti, tali da necessitare di una grande quantità di nuovi cittadini da insediare . Con la promessa di terra e benessere, all’inizio del secolo scorso vennero impiantate nell’Agro Pontino (e non solo) popolazioni trasferite dalle zone più disagiate del paese. Questi esperimenti di “ingegneria sociale” hanno dato risposta a molteplici fattori: la necessità di recuperare vaste aree malsane ad una moderna concezione dello sfruttamento agricolo e zootecnico; l’impiego di una grande quantità di forza lavoro in un momento, quale quello tra le due guerre, che vedeva ampie fasce della popolazione italiana disoccupate e al limite della soglia di povertà; la necessità di ottimizzare le risorse all’indomani delle sanzioni economiche e commerciali che avevano colpito l’Italia post-coloniale; un quadro normativo che incentivava la ripopolazione delle aree agricole e inibiva il travaso di popolazione verso le città maggiori [«Provvedimenti contro l’urbanesimo», 1939]; la creazione di consenso che tali opere di regime potevano generare, anche oltre gli intenti retorici e di propaganda; un punto di vista sociale, antropologico e culturale che guardava con occhi nuovi alla vita agreste come possibile soluzione al senso di alienazione che cominciava a essere descritto nelle città industrializzate. La fondazione delle città dell’Agro Pontino, insieme al sistema complesso che vi è sorto al contorno, è un fenomeno prima ancora che economico e sociale, antropologico, con la necessità di ricreare punti di riferimento per le piccole comunità omogenee di emiliani, veneti, giuliani ecc., che portano con sé oltre ai propri beni anche il dialetto (la lingua), le usanze, i toponimi, i rituali dei luoghi di origine. È anche fenomeno culturale, poiché investe il mondo dell’architettura e dell’urbanistica, in cui si ingenerano dibattiti, questioni, ancora forse non del tutto risolti fino ad oggi. A quasi un secolo di distanza, è opportuna, oggi, una riflessione che parta dal presupposto di unità e coerenza tra le architetture e il paesaggio (proprio in questo caso, costruito, antropizzato, regolato). Sebbene oggi la critica abbia già approfondito in più modi alcune delle architetture iconiche delle città di fondazione dell’Agro Pontino, molte strutture, oramai storiche e storicizzate e presenti sia nei nuclei abitati che nelle campagne, necessitano di ulteriori riflessioni. Tra queste, anche le architetture tecniche per la gestione delle acque che, ripetute sul territorio, definiscono l’unicità dell’Agro Pontino e in alcuni casi, se consideriamo gli impianti idrovori in funzione, contribuiscono, ancora oggi, a rendere questi luoghi vivibili. L’obiettivo della ricerca è comprendere quali trasformazioni siano avvenute sia a livello urbano che a livello architettonico e quali azioni e strategie possano, in un’ottica di comprensione e conservazione di queste testimonianze architettoniche e al contempo paesaggistiche del Moderno, valorizzare un sistema così ramificato. L’analisi delle relazioni spaziali, urbane e col paesaggio, potrà indirizzare una riflessione sulle azioni da intraprendere, per guidare le necessarie trasformazioni utili a conservare e valorizzare aspetti poco indagati e a rischio del complesso patrimonio dell’Agro Pontino.
Bonum facere. Foundation works in the Paludi Pontine and the actual transformations of architecture and landscapes. strategies for the comprehension of unexplored aspects / Guadagno, Stefano. - In: SCIENZA E BENI CULTURALI. - ISSN 2039-9790. - (2023), pp. 575-577. (Intervento presentato al convegno 38° convegno internazionale Scienza e Beni Culturali: L’intervento sulle superfici del costruito storico. Quale innovazione? tenutosi a Bressanone; Italy).
Bonum facere. Foundation works in the Paludi Pontine and the actual transformations of architecture and landscapes. strategies for the comprehension of unexplored aspects
stefano guadagno
2023
Abstract
Le bonifiche di aree umide nell’Agro Pontino, similmente a quanto già stava avvenendo in territori contermini, insieme alla suddivisione in poderi e alla realizzazione di borghi funzionali alla coltivazione e all’allevamento di bestiame, comportarono l’ideazione di vere e proprie città di fondazione (la cosiddetta pentapoli pontina) con funzioni programmaticamente differenti, tali da necessitare di una grande quantità di nuovi cittadini da insediare . Con la promessa di terra e benessere, all’inizio del secolo scorso vennero impiantate nell’Agro Pontino (e non solo) popolazioni trasferite dalle zone più disagiate del paese. Questi esperimenti di “ingegneria sociale” hanno dato risposta a molteplici fattori: la necessità di recuperare vaste aree malsane ad una moderna concezione dello sfruttamento agricolo e zootecnico; l’impiego di una grande quantità di forza lavoro in un momento, quale quello tra le due guerre, che vedeva ampie fasce della popolazione italiana disoccupate e al limite della soglia di povertà; la necessità di ottimizzare le risorse all’indomani delle sanzioni economiche e commerciali che avevano colpito l’Italia post-coloniale; un quadro normativo che incentivava la ripopolazione delle aree agricole e inibiva il travaso di popolazione verso le città maggiori [«Provvedimenti contro l’urbanesimo», 1939]; la creazione di consenso che tali opere di regime potevano generare, anche oltre gli intenti retorici e di propaganda; un punto di vista sociale, antropologico e culturale che guardava con occhi nuovi alla vita agreste come possibile soluzione al senso di alienazione che cominciava a essere descritto nelle città industrializzate. La fondazione delle città dell’Agro Pontino, insieme al sistema complesso che vi è sorto al contorno, è un fenomeno prima ancora che economico e sociale, antropologico, con la necessità di ricreare punti di riferimento per le piccole comunità omogenee di emiliani, veneti, giuliani ecc., che portano con sé oltre ai propri beni anche il dialetto (la lingua), le usanze, i toponimi, i rituali dei luoghi di origine. È anche fenomeno culturale, poiché investe il mondo dell’architettura e dell’urbanistica, in cui si ingenerano dibattiti, questioni, ancora forse non del tutto risolti fino ad oggi. A quasi un secolo di distanza, è opportuna, oggi, una riflessione che parta dal presupposto di unità e coerenza tra le architetture e il paesaggio (proprio in questo caso, costruito, antropizzato, regolato). Sebbene oggi la critica abbia già approfondito in più modi alcune delle architetture iconiche delle città di fondazione dell’Agro Pontino, molte strutture, oramai storiche e storicizzate e presenti sia nei nuclei abitati che nelle campagne, necessitano di ulteriori riflessioni. Tra queste, anche le architetture tecniche per la gestione delle acque che, ripetute sul territorio, definiscono l’unicità dell’Agro Pontino e in alcuni casi, se consideriamo gli impianti idrovori in funzione, contribuiscono, ancora oggi, a rendere questi luoghi vivibili. L’obiettivo della ricerca è comprendere quali trasformazioni siano avvenute sia a livello urbano che a livello architettonico e quali azioni e strategie possano, in un’ottica di comprensione e conservazione di queste testimonianze architettoniche e al contempo paesaggistiche del Moderno, valorizzare un sistema così ramificato. L’analisi delle relazioni spaziali, urbane e col paesaggio, potrà indirizzare una riflessione sulle azioni da intraprendere, per guidare le necessarie trasformazioni utili a conservare e valorizzare aspetti poco indagati e a rischio del complesso patrimonio dell’Agro Pontino.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.