Nella Roma d’età repubblicana, secondo l’opinione di Dario Sabbatucci (1923-2002), la religione e la politica costituivano due realtà interconnesse e mediate da un rilevante senso civico. Il “sistema giuridico-religioso romano”, così definito da Pierangelo Catalano, trovava la sua ragion d’essere nella cura della civitas, attraverso una serie di riti e vota, caratterizzati da un rigido formalismo, propedeutici ad assicurarsi la benevolentia (pax) deorum. Si trattava, a parere di Raffaele Pettazzoni (1883-1959), di una “religione” incline, per certi versi, al “sacrificio”, nella quale la salvezza del singolo passava in secondo piano rispetto alla salvezza dello Stato. A tale riguardo, il ritus della devotio – in cui un comandante militare, se gli esiti della battaglia volgevano al peggio, poteva offrire alle potenze extra-umane la sua vita e quelle dei suoi nemici, recitando una formula elaborata dai sacerdotes, per avere in cambio la vittoria (Liv. VIII.9.4-8) – sembrerebbe essere la fattispecie dove parrebbero maggiormente riconoscibili gli elementi basilari della c.d. Romana religio. Ci riferiamo, in particolare, alla solennità degli atti, all’inflessibile registro di posizioni e gesti, agli aspetti negoziali (do ut des) e all’assoluta adesione (“devozione”, appunto) ai principi della res publica, che si spingevano fino al pro patria mori di oraziana memoria (Carmina III.2.13). Il condizionale è, però, d’obbligo poiché sono diversi, in verità, gli istituti che potrebbero vantare peculiarità analoghe, giacché ogni ritus produceva i suoi effetti nel preciso contesto nel quale, e per il quale, veniva celebrato. In virtù di ciò, questo contributo non parte da una premessa o da un assunto, come qualcuno potrebbe erroneamente ritenere. Il saggio origina, al contrario, da alcuni quesiti che, qui, s’intendono problematizzare in una prospettiva storico-religiosa. Esisteva, a Roma, una cerimonia dove emergeva, con evidenza notevole, che l’azione umana avesse luogo in totale sintonia con il volere divino? La devotio – malgrado siano noti solo tre casi del ritus e solo del secondo possediamo una nutrita documentazione storica – potrebbe rappresentare il meccanismo più intimamente connesso all’idea che i Romani avevano della propria religio? I risultati di questa indagine costituiscono l’oggetto del presente lavoro. Da un punto di vista metodologico, l’ausilio delle fonti ha avuto un peso dirimente, poiché le argomentazioni proposte sono state filtrate attraverso l’analisi critica delle opere degli autori classici ed eventualmente integrate dall’esame ragionato della letteratura secondaria di area

Sul rapporto fra devotio e religio nella Roma repubblicana. Indagine storico-religiosa / Sacco, Leonardo. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - Anno 2020-2021:18(2021).

Sul rapporto fra devotio e religio nella Roma repubblicana. Indagine storico-religiosa

Leonardo Sacco
2021

Abstract

Nella Roma d’età repubblicana, secondo l’opinione di Dario Sabbatucci (1923-2002), la religione e la politica costituivano due realtà interconnesse e mediate da un rilevante senso civico. Il “sistema giuridico-religioso romano”, così definito da Pierangelo Catalano, trovava la sua ragion d’essere nella cura della civitas, attraverso una serie di riti e vota, caratterizzati da un rigido formalismo, propedeutici ad assicurarsi la benevolentia (pax) deorum. Si trattava, a parere di Raffaele Pettazzoni (1883-1959), di una “religione” incline, per certi versi, al “sacrificio”, nella quale la salvezza del singolo passava in secondo piano rispetto alla salvezza dello Stato. A tale riguardo, il ritus della devotio – in cui un comandante militare, se gli esiti della battaglia volgevano al peggio, poteva offrire alle potenze extra-umane la sua vita e quelle dei suoi nemici, recitando una formula elaborata dai sacerdotes, per avere in cambio la vittoria (Liv. VIII.9.4-8) – sembrerebbe essere la fattispecie dove parrebbero maggiormente riconoscibili gli elementi basilari della c.d. Romana religio. Ci riferiamo, in particolare, alla solennità degli atti, all’inflessibile registro di posizioni e gesti, agli aspetti negoziali (do ut des) e all’assoluta adesione (“devozione”, appunto) ai principi della res publica, che si spingevano fino al pro patria mori di oraziana memoria (Carmina III.2.13). Il condizionale è, però, d’obbligo poiché sono diversi, in verità, gli istituti che potrebbero vantare peculiarità analoghe, giacché ogni ritus produceva i suoi effetti nel preciso contesto nel quale, e per il quale, veniva celebrato. In virtù di ciò, questo contributo non parte da una premessa o da un assunto, come qualcuno potrebbe erroneamente ritenere. Il saggio origina, al contrario, da alcuni quesiti che, qui, s’intendono problematizzare in una prospettiva storico-religiosa. Esisteva, a Roma, una cerimonia dove emergeva, con evidenza notevole, che l’azione umana avesse luogo in totale sintonia con il volere divino? La devotio – malgrado siano noti solo tre casi del ritus e solo del secondo possediamo una nutrita documentazione storica – potrebbe rappresentare il meccanismo più intimamente connesso all’idea che i Romani avevano della propria religio? I risultati di questa indagine costituiscono l’oggetto del presente lavoro. Da un punto di vista metodologico, l’ausilio delle fonti ha avuto un peso dirimente, poiché le argomentazioni proposte sono state filtrate attraverso l’analisi critica delle opere degli autori classici ed eventualmente integrate dall’esame ragionato della letteratura secondaria di area
2021
devotio; religio; roma antica; epoca repubblicana; storia delle religioni
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Sul rapporto fra devotio e religio nella Roma repubblicana. Indagine storico-religiosa / Sacco, Leonardo. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - Anno 2020-2021:18(2021).
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