La scelta del tema oggetto del presente elaborato, dal titolo “Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico: i limiti e i vincoli derivanti dal nuovo dettato normativo”, scaturisce dall’esigenza di comprendere più agevolmente la complessa realtà delle “società pubbliche”, con riferimento a specifiche questioni attinenti, in particolare, alla gestione del rapporto di lavoro dipendente. Al fine di poter approfondire le principali tematiche connesse al rapporto di lavoro, senza alcuna pretesa di esaustività, si è tuttavia reso necessario analizzare, in primo luogo, le caratteristiche proprie delle società a controllo pubblico, partendo dall’ampia nozione delle stesse, offerta dal legislatore del “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” di cui al Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, entrato in vigore il 23 settembre 2016 (GU n. 210 dell’8-9-2016). Nel contesto d’indagine considerato, oltre alla puntuale nozione di società a controllo pubblico, rileva, in particolare, la qualificazione giuridica attribuita a tale categoria societaria, specie a fronte dei recenti orientamenti giurisprudenziali di legittimità volti a definire i pregressi contrasti sul tema. Allo stato, non sembrano più sussistere notevoli dubbi in merito alla natura privata delle società a controllo pubblico, ovvero alla loro non assimilabilità agli enti pubblici, con conseguente inapplicabilità, ai rapporti di lavoro instaurati con le stesse, delle disposizioni dettate dal Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Tra le fonti di disciplina del rapporto di lavoro sono infatti annoverate sia le norme generali di diritto privato che, più specificamente, le disposizioni codicistiche del lavoro nell’impresa. Quanto detto, per espressa previsione normativa, disposta ai sensi dell’art. 19, comma 1, nonché, in via generale e con ambito di applicazione soggettivo più esteso – ossia con riferimento alle società a partecipazione pubblica – dall’art. 1, comma 3 del D.Lgs. n. 175/2016. Detto Decreto si pone, pertanto, quale insieme di norme derogatorie rispetto alla disciplina di diritto comune, cristallizzate all’interno di un testo strutturato con l’obiettivo di superare il precedente quadro normativo, particolarmente frammentario e disorganico. Si tratta, quindi, di norme speciali che portano ad asservire le società pubbliche, o meglio le società a controllo pubblico che costituiscono oggetto specifico di indagine – essendo riferite alle stesse, in via esclusiva, le principali disposizioni giuslavoristiche – a determinati vincoli pubblicistici, alcuni destinati ad operare soltanto transitoriamente, altri, invece, in via permanente. Tali vincoli si pongono a garanzia di pubblici interessi e di principi, ritenuti fondamentali, cui deve essere improntata l’azione amministrativa, intesa in senso ampio, affinché sia assicurato il buon andamento della stessa e un’efficiente gestione delle risorse pubbliche. Ciò specie in considerazione della natura pubblica del capitale impiegato dai soggetti giuridici in esame. Premesso quanto sopra, il primo capitolo, intitolato “Il nuovo T.U. Partecipate, l’estensione dei vincoli pubblicistici alle società pubbliche e la loro qualificazione giuridica” è, dunque, volto ad analizzare gli obiettivi perseguiti con l’intervento di riforma in oggetto, con specifico riferimento alla riorganizzazione delle disposizioni giuslavoristiche. Esso, inoltre, è stato sviluppato ripercorrendo le fasi successive all’emanazione del Testo unico, connotate, in ordine consequenziale, da: (i) la pronuncia di illegittimità costituzionale, da parte della Consulta, di alcune disposizioni della legge di delegazione n. 124/2015; (ii) il parere espresso dal Consiglio di Stato affinché il Governo adottasse misure correttive idonee a sanare le carenze procedimentali evidenziate dalla Corte costituzionale; (iii) l’intervento integrativo e correttivo del D.Lgs. n. 175/2016, attuato dal Governo per mezzo del D.Lgs. n. 100/2017. Detto excursus è, poi, seguito dall’analisi dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di società pubbliche, espressi attraverso distinte pronunce, i cui rimandi sono fondamentali per comprendere pienamente i motivi per i quali, tali soggetti, pur dovendo sottostare a specifici vincoli o obblighi, che apparentemente potrebbero determinare una “svolta nel senso della loro pubblicizzazione”, sono tuttavia qualificati in termini privatistici, anche in virtù della veste giuridica impiegata. Il secondo capitolo, invece, dal titolo “Le disposizioni speciali derogatorie in materia di rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico”, si fonda sull’esame delle singole norme derogatorie speciali – rispetto a quelle generali di diritto privato – afferenti