Il discorso giuridico moderno sull’associazionismo segreto, parte della “teoria della libertà di associazione”, si sviluppa timidamente nel secolo scorso a partire da alcuni provvedimenti legislativi del regime fascista in materia di pubblica sicurezza, e raggiunge il suo apice con l’ingresso del divieto in Costituzione al secondo comma dell’art. 18. Comunque oggetto di scarso interesse da parte della pubblicistica, la ratio del disposto costituzionale è stata variamente giustificata. L’assunto di fondo secondo cui il divieto poggerebbe su una presunzione assoluta di pericolosità (e, quindi, di illiceità) delle unioni clandestine – originato dalla laconicità della proposizione che non fa cenno all’attività o al fine di queste ultime, né alle conseguenze della sua violazione –, non è stato scardinato dall’orientamento dominante che ha inquadrato il fenomeno sociale in una “dimensione politica”, difficilmente definibile. Anche sul versante penalistico, il contributo della dottrina si è ridotto agli scarsi commenti sull’aggravante di cui all’art. 339 C.p. Solo lo scandalo suscitato dalla scoperta della Loggia massonica “P2”, all’inizio degli anni ’80, ha risvegliato l’attenzione della scienza giuridica sull’argomento. Lo “tsunami” provocato a vari livelli nell’ordinamento giuridico è culminato nell’emanazione della L. 25 gennaio 1982, n. 17 (c.d. “legge Anselmi”), prototipo della c.d. “legislazione dell’emergenza” e da subito criticata per le sue potenzialità illiberali, soprattutto per i movimenti politici e i gruppi di pressione (cc.dd. “lobbies”). Le maggiori perplessità hanno riguardato la definizione di “associazione segreta” contenuta all’art. 1 della legge citata, e, in particolare, il riferimento allo svolgimento della «attività diretta ad interferire» sulle funzioni pubbliche, al cui accertamento è subordinata l’irrogazione delle sanzioni (penali, amministrative e disciplinari) previste dalla legge Anselmi. Il presente scritto vuole fornire un contributo allo studio della fattispecie incriminatrice e al concetto di “interferenza” – un termine da qualificarsi come “iperonimo” –, la cui ambiguità non consente di delimitare il perimetro oggettivo della fattispecie e il confine con altri fenomeni associativi, considerando che, per la natura dell’oggetto materiale (ossia le funzioni pubbliche), l’attività di interferenza sembra costituire una condotta già punibile ai sensi di altre fattispecie. Previa individuazione del bene giuridico tutelato, si tenterà pertanto di elencare le forme di estrinsecazione dell’interferenza che non costituiscano reato – anche alla luce delle recenti vicende giudiziarie sull’associazione denominata “P3” –, evidenziando tutta la fragilità della fattispecie e, de jure condendo, la necessità di una riforma complessiva dei reati associativi e dei reati contro la pubblica amministrazione, più volte auspicata dal mondo accadimento e giudiziario.

Considerazioni sul delitto di "associazione segreta" (L. 25 gennaio 1982, n. 17). contributo all'interpretazione del concetto di "interferenza" e del rapporto con gli altri elementi della fattispecie. parte prima / Alesci, Michele. - In: ISTITUZIONI DIRITTO ECONOMIA. - ISSN 2704-8667. - 2:2(2020), pp. 4-120.

Considerazioni sul delitto di "associazione segreta" (L. 25 gennaio 1982, n. 17). contributo all'interpretazione del concetto di "interferenza" e del rapporto con gli altri elementi della fattispecie. parte prima

MICHELE ALESCI
2020

Abstract

Il discorso giuridico moderno sull’associazionismo segreto, parte della “teoria della libertà di associazione”, si sviluppa timidamente nel secolo scorso a partire da alcuni provvedimenti legislativi del regime fascista in materia di pubblica sicurezza, e raggiunge il suo apice con l’ingresso del divieto in Costituzione al secondo comma dell’art. 18. Comunque oggetto di scarso interesse da parte della pubblicistica, la ratio del disposto costituzionale è stata variamente giustificata. L’assunto di fondo secondo cui il divieto poggerebbe su una presunzione assoluta di pericolosità (e, quindi, di illiceità) delle unioni clandestine – originato dalla laconicità della proposizione che non fa cenno all’attività o al fine di queste ultime, né alle conseguenze della sua violazione –, non è stato scardinato dall’orientamento dominante che ha inquadrato il fenomeno sociale in una “dimensione politica”, difficilmente definibile. Anche sul versante penalistico, il contributo della dottrina si è ridotto agli scarsi commenti sull’aggravante di cui all’art. 339 C.p. Solo lo scandalo suscitato dalla scoperta della Loggia massonica “P2”, all’inizio degli anni ’80, ha risvegliato l’attenzione della scienza giuridica sull’argomento. Lo “tsunami” provocato a vari livelli nell’ordinamento giuridico è culminato nell’emanazione della L. 25 gennaio 1982, n. 17 (c.d. “legge Anselmi”), prototipo della c.d. “legislazione dell’emergenza” e da subito criticata per le sue potenzialità illiberali, soprattutto per i movimenti politici e i gruppi di pressione (cc.dd. “lobbies”). Le maggiori perplessità hanno riguardato la definizione di “associazione segreta” contenuta all’art. 1 della legge citata, e, in particolare, il riferimento allo svolgimento della «attività diretta ad interferire» sulle funzioni pubbliche, al cui accertamento è subordinata l’irrogazione delle sanzioni (penali, amministrative e disciplinari) previste dalla legge Anselmi. Il presente scritto vuole fornire un contributo allo studio della fattispecie incriminatrice e al concetto di “interferenza” – un termine da qualificarsi come “iperonimo” –, la cui ambiguità non consente di delimitare il perimetro oggettivo della fattispecie e il confine con altri fenomeni associativi, considerando che, per la natura dell’oggetto materiale (ossia le funzioni pubbliche), l’attività di interferenza sembra costituire una condotta già punibile ai sensi di altre fattispecie. Previa individuazione del bene giuridico tutelato, si tenterà pertanto di elencare le forme di estrinsecazione dell’interferenza che non costituiscano reato – anche alla luce delle recenti vicende giudiziarie sull’associazione denominata “P3” –, evidenziando tutta la fragilità della fattispecie e, de jure condendo, la necessità di una riforma complessiva dei reati associativi e dei reati contro la pubblica amministrazione, più volte auspicata dal mondo accadimento e giudiziario.
2020
associazione segreta; reato; l. 25 gennaio 1982, n. 7
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Considerazioni sul delitto di "associazione segreta" (L. 25 gennaio 1982, n. 17). contributo all'interpretazione del concetto di "interferenza" e del rapporto con gli altri elementi della fattispecie. parte prima / Alesci, Michele. - In: ISTITUZIONI DIRITTO ECONOMIA. - ISSN 2704-8667. - 2:2(2020), pp. 4-120.
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