Il contributo intende proporre una riflessione generale sulla riqualificazione dei quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica d’Autore riscontrabili nelle periferie delle grandi aree metropolitane. Il recente volume ‘Il disegno che tarda a venire’ di Carlo Moccia, promosso da ‘RIF. Museo delle periferie’ attesta, insieme all’elevato numero di prodotti e ricerche scientifiche che si continuano ad elaborare in ambito accademico, un interesse ancora fertile per i temi legati alla rigenerazione delle periferie urbane. In questo senso, la profonda attenzione di studiosi per l’affinamento delle grammatiche insediative all’interno delle decentralizzate aree periferiche, sembra riproporre per il tempo presente una delle sfide più importanti che ha già attraversato il secolo scorso, riguardanti «la ristrutturazione della vecchia periferia», per dirla con le parole di Aldo Rossi, ora frammentata e destrutturata, ma candidata a divenire terreno di sperimentazione per stabilire un rinnovato equilibrio tra ‘polarità’ urbane alla scala metropolitana. L’oggetto specifico di osservazione riguarda l’area Nord di Napoli, una parte urbana particolarmente significativa sia per la rilevanza architettonica di alcuni quartieri d’Autore sia per le recenti notizie di cronaca che riguardano le condizioni degradate, socialmente e fisicamente, di questa parte di città. In particolare, si ritiene che il macro-isolato realizzato da Francesco di Salvo nel 1968, possa divenire luogo d’applicazione di posture teoriche e prassi operative sui temi legati alla relazione tra parti di tessuto urbano, in evidenti condizioni di marginalità, e grandi porzioni di natura. Attraverso l’analisi critica del caso ‘Vele di Secondigliano’ si intende dunque cogliere quei caratteri di generalità attraverso cui poter avanzare un discorso sulla forma nella contemporaneità. Pertanto, di fronte alla feroce ‘storia degli effetti’, citando Hans-Georg Gadamer, che ha visto le ‘Vele’ passare da potenziale opera paradigmatica di una specifica – e ‘utopistica’ – cultura architettonica e urbanistica del secondo Novecento, a emblema di diversi fallimenti, soprattutto sociali e inerenti la qualità dell’abitare, la proposta qui descritta intende riflettere sull’idea di quartiere come ‘settore urbano’ concluso, morfologicamente e dimensionalmente riconoscibile in grado di offrirsi come frammento insediativo su cui costruire una nuova ‘centralità’ urbana. A partire dall’analisi delle recenti strategie finalizzate alla rigenerazione urbana del quartiere, ma principalmente mediante una ipotesi di ‘mixitè’ tipologica e sociale – in una rinnovata dialettica tra modi dell’abitare e luoghi della condivisione e rappresentazione dei valori civili e collettivi – l’obiettivo del progetto per questi luoghi vuole tendere al riscatto dell’intero comparto: una proposta unitaria in cui lo spazio naturale viene assunto come struttura d’ordine coessenziale alla realtà periferica, col fine di verificarne l’adattabilità ai luoghi per la definizione di una unità morfologica riconoscibile in stretto contatto con la natura, che si elevi a luogo di riconoscimento dell’abitare collettivo e possa divenire materia per la costruzione della città aperta.
La grande dimensione dell’abitare. Un progetto di città aperta per l’area Nord di Napoli / Lubrano, Oreste. - (2023), pp. 27-36.
La grande dimensione dell’abitare. Un progetto di città aperta per l’area Nord di Napoli
Oreste Lubrano
2023
Abstract
Il contributo intende proporre una riflessione generale sulla riqualificazione dei quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica d’Autore riscontrabili nelle periferie delle grandi aree metropolitane. Il recente volume ‘Il disegno che tarda a venire’ di Carlo Moccia, promosso da ‘RIF. Museo delle periferie’ attesta, insieme all’elevato numero di prodotti e ricerche scientifiche che si continuano ad elaborare in ambito accademico, un interesse ancora fertile per i temi legati alla rigenerazione delle periferie urbane. In questo senso, la profonda attenzione di studiosi per l’affinamento delle grammatiche insediative all’interno delle decentralizzate aree periferiche, sembra riproporre per il tempo presente una delle sfide più importanti che ha già attraversato il secolo scorso, riguardanti «la ristrutturazione della vecchia periferia», per dirla con le parole di Aldo Rossi, ora frammentata e destrutturata, ma candidata a divenire terreno di sperimentazione per stabilire un rinnovato equilibrio tra ‘polarità’ urbane alla scala metropolitana. L’oggetto specifico di osservazione riguarda l’area Nord di Napoli, una parte urbana particolarmente significativa sia per la rilevanza architettonica di alcuni quartieri d’Autore sia per le recenti notizie di cronaca che riguardano le condizioni degradate, socialmente e fisicamente, di questa parte di città. In particolare, si ritiene che il macro-isolato realizzato da Francesco di Salvo nel 1968, possa divenire luogo d’applicazione di posture teoriche e prassi operative sui temi legati alla relazione tra parti di tessuto urbano, in evidenti condizioni di marginalità, e grandi porzioni di natura. Attraverso l’analisi critica del caso ‘Vele di Secondigliano’ si intende dunque cogliere quei caratteri di generalità attraverso cui poter avanzare un discorso sulla forma nella contemporaneità. Pertanto, di fronte alla feroce ‘storia degli effetti’, citando Hans-Georg Gadamer, che ha visto le ‘Vele’ passare da potenziale opera paradigmatica di una specifica – e ‘utopistica’ – cultura architettonica e urbanistica del secondo Novecento, a emblema di diversi fallimenti, soprattutto sociali e inerenti la qualità dell’abitare, la proposta qui descritta intende riflettere sull’idea di quartiere come ‘settore urbano’ concluso, morfologicamente e dimensionalmente riconoscibile in grado di offrirsi come frammento insediativo su cui costruire una nuova ‘centralità’ urbana. A partire dall’analisi delle recenti strategie finalizzate alla rigenerazione urbana del quartiere, ma principalmente mediante una ipotesi di ‘mixitè’ tipologica e sociale – in una rinnovata dialettica tra modi dell’abitare e luoghi della condivisione e rappresentazione dei valori civili e collettivi – l’obiettivo del progetto per questi luoghi vuole tendere al riscatto dell’intero comparto: una proposta unitaria in cui lo spazio naturale viene assunto come struttura d’ordine coessenziale alla realtà periferica, col fine di verificarne l’adattabilità ai luoghi per la definizione di una unità morfologica riconoscibile in stretto contatto con la natura, che si elevi a luogo di riconoscimento dell’abitare collettivo e possa divenire materia per la costruzione della città aperta.File | Dimensione | Formato | |
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