al rapporto di lavoro, con approfondimento delle principali disposizioni di cui agli articoli 19 e 25 del D.Lgs. n. 175/2016. Le succitate norme riguardando, sinteticamente, per gli aspetti di interesse: (i) i vincoli sostanziali, eventualmente fissati, in materia di “contenimento delle spese per il personale”, operanti solo nel caso di “atti di indirizzo” provenienti dalle amministrazioni pubbliche controllanti; (ii) i vincoli procedurali permanenti, ispirati a principi – anche di derivazione europea – propri del pubblico impiego, relativi al reclutamento del personale dipendente, incluso pertanto anche quello di qualifica dirigenziale, la cui inottemperanza – nei termini ivi descritti – determina, tra l’altro, la sanzione della nullità dei contratti di lavoro stipulati; (iii) i vincoli procedurali transitori in materia di personale – la cui cogenza è ad oggi venuta meno – finalizzati, da un lato, a consentire la razionalizzazione delle risorse pubbliche, recuperando l’efficienza delle società a controllo pubblico mediante specifiche misure “micro” (che si aggiungono ad altre misure definibili come “macro”) e, dall’altro, a tutelare l’occupazione mediante la ricollocazione, in ciascun ambito regionale, attraverso sistemi di mobilità interna, dei lavoratori dichiarati in “esubero”. Le suddette tematiche sono state affrontate anche in relazione a particolari fattispecie che di frequente connotano la realtà delle società a controllo pubblico. Basti pensare, ad esempio, alla vicenda traslativa del trasferimento d’azienda che costituisce certamente un’ipotesi peculiare di acquisizione di risorse, distinta – specie con riferimento a tale aspetto – dalla cessione del contratto ex art. 1406 c.c., ovvero al fenomeno delle progressioni verticali, oppure ancora, alla possibilità di convertire a tempo indeterminato contratti di lavoro a termine. Quest’ultima ipotesi, in particolare, rappresenta per le società a controllo pubblico un nodo difficile da districare poiché, nonostante il silenzio del legislatore al riguardo, mancando una specifica trattazione di tale questione all’interno del Testo unico, la giurisprudenza di legittimità, sebbene ribadisca la natura privata di dette società, continua a sottolineare, al contempo, l’importanza preminente del “principio di concorsualità”. Il terzo capitolo riguarda, poi, “Il rapporto di lavoro dirigenziale e i limiti retributivi” ad esso imposti, con specifico riferimento a quelli previsti ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 175/2016. In particolare, è stato esaminato il sesto comma della succitata norma, riferito al limite legale di 240.000 euro, quale compenso massimo, da poter corrispondere come trattamento economico onnicomprensivo annuo lordo, ai dirigenti, oltreché al personale dipendente non rientrante in tale categoria, nonché agli amministratori e ai titolari e componenti degli organi di controllo della società. Si è, inoltre, evidenziato che tale trattamento, inteso in termini di onnicomprensività, dovrà essere stabilito in relazione al limite dei compensi massimi che verrà fissato, per ognuna delle cinque fasce di società a controllo pubblico, mediante un apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ad oggi non ancora emanato. L’analisi dell’art. 11 è, poi, proseguita con riferimento al comma 10, disposizione concernente sia i limiti relativi agli incentivi all’esodo da corrispondere ai dirigenti in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro – i cui importi sono necessariamente soggetti alla misura definita dalla legge o dalla contrattazione collettiva – sia il divieto di stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche ai sensi della normativa civilistica di cui all’art. 2125 c.c.. Infine, in chiusura del presente elaborato, è stato esaminato il comma 12, relativo alla peculiare ipotesi di coesistenza tra rapporto di amministrazione e rapporto di lavoro, la cui ammissibilità – seppure subordinata a specifiche condizioni – si desume dalla formulazione letterale della norma. La parte conclusiva della tesi pone, dunque, in evidenza le ragioni che hanno condotto il legislatore a sostenere la possibilità, nonché l’utilità, di ammettere che uno stesso soggetto sia al contempo titolare di due distinti rapporti, purché quello di tipo polito-amministrativo venga, però, svolto a titolo gratuito. Al riguardo, risulta interessante la ricostruzione compiuta dalla giurisprudenza in merito alla corretta qualificazione del rapporto di amministrazione, da ultimo inteso quale rapporto societario, che conduce a sostenere la possibile gratuità dello stesso.

Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico: i vincoli e i limiti derivanti dal nuovo dettato normativo / Serrapica, Claudia. - (2019 Jan 24).

Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico: i vincoli e i limiti derivanti dal nuovo dettato normativo

SERRAPICA, CLAUDIA
24/01/2019

Abstract

La scelta del tema oggetto del presente elaborato, dal titolo “Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico: i limiti e i vincoli derivanti dal nuovo dettato normativo”, scaturisce dall’esigenza di comprendere più agevolmente la complessa realtà delle “società pubbliche”, con riferimento a specifiche questioni attinenti, in particolare, alla gestione del rapporto di lavoro dipendente. Al fine di poter approfondire le principali tematiche connesse al rapporto di lavoro, senza alcuna pretesa di esaustività, si è tuttavia reso necessario analizzare, in primo luogo, le caratteristiche proprie delle società a controllo pubblico, partendo dall’ampia nozione delle stesse, offerta dal legislatore del “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” di cui al Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, entrato in vigore il 23 settembre 2016 (GU n. 210 dell’8-9-2016). Nel contesto d’indagine considerato, oltre alla puntuale nozione di società a controllo pubblico, rileva, in particolare, la qualificazione giuridica attribuita a tale categoria societaria, specie a fronte dei recenti orientamenti giurisprudenziali di legittimità volti a definire i pregressi contrasti sul tema. Allo stato, non sembrano più sussistere notevoli dubbi in merito alla natura privata delle società a controllo pubblico, ovvero alla loro non assimilabilità agli enti pubblici, con conseguente inapplicabilità, ai rapporti di lavoro instaurati con le stesse, delle disposizioni dettate dal Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Tra le fonti di disciplina del rapporto di lavoro sono infatti annoverate sia le norme generali di diritto privato che, più specificamente, le disposizioni codicistiche del lavoro nell’impresa. Quanto detto, per espressa previsione normativa, disposta ai sensi dell’art. 19, comma 1, nonché, in via generale e con ambito di applicazione soggettivo più esteso – ossia con riferimento alle società a partecipazione pubblica – dall’art. 1, comma 3 del D.Lgs. n. 175/2016. Detto Decreto si pone, pertanto, quale insieme di norme derogatorie rispetto alla disciplina di diritto comune, cristallizzate all’interno di un testo strutturato con l’obiettivo di superare il precedente quadro normativo, particolarmente frammentario e disorganico. Si tratta, quindi, di norme speciali che portano ad asservire le società pubbliche, o meglio le società a controllo pubblico che costituiscono oggetto specifico di indagine – essendo riferite alle stesse, in via esclusiva, le principali disposizioni giuslavoristiche – a determinati vincoli pubblicistici, alcuni destinati ad operare soltanto transitoriamente, altri, invece, in via permanente. Tali vincoli si pongono a garanzia di pubblici interessi e di principi, ritenuti fondamentali, cui deve essere improntata l’azione amministrativa, intesa in senso ampio, affinché sia assicurato il buon andamento della stessa e un’efficiente gestione delle risorse pubbliche. Ciò specie in considerazione della natura pubblica del capitale impiegato dai soggetti giuridici in esame. Premesso quanto sopra, il primo capitolo, intitolato “Il nuovo T.U. Partecipate, l’estensione dei vincoli pubblicistici alle società pubbliche e la loro qualificazione giuridica” è, dunque, volto ad analizzare gli obiettivi perseguiti con l’intervento di riforma in oggetto, con specifico riferimento alla riorganizzazione delle disposizioni giuslavoristiche. Esso, inoltre, è stato sviluppato ripercorrendo le fasi successive all’emanazione del Testo unico, connotate, in ordine consequenziale, da: (i) la pronuncia di illegittimità costituzionale, da parte della Consulta, di alcune disposizioni della legge di delegazione n. 124/2015; (ii) il parere espresso dal Consiglio di Stato affinché il Governo adottasse misure correttive idonee a sanare le carenze procedimentali evidenziate dalla Corte costituzionale; (iii) l’intervento integrativo e correttivo del D.Lgs. n. 175/2016, attuato dal Governo per mezzo del D.Lgs. n. 100/2017. Detto excursus è, poi, seguito dall’analisi dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di società pubbliche, espressi attraverso distinte pronunce, i cui rimandi sono fondamentali per comprendere pienamente i motivi per i quali, tali soggetti, pur dovendo sottostare a specifici vincoli o obblighi, che apparentemente potrebbero determinare una “svolta nel senso della loro pubblicizzazione”, sono tuttavia qualificati in termini privatistici, anche in virtù della veste giuridica impiegata. Il secondo capitolo, invece, dal titolo “Le disposizioni speciali derogatorie in materia di rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico”, si