Dice bene Giuseppe Bettoni, curatore di questa edizione italiana: “in Italia tutti, o quasi, confondono [Geopolitica] con Relazioni Internazionali”. Peraltro, con dichiarato disappunto dei cultori della seconda (nell’ordine, non nel rango scientifico), che evidentemente si percepiscono monopolisti di consulenze governative e apparizioni radiotelevisive anche se poi non disdegnano di usare il termine Geopolitica/Geopolitics nei loro corsi universitari (portano questo nome 17 insegnamenti ufficialmente inseriti nei programmi degli atenei italiani tenuti da docenti di settori non geografici, con un uso crescente da indurre a ritenere che saliranno ulteriormente in futuro https://www.ageiweb.it/archivio-nl/geopolitica/). Dalla mia prospettiva di geografo, tutta questa attenzione alla Geopolitica dall’esterno della Geografia contiene elementi contraddittori: positivi se si guarda all’interesse riscosso da un campo di studi che porta fin nel nome un’inequivocabile matrice geografica, ma anche negativi se si riflette sull’inevitabile traviamento prodotto da colleghe e colleghi che pur mostrando sensibilità verso il fattore spaziale non dispongono sempre di specifica esperienza nel maneggiarlo. Minor promiscuità si verifica nel Paese in cui Bettoni si è abbeverato negli anni della formazione, la Francia, che rappresenta attualmente il contesto più favorevole al mondo per gli studi geopolitici. Un primato facilmente misurabile in termini di quantità di pubblicazioni, peso nel dibattito pubblico e sensibilità riscossa presso le istituzioni. Al confronto con un tale eden per la Geopolitica, Bettoni non può che dispiacersi per l’inadeguata considerazione che la sua disciplina prediletta ottiene nel nostro Paese. Condivido sia la predilezione che il dispiacere. Però i suoi toni sono decisamente drastici (“… in Italia il mestiere del geografo, a differenza della Francia o della Germania, è sconosciuto”; “… la confusione ha regnato fin qui”; “…l’Italia troppo a lungo si è privata di un vero centro di formazione alla geografia”). Non voglio sopravvalutare la geografia italiana, ma neanche eccedere nel denigrarla, visto poi che si tiene a galla in un panorama accademico nazionale dove non scorgo discipline modello e in un Paese che ha sofferto processi generalizzati di delegittimazione del sapere intellettuale. Proprio quanto evocato fin qui – dai tentativi di appropriazione della Geopolitica al contesto italiano sfavorevole se confrontato con quello francese – spiega e giustifica l’operazione editoriale messa in campo con il testo qui recensito: traduzione italiana di un libro francese (a due anni di distanza dall’originale dal medesimo titolo) finalizzata a colmare un vuoto nell’offerta di Geopolitica ‘geografica’. Il tentativo non sarà pienamente riuscito perché per un obiettivo così ‘pesante’ questo manuale è troppo ‘leggero’, vale a dire, come ammette lo stesso Bettoni, “anche troppo asciutto”. Intanto, però, il tentativo è stato condotto e ciò è sicuramente lodevole in quanto ogni sforzo compiuto in questa direzione va apprezzato. Facile scrivere manuali in materie consolidate, molto più scomodo è farlo in quelle dallo statuto disciplinare ancora dibattuto, la vicenda storica controversa e i ritorni economici incerti se non improbabili. Relativamente ai contenuti di questo volume, i pregi ricalcano quelli della lezione di Yves Lacoste di cui Barbara Loyer è allieva: l’attenzione alle rappresentazioni in costante competizione tra loro, il valore strategico del sapere geografico per il potere (a prescindere dalla consapevolezza che ne hanno geografe e geografi), la conseguente messa in discussione della sua presunta neutralità, la relativizzazione dello spazio, la natura socialmente costruita del territorio. Non è poco. Certo, ci sono ancora diversi nodi da sciogliere per dare fondamenta robuste ai metodi di analisi geopolitica: è ammissibile la comparazione nello spazio e nel tempo? Va preferita un’analisi per aree geografiche oppure per fenomeni? Meglio adottare una concezione dello spazio politico di tipo leibniziano (cioè esistente in quanto prodotto dalle entità che lo popolano e dalle loro relazioni) oppure newtoniano (valido indipendentemente da cosa c’è dentro e dunque pre-politico)? E poi, ancora, occorre stabilire come trattare i rapporti tra