Il presente lavoro di tesi è frutto di intuizioni, le stesse, ma in forma diversa, che hanno guidato l’architetto spagnolo Enric Miralles nella sua breve ma prolifica carriera. Intui- zioni che destano riflessioni su un convenzionale modo di “fare architettura”. L’intuizione ha diverse sfaccettature e, a seconda dei casi, può rivelare un suo aspetto. Di base, però, l’intuizione stipula un «rapporto immediato e diretto tra soggetto pen- sante e oggetto» (Treccani, 2022). La dicotomia tra soggetto e oggetto è molto tipica dell’architettura contemporanea, ma già presente, formulata, dettagliata, criticata nell’ar- chitettura moderna. Non è in tale dicotomia la chiave di concentrazione e riflessione di questo lavoro, ma è certamente un’anticipazione. Il soggetto non è solo chi scrive, studia, elabora, pensa, disegna. In tal caso, il soggetto è anche Enric Miralles, architetto catalano morto prematuramente all’età di 45 anni. L’oggetto è il corpo architettonico in tensione col suo spazio: il corpo che fonde l’edificio e il paesaggio senza riversare in essi un’ulteriore (stra)ribadita dicotomia. In questo rapporto si è soliti definire i tempi di un’architettura: quando inizia, finisce, che vita ha. L’architettura non muore. O meglio, non dovrebbe morire se non finisce l’intuizione. Il rapporto tra soggetto e oggetto è quel che poi in architettura si riversa in una descrizione di fatti, in un’analisi di un pro- getto, in una definizione di un’idea, e, non sempre, nella costruzione di un’opera. Il presente lavoro di tesi è il prodotto di una ricerca in cui, allora, la nostalgia fa un po’ da guida, come Virgilio con Dante. Come in quasi tutte le nostalgie, i soggetti devono essere rievocati.Tuttalpiù, forse si è perso il senso delle dicotomie o, ancor meglio, delle contraddizioni, usandole spesso come cliché. Infine, resta difficile riconosce l’emozione in architettura. Per Enric Miralles, spazio e corpo architettonico sono in continua tensione, e in questo modo l’architettura è emozionante. L’intuizione deve essere visibile nel suo “fare archi- tettura”. Quell’architettura mai finita, anche se costruita. Quell’architettura che riesce ancora a emozionare perché nell’oggetto è visibile il soggetto. Probabilmente è ancora presto affermare con certezza quale sia la sua reale eredità, però il suo “fare architet- tura” può essere un esempio per richiamare l’origine di un’originalità persa (cfr. cap.5). Il mondo di Enric Miralles è vasto e complesso e, come afferma Rafael Moneo (cfr. Prefazione), è difficile da studiare in pochi e specifici progetti. Come ogni ricerca, anche 13 PROLOGO questa nasce da qualcosa che già esiste e resta non-finita, aper ta alla continuazione dei suoi frammenti. È pur vero che quando si inizia, si pensa di cercare e scoprire tante cose, ma il grande valore di un viaggio è proprio quello di non sapere come finirà. Nonostante ciò, per essere iniziata, la ricerca ha sempre bisogno di un luogo su cui focalizzare un racconto. In tal caso è l’Italia, punto di ritrovo e ritorno in questo viaggio di ricerca, benché l’architettura italiana non sia stata l’unica e principale referenza di Miralles. È stato un luogo di formazione e ispirazione, lasciando sconosciute le parole con cui l’architetto avrebbe descritto la sua amata Italia. Gli anni in cui egli ha studiato sono gli stessi in cui in Italia vige un forte cambio di paradigma. Nella prima parte del lavoro di tesi si conosce un Miralles appassionato, ma anche anticonformista. Negli anni Settanta e Ottanta, la Scuola di Barcellona era affascinata dall’architettura milanese, ma il pendolo di Miralles si bilancia altrove per definire pro- pri metodologia e linguaggio: una propria maniera quando in realtà in quell’epoca il bisogno di conformarsi era vitale per dimenticare il lungo periodo di totalitarismo. Se non ci fossero state queste attenzioni al consueto – gli studi su Rossi, i più ordinari, le partecipazioni all’ILAUD – non si sarebbe creato il dialogo tra pensiero e costruzione (seconda parte): una conversazione che poi genera la comunicazione tra spazio, corpo e tempo. Infine, non si sarebbe ricavata la continuità del non-finito, dell’inacabado, l’ori- ginalità di ricordare e rievocare l’origine dell’idea (terza parte). Lo sfondo di azione della ricerca è proprio l’Italia come luogo di ispirazione per Mi- ralles, per cui attraverso principali casi studio italiani, non costruiti, l’opera di Miralles è ricordata, memorizzata e concessa all’apprendimento utile per formulare nuove teorie e relativi progetti, e riflettere anche su una possibile crisi del linguaggio architettonico. Oggi, la fortuna è che il lavoro iniziato da Miralles continua. Una fortuna non scontata, e che specialmente non ne diminuisce la volontà. Benedetta Tagliabue guida il timone di una nave che si pensava potesse affondare due decenni fa. I cambiamenti destano perplessità e anche timore, ma possono essere abitati, come se fossero usuali case ristrutturate. Per cui, il non-finito, l’inacabado, che per Miralles persisteva anche nella costruzione finita, persiste ancora tutt’ora: è presente per volgere a un futuro scono- sciuto. In un certo senso, le origini in un’idea - ossia il modo di rendere autentico la nascita di una forma, l’importanza di una geometria, l’esistenza del tempo - continuano seppur differentemente, adattandosi al cambiamento e rivelando un’attuale originalità.

