Il termine ‘transizione’ – dal latino 'transitio -onis', der. di transire ‘passare’ – etimologicamente rimanda al ‘passaggio’: esso descrive una soglia, un limite non solo fisico ma anche storico e culturale, dal quale si produce cambiamento. Potremmo sostenere che il ‘passaggio’ dal ‘vecchio’ al ‘nuovo’ costituisca uno dei temi che ha saputo sollecitare ed animare ciclicamente, e dunque in ogni tempo, il dibattito nelle nostre scuole, in Italia e non solo. La necessità di rinnovare e trasmettere – attraverso le forme – un significato ‘altro’, più pertinente alle attuali esigenze rappresentative della collettività, non può prescindere da uno studio accurato e consapevole delle tracce antropiche provenienti dal passato, capaci di risignificare di volta in volta il senso del luogo. È infatti con la conoscenza e nell’interpretazione del sedimentato valore delle forme ‘lontane’ che è possibile tracciare un 'fil rouge' in grado di disvelare, come rileva Giorgio Grassi, il ‘passaggio’ tra passato e presente e proiettarsi verso il futuro: «cercare di apprendere, ma anche di confrontarsi, di competere con il “vecchio”, direttamente materialmente – così com’è sempre stato del resto – in vista di definitivi obiettivi operativi [rappresenta] ancora il solo modo ragionevole di andare avanti». Molte sono state le ricerche offerte da studiosi italiani sui caratteri di generalità e trasmissibilità all’interno del tema più generale della dialettica tra antico e nuovo e, da sempre argomento di discussione, esse rappresentano una moltitudine di sguardi che, osservando da angolazioni differenti le testimonianze provenienti dal passato, ne offrono plurime e non sempre concordi interpretazioni. Anche in epoca di imperanti specialismi e nonostante la pericolosa separazione tra cultura della conservazione e cultura del progetto, la cultura italiana ha da sempre manifestato un’attenzione di tipo ‘architettonico’ verso le tracce remote, un atteggiamento consolidatosi nella seconda metà del secolo scorso nell’ambito disciplinare della composizione architettonica e urbana che rivendica il ruolo del Progetto di architettura (con la ‘P’ maiuscola – come ama definirlo Renato Rizzi – quando esso ha radici profonde) quale agire necessario per rendere ‘significante’ la ‘transizione’ da una condizione – temporale e spaziale ma anche culturale e sociale – a un’altra. Per argomentare tali riflessioni il contributo propone lo studio di un possibile intervento nel ‘cuore’ antico di Napoli, città ricca di testimonianze storiche, intimamente connesso al tema dell’archeologia urbana.
Manufatti architettonici per i luoghi dell'archeologia. Un nuovo edificio pubblico per il centro antico di Napoli / Lubrano, Oreste. - (2022), pp. 442-447. (Intervento presentato al convegno IX Forum ProArch. Transizioni. L’avvenire della didattica e della ricerca per il progetto di architettura tenutosi a Cagliari; Italia).
Manufatti architettonici per i luoghi dell'archeologia. Un nuovo edificio pubblico per il centro antico di Napoli
Oreste Lubrano
2022
Abstract
Il termine ‘transizione’ – dal latino 'transitio -onis', der. di transire ‘passare’ – etimologicamente rimanda al ‘passaggio’: esso descrive una soglia, un limite non solo fisico ma anche storico e culturale, dal quale si produce cambiamento. Potremmo sostenere che il ‘passaggio’ dal ‘vecchio’ al ‘nuovo’ costituisca uno dei temi che ha saputo sollecitare ed animare ciclicamente, e dunque in ogni tempo, il dibattito nelle nostre scuole, in Italia e non solo. La necessità di rinnovare e trasmettere – attraverso le forme – un significato ‘altro’, più pertinente alle attuali esigenze rappresentative della collettività, non può prescindere da uno studio accurato e consapevole delle tracce antropiche provenienti dal passato, capaci di risignificare di volta in volta il senso del luogo. È infatti con la conoscenza e nell’interpretazione del sedimentato valore delle forme ‘lontane’ che è possibile tracciare un 'fil rouge' in grado di disvelare, come rileva Giorgio Grassi, il ‘passaggio’ tra passato e presente e proiettarsi verso il futuro: «cercare di apprendere, ma anche di confrontarsi, di competere con il “vecchio”, direttamente materialmente – così com’è sempre stato del resto – in vista di definitivi obiettivi operativi [rappresenta] ancora il solo modo ragionevole di andare avanti». Molte sono state le ricerche offerte da studiosi italiani sui caratteri di generalità e trasmissibilità all’interno del tema più generale della dialettica tra antico e nuovo e, da sempre argomento di discussione, esse rappresentano una moltitudine di sguardi che, osservando da angolazioni differenti le testimonianze provenienti dal passato, ne offrono plurime e non sempre concordi interpretazioni. Anche in epoca di imperanti specialismi e nonostante la pericolosa separazione tra cultura della conservazione e cultura del progetto, la cultura italiana ha da sempre manifestato un’attenzione di tipo ‘architettonico’ verso le tracce remote, un atteggiamento consolidatosi nella seconda metà del secolo scorso nell’ambito disciplinare della composizione architettonica e urbana che rivendica il ruolo del Progetto di architettura (con la ‘P’ maiuscola – come ama definirlo Renato Rizzi – quando esso ha radici profonde) quale agire necessario per rendere ‘significante’ la ‘transizione’ da una condizione – temporale e spaziale ma anche culturale e sociale – a un’altra. Per argomentare tali riflessioni il contributo propone lo studio di un possibile intervento nel ‘cuore’ antico di Napoli, città ricca di testimonianze storiche, intimamente connesso al tema dell’archeologia urbana.File | Dimensione | Formato | |
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