i centri (dei soggetti politici, dei fenomeni) e le loro periferie, tra la dimensione interna e quella esterna, tra il tutto e le parti, individuare i parametri più corretti per misurare la dimensione orizzontale e quella verticale dello spazio politico, le forze centrifughe e centripete, il valore delle poste in palio territoriali sia di natura materiale che simbolica, i fattori alla base della conflittualità, il ruolo dello spazio in quanto movente e in quanto vincolo, l’intensità della presa di un soggetto politico su un territorio ecc. ecc. Alcuni di questi aspetti compaiono qua e là nel testo della Loyer in modo implicito ma non vi è una trattazione metodica e sistematica come un manuale dovrebbe offrire. Quanto alle categorie concettuali impiegate, il volume resta nel solco classico: territorio, confine, nazione. Non vi sono novità relative a espressioni politico-geografiche più recenti quali identità digitali, spazialità virtuali e conflitti asimmetrici, ma probabilmente si tratta di temi ancora troppo inesplorati per un manuale. Molta importanza viene attribuita alla guerra, e in effetti è tema centrale in Geopolitica. Ma in un intero capitolo la Loyer, più incline al valore operativo della Geopolitica che non alle sue basi epistemiche, non trova spazio per esplicitare le ragioni di tale centralità. Invece sarebbe importante, al fine di non farla passare per una diabolica scienza della guerra, spiegare al lettore perché la Geopolitica si interessa così tanto delle forme più violente della conflittualità umana. Ciò dipende – certamente l’autrice lo sa ma se non ne parla forse ne sottovaluta la portata – dal fatto che una guerra è una causa primaria di cambiamento di equilibri politici, fattore in grado di modificare le relazioni tra attori più repentinamente di tutti gli altri, più di un’innovazione tecnologica o di una crisi finanziaria. La guerra è un acceleratore potente di ogni dinamica politica. Oltre, naturalmente, a essere fonte di drammi umani e dunque più meritevole di attenzione perché la scienza studia i problemi per interpretarne le cause e dare risposte. Non sono le relazioni pacifiche ma quelle più aspramente conflittuali che preoccupano, ed è dunque legittimo che ad esse la scienza dedichi le maggiori energie. Nel volume c’è anche una prolungata disamina degli attori geopolitici nelle loro diverse fattispecie, non solo istituzionali. È sicuramente opportuna, a condizione che non la si ponga al centro dell’analisi in quanto la distintività della geografia consiste in altro: non focus su un solo polo della relazione tra l’essere umano e il suo ambiente di vita, ma proprio sulla relazione in sé, cioè sulle sfaccettate connessioni tra i due poli e la loro piena interdipendenza. È in questo spazio ibrido, sociale e naturale allo stesso tempo, che si colloca il sapere geografico. Sbilanciarlo verso l’umano, come fa certa Geopolitica imitando le Scienze politiche, deprezza il potenziale insito in un approccio autenticamente geografico che ha piena contezza della componente extra-sociale, non umana della realtà. Promettente è anche la discussione sul rapporto tra democrazia e Geopolitica, che viene condotta su un piano strettamente applicato riferito alla vita democratica interna alle società. In questo modo, torna utile per introdurre una serie di temi di Geopolitica interna e locale (elezioni, minoranze, ecc.) e per cogliere le ragioni contingenti del ritorno di fiamma della Geopolitica in società dove in passato la contrapposizione politica era impedita da regimi autoritari. Ma se problematizziamo la relazione tra Geopolitica e democrazia ci accorgiamo di un livello più sofisticato che si apre a questioni drammaticamente attuali quali l’accaparramento di prerogative da parte di attori privati in nuovi ambienti del potere come lo spazio cosmico e quello cibernetico oppure la psicosi securitaria che accentua il controllo dell’autorità non solo negli spazi pubblici ma anche in quelli privati. Come detto, nel volume è molto presente la dimensione locale. Non per rispondere ad astratti problemi di ordine giuridico (quale l’assetto costituzionale) o amministrativo (i modelli di governance) ma per questioni autenticamente geopolitiche in quanto relative a rivalità di potere sul territorio. Si tratta di un campo di studi poco