Spazi e corpi architettonici di Enric Miralles. Pensieri e costruzioni guardando a progetti italiani / Celiento, Ilia. - (2023 Jul 07).

Spazi e corpi architettonici di Enric Miralles. Pensieri e costruzioni guardando a progetti italiani

CELIENTO, ILIA
07/07/2023

Abstract

Il presente lavoro di tesi è frutto di intuizioni, le stesse, ma in forma diversa, che hanno guidato l’architetto spagnolo Enric Miralles nella sua breve ma prolifica carriera. Intui- zioni che destano riflessioni su un convenzionale modo di “fare architettura”. L’intuizione ha diverse sfaccettature e, a seconda dei casi, può rivelare un suo aspetto. Di base, però, l’intuizione stipula un «rapporto immediato e diretto tra soggetto pen- sante e oggetto» (Treccani, 2022). La dicotomia tra soggetto e oggetto è molto tipica dell’architettura contemporanea, ma già presente, formulata, dettagliata, criticata nell’ar- chitettura moderna. Non è in tale dicotomia la chiave di concentrazione e riflessione di questo lavoro, ma è certamente un’anticipazione. Il soggetto non è solo chi scrive, studia, elabora, pensa, disegna. In tal caso, il soggetto è anche Enric Miralles, architetto catalano morto prematuramente all’età di 45 anni. L’oggetto è il corpo architettonico in tensione col suo spazio: il corpo che fonde l’edificio e il paesaggio senza riversare in essi un’ulteriore (stra)ribadita dicotomia. In questo rapporto si è soliti definire i tempi di un’architettura: quando inizia, finisce, che vita ha. L’architettura non muore. O meglio, non dovrebbe morire se non finisce l’intuizione. Il rapporto tra soggetto e oggetto è quel che poi in architettura si riversa in una descrizione di fatti, in un’analisi di un pro- getto, in una definizione di un’idea, e, non sempre, nella costruzione di un’opera. Il presente lavoro di tesi è il prodotto di una ricerca in cui, allora, la nostalgia fa un po’ da guida, come Virgilio con Dante. Come in quasi tutte le nostalgie, i soggetti devono essere rievocati.Tuttalpiù, forse si è perso il senso delle dicotomie o, ancor meglio, delle contraddizioni, usandole spesso come cliché. Infine, resta difficile riconosce l’emozione in architettura. Per Enric Miralles, spazio e corpo architettonico sono in continua tensione, e in questo modo l’architettura è emozionante. L’intuizione deve essere visibile nel suo “fare archi- tettura”. Quell’architettura mai finita, anche se costruita. Quell’architettura che riesce ancora a emozionare perché nell’oggetto è visibile il soggetto. Probabilmente è ancora presto affermare con certezza quale sia la sua reale eredità, però il suo “fare architet- tura” può essere un esempio per richiamare l’origine di un’originalità persa (cfr. cap.5). Il mondo di Enric Miralles è vasto e complesso e, come afferma Rafael Moneo (cfr. Prefazione), è difficile da studiare in pochi e specifici progetti. Come ogni ricerca, anche 13 PROLOGO questa nasce da qualcosa che già esiste e resta non-finita, aper ta alla continuazione dei suoi