fonda sull’esame delle singole norme derogatorie speciali – rispetto a quelle generali di diritto privato – afferenti al rapporto di lavoro, con approfondimento delle principali disposizioni di cui agli articoli 19 e 25 del D.Lgs. n. 175/2016. Le succitate norme riguardando, sinteticamente, per gli aspetti di interesse: (i) i vincoli sostanziali, eventualmente fissati, in materia di “contenimento delle spese per il personale”, operanti solo nel caso di “atti di indirizzo” provenienti dalle amministrazioni pubbliche controllanti; (ii) i vincoli procedurali permanenti, ispirati a principi – anche di derivazione europea – propri del pubblico impiego, relativi al reclutamento del personale dipendente, incluso pertanto anche quello di qualifica dirigenziale, la cui inottemperanza – nei termini ivi descritti – determina, tra l’altro, la sanzione della nullità dei contratti di lavoro stipulati; (iii) i vincoli procedurali transitori in materia di personale – la cui cogenza è ad oggi venuta meno – finalizzati, da un lato, a consentire la razionalizzazione delle risorse pubbliche, recuperando l’efficienza delle società a controllo pubblico mediante specifiche misure “micro” (che si aggiungono ad altre misure definibili come “macro”) e, dall’altro, a tutelare l’occupazione mediante la ricollocazione, in ciascun ambito regionale, attraverso sistemi di mobilità interna, dei lavoratori dichiarati in “esubero”. Le suddette tematiche sono state affrontate anche in relazione a particolari fattispecie che di frequente connotano la realtà delle società a controllo pubblico. Basti pensare, ad esempio, alla vicenda traslativa del trasferimento d’azienda che costituisce certamente un’ipotesi peculiare di acquisizione di risorse, distinta – specie con riferimento a tale aspetto – dalla cessione del contratto ex art. 1406 c.c., ovvero al fenomeno delle progressioni verticali, oppure ancora, alla possibilità di convertire a tempo indeterminato contratti di lavoro a termine. Quest’ultima ipotesi, in particolare, rappresenta per le società a controllo pubblico un nodo difficile da districare poiché, nonostante il silenzio del legislatore al riguardo, mancando una specifica trattazione di tale questione all’interno del Testo unico, la giurisprudenza di legittimità, sebbene ribadisca la natura privata di dette società, continua a sottolineare, al contempo, l’importanza preminente del “principio di concorsualità”. Il terzo capitolo riguarda, poi, “Il rapporto di lavoro dirigenziale e i limiti retributivi” ad esso imposti, con specifico riferimento a quelli previsti ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 175/2016. In particolare, è stato esaminato il sesto comma della succitata norma, riferito al limite legale di 240.000 euro, quale compenso massimo, da poter corrispondere come trattamento economico onnicomprensivo annuo lordo, ai dirigenti, oltreché al personale dipendente non rientrante in tale categoria, nonché agli amministratori e ai titolari e componenti degli organi di controllo della società. Si è, inoltre, evidenziato che tale trattamento, inteso in termini di onnicomprensività, dovrà essere stabilito in relazione al limite dei compensi massimi che verrà fissato, per ognuna delle cinque fasce di società a controllo pubblico, mediante un apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ad oggi non ancora emanato. L’analisi dell’art. 11 è, poi, proseguita con riferimento al comma 10, disposizione concernente sia i limiti relativi agli incentivi all’esodo da corrispondere ai dirigenti in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro – i cui importi sono necessariamente soggetti alla misura definita dalla legge o dalla contrattazione collettiva – sia il divieto di stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche ai sensi della normativa civilistica di cui all’art. 2125 c.c.. Infine, in chiusura del presente elaborato, è stato esaminato il comma 12, relativo alla peculiare ipotesi di coesistenza tra rapporto di amministrazione e rapporto di lavoro, la cui ammissibilità – seppure subordinata a specifiche condizioni – si desume dalla formulazione letterale della norma. La parte conclusiva della tesi pone, dunque, in evidenza le ragioni che hanno condotto il legislatore a sostenere la possibilità, nonché l’utilità, di ammettere che uno stesso soggetto sia al contempo titolare di due distinti rapporti, purché quello di tipo polito-amministrativo venga, però, svolto a titolo gratuito. Al riguardo, risulta interessante la ricostruzione compiuta dalla giurisprudenza in merito alla corretta qualificazione del rapporto di amministrazione, da ultimo inteso quale rapporto societario, che conduce a sostenere la possibile gratuità dello stesso.
24-gen-2019
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