battuto in Italia, probabilmente a causa della diversa sensibilità verso lo spazio pubblico, spiccata in Francia e flebile in Italia. Trovo invece che l’analisi della dimensione locale in Geopolitica, rimandando necessariamente ad altri livelli territoriali, costringa all’istruttivo esercizio di saltellare ‘diatopicamente’ tra le scale. Una pratica da geografe vere. Del libro della Loyer va apprezzato l’ampio e chiaro ricorso a esempi, casi, esperienze. Però è chiaro che l’inclinazione applicativa rischia di andare a discapito – e qui effettivamente questo avviene – dello spessore teorico del ragionamento. Ma la sua è, come apertamente dichiara, una geopolitica funzionale all’azione, alla decisione (politica, economica). Così si spiega l’inserimento di un capitolo finale dedicato alla valutazione del rischio, che “adotta il punto di vista degli attori (aziende, enti pubblici, ONG)”. Purtroppo un libro concepito per servire la decisione ha bisogno di decisori disposti ad ascoltare. Requisito non richiesto, invece, a uno pensato per stimolare la speculazione teorica, che ‘si accontenta’ di dialogare con cervelli pensanti. Poiché ho la netta sensazione che in Italia i primi siano piuttosto rari, ritengo convintamente che l’intellettuale convertitosi in consigliere rischi frustranti scottature. Inoltre, abdica inopinatamente a un ruolo che rimane strategico per la vita democratica di una società. Qualche refuso di troppo non fa onore all’editore, a cui va tuttavia riconosciuto il coraggio di aver puntato su un campo di studi di frontiera ancora non stabilizzato nell’offerta accademica. Non so se l’operazione gli abbia dato soddisfazione economica immediata. Ma ritengo, non per fiducia cieca ma guardando al progressivo incremento della pubblicistica in tema, che potrebbe dargliene in futuro.

recensione a Loyer B., Geopolitica. Metodi e concetti, UTET, 2021 / Boria, Edoardo. - In: SEMESTRALE DI STUDI E RICERCHE DI GEOGRAFIA. - ISSN 2784-9643. - XXXV:fascicolo 1, gennaio-giugno 2023(2023), pp. 143-145.

recensione a Loyer B., Geopolitica. Metodi e concetti, UTET, 2021

Boria, Edoardo
2023

Abstract

Dice bene Giuseppe Bettoni, curatore di questa edizione italiana: “in Italia tutti, o quasi, confondono [Geopolitica] con Relazioni Internazionali”. Peraltro, con dichiarato disappunto dei cultori della seconda (nell’ordine, non nel rango scientifico), che evidentemente si percepiscono monopolisti di consulenze governative e apparizioni radiotelevisive anche se poi non disdegnano di usare il termine Geopolitica/Geopolitics nei loro corsi universitari (portano questo nome 17 insegnamenti ufficialmente inseriti nei programmi degli atenei italiani tenuti da docenti di settori non geografici, con un uso crescente da indurre a ritenere che saliranno ulteriormente in futuro https://www.ageiweb.it/archivio-nl/geopolitica/). Dalla mia prospettiva di geografo, tutta questa attenzione alla Geopolitica dall’esterno della Geografia contiene elementi contraddittori: positivi se si guarda all’interesse riscosso da un campo di studi che porta fin nel nome un’inequivocabile matrice geografica, ma anche negativi se si riflette sull’inevitabile traviamento prodotto da colleghe e colleghi che pur mostrando sensibilità verso il fattore spaziale non dispongono sempre di specifica esperienza nel maneggiarlo. Minor promiscuità si verifica nel Paese in cui Bettoni si è abbeverato negli anni della formazione, la Francia, che rappresenta attualmente il contesto più favorevole al mondo per gli studi geopolitici. Un primato facilmente misurabile in termini di quantità di pubblicazioni, peso nel dibattito pubblico e sensibilità riscossa presso le istituzioni. Al confronto con un tale eden per la Geopolitica, Bettoni non può che dispiacersi per l’inadeguata considerazione che la sua disciplina prediletta ottiene nel nostro Paese. Condivido sia la predilezione che il dispiacere. Però i suoi toni sono decisamente drastici (“… in Italia il mestiere del geografo, a differenza della Francia o della Germania, è sconosciuto”; “… la confusione ha regnato fin qui”; “…l’Italia troppo a lungo si è privata di un vero centro di formazione alla geografia”). Non voglio sopravvalutare la geografia italiana, ma neanche eccedere nel denigrarla, visto poi che si tiene a galla in un panorama accademico