frammenti. È pur vero che quando si inizia, si pensa di cercare e scoprire tante cose, ma il grande valore di un viaggio è proprio quello di non sapere come finirà. Nonostante ciò, per essere iniziata, la ricerca ha sempre bisogno di un luogo su cui focalizzare un racconto. In tal caso è l’Italia, punto di ritrovo e ritorno in questo viaggio di ricerca, benché l’architettura italiana non sia stata l’unica e principale referenza di Miralles. È stato un luogo di formazione e ispirazione, lasciando sconosciute le parole con cui l’architetto avrebbe descritto la sua amata Italia. Gli anni in cui egli ha studiato sono gli stessi in cui in Italia vige un forte cambio di paradigma. Nella prima parte del lavoro di tesi si conosce un Miralles appassionato, ma anche anticonformista. Negli anni Settanta e Ottanta, la Scuola di Barcellona era affascinata dall’architettura milanese, ma il pendolo di Miralles si bilancia altrove per definire pro- pri metodologia e linguaggio: una propria maniera quando in realtà in quell’epoca il bisogno di conformarsi era vitale per dimenticare il lungo periodo di totalitarismo. Se non ci fossero state queste attenzioni al consueto – gli studi su Rossi, i più ordinari, le partecipazioni all’ILAUD – non si sarebbe creato il dialogo tra pensiero e costruzione (seconda parte): una conversazione che poi genera la comunicazione tra spazio, corpo e tempo. Infine, non si sarebbe ricavata la continuità del non-finito, dell’inacabado, l’ori- ginalità di ricordare e rievocare l’origine dell’idea (terza parte). Lo sfondo di azione della ricerca è proprio l’Italia come luogo di ispirazione per Mi- ralles, per cui attraverso principali casi studio italiani, non costruiti, l’opera di Miralles è ricordata, memorizzata e concessa all’apprendimento utile per formulare nuove teorie e relativi progetti, e riflettere anche su una possibile crisi del linguaggio architettonico. Oggi, la fortuna è che il lavoro iniziato da Miralles continua. Una fortuna non scontata, e che specialmente non ne diminuisce la volontà. Benedetta Tagliabue guida il timone di una nave che si pensava potesse affondare due decenni fa. I cambiamenti destano perplessità e anche timore, ma possono essere abitati, come se fossero usuali case ristrutturate. Per cui, il non-finito, l’inacabado, che per Miralles persisteva anche nella costruzione finita, persiste ancora tutt’ora: è presente per volgere a un futuro scono- sciuto. In un certo senso, le origini in un’idea - ossia il modo di rendere autentico la nascita di una forma, l’importanza di una geometria, l’esistenza del tempo - continuano seppur differentemente, adattandosi al cambiamento e rivelando un’attuale originalità.
7-lug-2023
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Note: Tesi in co-tutela con la Universitat Politecnica de Catalunya-Escuela Tecnica Superior de Arquitectura de Barcelona (ETSAB)
Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1689101
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