Obiettivi: Il dolore cronico, per la sua natura complessa e multidimensionale, pone importanti sfide all’individuazione di trattamenti capaci di arrecare un beneficio effettivo e a lungo termine ai pazienti. Pertanto, c’è un interesse scientifico consolidato e sempre crescente su come le dimensioni psicopatologiche e di personalità influenzino la diagnosi e le traiettorie di sviluppo delle condizioni di dolore cronico. L’obiettivo principale di questo studio longitudinale è stato quello di indagare se e in che misura la qualità di vita, i sintomi di distress, l’autoefficacia, la catastrofizzazione, l’alessitimia e le caratteristiche di personalità fossero in grado di predire la risposta al trattamento medico abituale per il dolore cronico. Metodi: È stato reclutato un campione di 101 pazienti con diagnosi di dolore cronico, valutati alla prima visita medica (pre-trattamento, T1) e a 3 mesi dalla fine del trattamento (post-trattamento, T2). Tutti i pazienti sono stati valutati al T1 e al T2 con una batteria di strumenti self-report per la misurazione dei livelli di dolore (BPI), qualità di vita (SF-12), sintomi di ansia e depressione (HADS), sintomi somatici (PHQ-15), autoefficacia nella gestione del dolore (PSEQ), catastrofizzazione del dolore (PCS), alessitimia (TAS-20) e caratteristiche di personalità (PAS). Risultati: Rispetto ai pazienti non migliorati dopo il trattamento (n = 57, 56.4%), quelli migliorati (n = 44, 43.6%) presentavano un generale miglioramento sulle variabili psicologico-cliniche, tranne che sui livelli di alessitimia, sintomi somatici e qualità di vita mentale. I pazienti non migliorati presentavano, inoltre, livelli significativamente più alti di alessitimia e sintomi somatici e più bassi di qualità di vita fisica al T1. L’alessitimia (al T1 e al T2) e i sintomi depressivi (al T2) hanno predetto il cambiamento dell’intensità del dolore al T2. L’autoefficacia e i sintomi di ansia (al T2) sono invece risultati i predittori più forti dell’interferenza del dolore e della qualità di vita fisica al T2. L’affettività negativa, l’autoefficacia e la catastrofizzazione (al T1 e al T2) hanno avuto un ruolo predittivo anche della qualità di vita mentale al T2. Conclusioni: Il dolore persistente può influenzare e, a sua volta, essere influenzato dallo stato psicologico del paziente. Identificare i pazienti con alti livelli di alessitimia, distress, catastrofizzazione e bassi livelli di autoefficacia può contribuire a sviluppare terapie personalizzate e migliorare l’efficacia dei trattamenti.
Il ruolo dei fattori psicologici come predittori di esito del trattamento in pazienti con dolore cronico: uno studio longitudinale / Lanzara, Roberta. - (2022 May 10).
Il ruolo dei fattori psicologici come predittori di esito del trattamento in pazienti con dolore cronico: uno studio longitudinale
LANZARA, ROBERTA
10/05/2022
Abstract
Obiettivi: Il dolore cronico, per la sua natura complessa e multidimensionale, pone importanti sfide all’individuazione di trattamenti capaci di arrecare un beneficio effettivo e a lungo termine ai pazienti. Pertanto, c’è un interesse scientifico consolidato e sempre crescente su come le dimensioni psicopatologiche e di personalità influenzino la diagnosi e le traiettorie di sviluppo delle condizioni di dolore cronico. L’obiettivo principale di questo studio longitudinale è stato quello di indagare se e in che misura la qualità di vita, i sintomi di distress, l’autoefficacia, la catastrofizzazione, l’alessitimia e le caratteristiche di personalità fossero in grado di predire la risposta al trattamento medico abituale per il dolore cronico. Metodi: È stato reclutato un campione di 101 pazienti con diagnosi di dolore cronico, valutati alla prima visita medica (pre-trattamento, T1) e a 3 mesi dalla fine del trattamento (post-trattamento, T2). Tutti i pazienti sono stati valutati al T1 e al T2 con una batteria di strumenti self-report per la misurazione dei livelli di dolore (BPI), qualità di vita (SF-12), sintomi di ansia e depressione (HADS), sintomi somatici (PHQ-15), autoefficacia nella gestione del dolore (PSEQ), catastrofizzazione del dolore (PCS), alessitimia (TAS-20) e caratteristiche di personalità (PAS). Risultati: Rispetto ai pazienti non migliorati dopo il trattamento (n = 57, 56.4%), quelli migliorati (n = 44, 43.6%) presentavano un generale miglioramento sulle variabili psicologico-cliniche, tranne che sui livelli di alessitimia, sintomi somatici e qualità di vita mentale. I pazienti non migliorati presentavano, inoltre, livelli significativamente più alti di alessitimia e sintomi somatici e più bassi di qualità di vita fisica al T1. L’alessitimia (al T1 e al T2) e i sintomi depressivi (al T2) hanno predetto il cambiamento dell’intensità del dolore al T2. L’autoefficacia e i sintomi di ansia (al T2) sono invece risultati i predittori più forti dell’interferenza del dolore e della qualità di vita fisica al T2. L’affettività negativa, l’autoefficacia e la catastrofizzazione (al T1 e al T2) hanno avuto un ruolo predittivo anche della qualità di vita mentale al T2. Conclusioni: Il dolore persistente può influenzare e, a sua volta, essere influenzato dallo stato psicologico del paziente. Identificare i pazienti con alti livelli di alessitimia, distress, catastrofizzazione e bassi livelli di autoefficacia può contribuire a sviluppare terapie personalizzate e migliorare l’efficacia dei trattamenti.File | Dimensione | Formato | |
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