Il concetto di ‘copia’, che tanta importanza ha avuto nella storia delle arti figurative e delle accademie artistiche, incontra non poche difficoltà, d’ordine soprattutto teorico, nel momento in cui si tenta di applicarlo alle opere architettoniche. La difficoltà maggiore consiste nel fatto che una copia vera e propria, in tutto e per tutto, di un’opera architettonica, dunque non nel senso ‘simbolico’ che il Medioevo attribuiva a tale termine, sorge quasi sempre per ragioni legate alla volontà di ricostruire, dov’era com’era, una fabbrica perduta o gravemente danneggiata a causa di eventi naturali, bellici, o per l’incuria e il vandalismo degli uomini. Esiste, certo, in altre culture, come quelle orientali, un concetto completamento diverso del valore ‘originale’ di un’opera architettonica, che autorizza la ciclica manutenzione e sostituzione delle sue parti, sino al punto che in taluni casi nulla più sussiste della materia originaria, senza che per questo il valore dell’opera, non solo cultuale, ne sia menomato. Persino un caso-limite come quello recente della chiesa di Notre-Dame-de-la-Paix nell’attuale capitale della Costa d’Avorio, Ymaoussoukro, una fabbrica espressamente concepita sul modello, anche dimensionale, della basilica di San Pietro, ha dovuto subire adattamenti e trasformazioni nel processo di ‘traduzione’ dell’autorevole modello in un altro contesto geografico, culturale e tecnico. Non è quindi neppur essa una ‘copia’ in senso proprio, ma andrebbe piuttosto valutata e giudicata nel suo specifico Kunstwollen. Diverso, invece, è il caso di quelle opere architettoniche in cui si riscontra la ‘volontà artistica’ di misurarsi con un exemplum storico che, seppur non imitato in tutte le sue componenti, senza quindi la volontà di realizzarne una copia, assurge tuttavia a modello di riferimento, al quale l’opera più recente allude in un sottile gioco di rimandi, più che esserne una semplice replica. Fondamentale, insomma, perché si abbia una ‘copia’, come peraltro un ‘falso’, è l’‘intenzionalità’ che si realizza nella coscienza dell’artista o produttore. Se gran parte dell’architettura rinascimentale, e non solo quella, può essere letta in chiave di imitatio od aemulatio degli antichi, ma non di copia, l’oeuvre architettonica di Raffaello (veterum aemulus nel suo epitaffio nel Pantheon) può fornire preziosi spunti di riflessione. Non diversamente dalle opere pittoriche o grafiche dell’urbinate, che hanno assunto presto, ancor prima della nascita delle accademie, un ruolo di canone per l’arte successiva, dando vita a nuove proposte artistiche, anche la sua opera architettonica, il cui studio sistematico è assai più recente, è stata produttiva già a pochi decenni dalla scomparsa dell’autore. Più che tentare di tracciare un quadro complessivo del fenomeno, auspicabile ma per ora prematuro, proporremo alcuni casi-studio cinquecenteschi che vedono coinvolti, in contesti geografici e culturali molto diversi, Andrea Palladio, Ottaviano Mascarino e Francesco da Volterra, utili per trarre alcune conclusioni.

Prima dell'Accademia. La recezione dei modelli di Raffaello nell’architettura del Cinquecento / Beltramini, Maria; Ricci, Maurizio. - (2023), pp. 185-198. ( Raffaello nelle accademie d’arte modello, funzione, ricezione Roma, Accademia Nazionale di San Luca ).

Prima dell'Accademia. La recezione dei modelli di Raffaello nell’architettura del Cinquecento

Ricci Maurizio
2023

Abstract

Il concetto di ‘copia’, che tanta importanza ha avuto nella storia delle arti figurative e delle accademie artistiche, incontra non poche difficoltà, d’ordine soprattutto teorico, nel momento in cui si tenta di applicarlo alle opere architettoniche. La difficoltà maggiore consiste nel fatto che una copia vera e propria, in tutto e per tutto, di un’opera architettonica, dunque non nel senso ‘simbolico’ che il Medioevo attribuiva a tale termine, sorge quasi sempre per ragioni legate alla volontà di ricostruire, dov’era com’era, una fabbrica perduta o gravemente danneggiata a causa di eventi naturali, bellici, o per l’incuria e il vandalismo degli uomini. Esiste, certo, in altre culture, come quelle orientali, un concetto completamento diverso del valore ‘originale’ di un’opera architettonica, che autorizza la ciclica manutenzione e sostituzione delle sue parti, sino al punto che in taluni casi nulla più sussiste della materia originaria, senza che per questo il valore dell’opera, non solo cultuale, ne sia menomato. Persino un caso-limite come quello recente della chiesa di Notre-Dame-de-la-Paix nell’attuale capitale della Costa d’Avorio, Ymaoussoukro, una fabbrica espressamente concepita sul modello, anche dimensionale, della basilica di San Pietro, ha dovuto subire adattamenti e trasformazioni nel processo di ‘traduzione’ dell’autorevole modello in un altro contesto geografico, culturale e tecnico. Non è quindi neppur essa una ‘copia’ in senso proprio, ma andrebbe piuttosto valutata e giudicata nel suo specifico Kunstwollen. Diverso, invece, è il caso di quelle opere architettoniche in cui si riscontra la ‘volontà artistica’ di misurarsi con un exemplum storico che, seppur non imitato in tutte le sue componenti, senza quindi la volontà di realizzarne una copia, assurge tuttavia a modello di riferimento, al quale l’opera più recente allude in un sottile gioco di rimandi, più che esserne una semplice replica. Fondamentale, insomma, perché si abbia una ‘copia’, come peraltro un ‘falso’, è l’‘intenzionalità’ che si realizza nella coscienza dell’artista o produttore. Se gran parte dell’architettura rinascimentale, e non solo quella, può essere letta in chiave di imitatio od aemulatio degli antichi, ma non di copia, l’oeuvre architettonica di Raffaello (veterum aemulus nel suo epitaffio nel Pantheon) può fornire preziosi spunti di riflessione. Non diversamente dalle opere pittoriche o grafiche dell’urbinate, che hanno assunto presto, ancor prima della nascita delle accademie, un ruolo di canone per l’arte successiva, dando vita a nuove proposte artistiche, anche la sua opera architettonica, il cui studio sistematico è assai più recente, è stata produttiva già a pochi decenni dalla scomparsa dell’autore. Più che tentare di tracciare un quadro complessivo del fenomeno, auspicabile ma per ora prematuro, proporremo alcuni casi-studio cinquecenteschi che vedono coinvolti, in contesti geografici e culturali molto diversi, Andrea Palladio, Ottaviano Mascarino e Francesco da Volterra, utili per trarre alcune conclusioni.
2023
Raffaello nelle accademie d’arte modello, funzione, ricezione
Raffaello; Accademie; Palladio; Ottaviano Mascarino; Francesco da Volterra
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
Prima dell'Accademia. La recezione dei modelli di Raffaello nell’architettura del Cinquecento / Beltramini, Maria; Ricci, Maurizio. - (2023), pp. 185-198. ( Raffaello nelle accademie d’arte modello, funzione, ricezione Roma, Accademia Nazionale di San Luca ).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1688782
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