nazionale dove non scorgo discipline modello e in un Paese che ha sofferto processi generalizzati di delegittimazione del sapere intellettuale. Proprio quanto evocato fin qui – dai tentativi di appropriazione della Geopolitica al contesto italiano sfavorevole se confrontato con quello francese – spiega e giustifica l’operazione editoriale messa in campo con il testo qui recensito: traduzione italiana di un libro francese (a due anni di distanza dall’originale dal medesimo titolo) finalizzata a colmare un vuoto nell’offerta di Geopolitica ‘geografica’. Il tentativo non sarà pienamente riuscito perché per un obiettivo così ‘pesante’ questo manuale è troppo ‘leggero’, vale a dire, come ammette lo stesso Bettoni, “anche troppo asciutto”. Intanto, però, il tentativo è stato condotto e ciò è sicuramente lodevole in quanto ogni sforzo compiuto in questa direzione va apprezzato. Facile scrivere manuali in materie consolidate, molto più scomodo è farlo in quelle dallo statuto disciplinare ancora dibattuto, la vicenda storica controversa e i ritorni economici incerti se non improbabili. Relativamente ai contenuti di questo volume, i pregi ricalcano quelli della lezione di Yves Lacoste di cui Barbara Loyer è allieva: l’attenzione alle rappresentazioni in costante competizione tra loro, il valore strategico del sapere geografico per il potere (a prescindere dalla consapevolezza che ne hanno geografe e geografi), la conseguente messa in discussione della sua presunta neutralità, la relativizzazione dello spazio, la natura socialmente costruita del territorio. Non è poco. Certo, ci sono ancora diversi nodi da sciogliere per dare fondamenta robuste ai metodi di analisi geopolitica: è ammissibile la comparazione nello spazio e nel tempo? Va preferita un’analisi per aree geografiche oppure per fenomeni? Meglio adottare una concezione dello spazio politico di tipo leibniziano (cioè esistente in quanto prodotto dalle entità che lo popolano e dalle loro relazioni) oppure newtoniano (valido indipendentemente da cosa c’è dentro e dunque pre-politico)? E poi, ancora, occorre stabilire come trattare i rapporti tra i centri (dei soggetti politici, dei fenomeni) e le loro periferie, tra la dimensione interna e quella esterna, tra il tutto e le parti, individuare i parametri più corretti per misurare la dimensione orizzontale e quella verticale dello spazio politico, le forze centrifughe e centripete, il valore delle poste in palio territoriali sia di natura materiale che simbolica, i fattori alla base della conflittualità, il ruolo dello spazio in quanto movente e in quanto vincolo, l’intensità della presa di un soggetto politico su un territorio ecc. ecc. Alcuni di questi aspetti compaiono qua e là nel testo della Loyer in modo implicito ma non vi è una trattazione metodica e sistematica come un manuale dovrebbe offrire. Quanto alle categorie concettuali impiegate, il volume resta nel solco classico: territorio, confine, nazione. Non vi sono novità relative a espressioni politico-geografiche più recenti quali identità digitali, spazialità virtuali e conflitti asimmetrici, ma probabilmente si tratta di temi ancora troppo inesplorati per un manuale. Molta importanza viene attribuita alla guerra, e in effetti è tema centrale in Geopolitica. Ma in un intero capitolo la Loyer, più incline al valore operativo della Geopolitica che non alle sue basi epistemiche, non trova spazio per esplicitare le ragioni di tale centralità. Invece sarebbe importante, al fine di non farla passare per una diabolica scienza della guerra, spiegare al lettore perché la Geopolitica si interessa così tanto delle forme più violente della conflittualità umana. Ciò dipende – certamente l’autrice lo sa ma se non ne parla forse ne sottovaluta la portata – dal fatto che una guerra è una causa primaria di cambiamento di equilibri politici, fattore in grado di modificare le relazioni tra attori più repentinamente di tutti gli altri, più di un’innovazione tecnologica o di una crisi finanziaria. La guerra è un acceleratore potente di ogni dinamica politica. Oltre, naturalmente, a essere fonte di drammi umani e dunque più meritevole di attenzione perché la scienza studia i problemi per interpretarne le cause e dare risposte. Non sono le relazioni pacifiche ma quelle più aspramente conflittuali che preoccupano, ed è dunque legittimo che ad esse la scienza dedichi le maggiori energie. Nel volume c’è anche una prolungata disamina degli attori geopolitici nelle loro diverse fattispecie, non solo istituzionali. È sicuramente opportuna, a condizione che non la si ponga al centro dell’analisi in quanto la distintività della geografia consiste in altro: non focus su un solo polo della relazione tra l’essere umano e il suo ambiente di vita, ma proprio sulla relazione in sé, cioè sulle sfaccettate connessioni tra i due poli e la loro piena interdipendenza. È in questo spazio ibrido, sociale e naturale allo stesso tempo, che si colloca il sapere geografico. Sbilanciarlo verso l’umano, come fa certa Geopolitica imitando le Scienze politiche, deprezza il potenziale insito in un approccio autenticamente geografico che ha piena contezza della componente extra-sociale, non umana della realtà. Promettente è anche la discussione sul rapporto tra democrazia e Geopolitica, che viene condotta su un piano strettamente applicato riferito alla vita democratica interna alle società. In questo modo, torna utile per introdurre una serie di temi di Geopolitica interna e locale (elezioni, minoranze, ecc.) e per cogliere le ragioni contingenti del ritorno di fiamma della Geopolitica in società dove in passato la contrapposizione politica era impedita da regimi autoritari. Ma se problematizziamo la relazione tra Geopolitica e democrazia ci accorgiamo di un livello più sofisticato che si apre a questioni drammaticamente attuali quali l’accaparramento di prerogative da parte di attori privati in nuovi ambienti del potere come lo spazio cosmico e quello cibernetico oppure la psicosi securitaria che accentua il controllo dell’autorità non solo negli spazi pubblici ma anche in quelli privati. Come detto, nel volume è molto presente la dimensione locale. Non per rispondere ad astratti problemi di ordine giuridico (quale l’assetto costituzionale) o amministrativo (i modelli di governance) ma per questioni autenticamente geopolitiche in quanto relative a rivalità di potere sul territorio. Si tratta di un campo di studi poco battuto in Italia, probabilmente a causa della diversa sensibilità verso lo spazio pubblico, spiccata in Francia e flebile in Italia. Trovo invece che l’analisi della dimensione locale in Geopolitica, rimandando necessariamente ad altri livelli territoriali, costringa all’istruttivo esercizio di saltellare ‘diatopicamente’ tra le scale. Una pratica da geografe vere. Del libro della Loyer va apprezzato l’ampio e chiaro ricorso a esempi, casi, esperienze. Però è chiaro che l’inclinazione applicativa rischia di andare a discapito – e qui effettivamente questo avviene – dello spessore teorico del ragionamento. Ma la sua è, come apertamente dichiara, una geopolitica funzionale all’azione, alla decisione (politica, economica). Così si spiega l’inserimento di un capitolo finale dedicato alla valutazione del rischio, che “adotta il punto di vista degli attori (aziende, enti pubblici, ONG)”. Purtroppo un libro concepito per servire la decisione ha bisogno di decisori disposti ad ascoltare. Requisito non richiesto, invece, a uno pensato per stimolare la speculazione teorica, che ‘si accontenta’ di dialogare con cervelli pensanti. Poiché ho la netta sensazione che in Italia i primi siano piuttosto rari, ritengo convintamente che l’intellettuale convertitosi in consigliere rischi frustranti scottature. Inoltre, abdica inopinatamente a un ruolo che rimane strategico per la vita democratica di una società. Qualche refuso di troppo non fa onore all’editore, a cui va tuttavia riconosciuto il coraggio di aver puntato su un campo di studi di frontiera ancora non stabilizzato nell’offerta accademica. Non so se l’operazione gli abbia dato soddisfazione economica immediata. Ma ritengo, non per fiducia cieca ma guardando al progressivo incremento della pubblicistica in tema, che potrebbe dargliene in futuro.
2023
geopolitica, metodologia geopolitica, analisi geopolitica
01 Pubblicazione su rivista::01d Recensione
recensione a Loyer B., Geopolitica. Metodi e concetti, UTET, 2021 / Boria, Edoardo. - In: SEMESTRALE DI STUDI E RICERCHE DI GEOGRAFIA. - ISSN 2784-9643. - XXXV:fascicolo 1, gennaio-giugno 2023(2023), pp. 143-145.
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