Nello studio degli edifici, in particolar modo in quelli storici, vale lo stesso discorso che si può applicare in un qualsiasi metodo di ricerca scientifico, in cui è possibile iniziare da un postulato di partenza con cui percorrere tutte le considerazioni future. Nel nostro caso l’assioma, un concetto quasi empirico, è piuttosto semplice, ma forse non troppo banale: “ogni edificio si trasforma”. Gli edifici, e per esteso i monumenti, mutano continuamente il proprio aspetto o la destinazione d’uso nel tempo, in minima o in grande parte. Secondo la definizione di William Morris , l’architettura consiste nell’insieme delle trasformazioni apportate dall’uomo all’ambiente fisico che lo circonda, naturale o artificiale che sia. Questo perché la vita e l’umanità cambiano, e con loro mutano anche le esigenze: l’architettura è quindi chiamata a rispondere delle molteplici necessità in continua evoluzione. Ad esempio, se ad Amatrice fosse mai esistita una grande piazza , nel momento in cui il Principe Orsini diventa signore della città, risulta chiaro che quel tipo di spazio pubblico diventa superfluo in quanto eventuali assemblee in un clima neofeudale non solo potrebbero risultare inutili, ma persino dannose (fig. 1). Inoltre, nell’architettura il fattore “tempo”, a differenza delle altre arti, è un coefficiente predominante. Il tempo pesa fortemente sia nel processo formativo, in quello estetico o in quello relativo alle trasformazioni. Basti ricordare i lunghi cantieri delle cattedrali medievali, o alla differenza formale tra un ordine dorico arcaico e uno seicentesco oppure alle infinite trasformazioni di uno stesso edificio, date dalla combinazione tra fattori antropici o naturali, che siano agenti atmosferici o persino terremoti. Gli edifici cambiano forse anche per istinto di sopravvivenza, per cui chi si trasforma e si adegua può sopravvivere, mentre chi rimane uguale a se stesso è destinato a diventare un rudere . È anche vero che ognuna delle fasi storiche precedenti a quella attuale ci giunge alterata, se non distrutta, quindi per un qualsiasi osservatore l’oggetto di studio sarà a un primo impatto solo parzialmente conosciuto e conoscibile, e appare necessario l’affidamento a metodi di ricostruzione grafica , basati sulla scientificità, sulla filologia e non meno importante, sull’intuizione per ottenere un quadro d’insieme più leggibile. Per cogliere le varie trasformazioni che possono interessare un edificio, è necessario anzitutto osservarlo, tenendo in considerazione che non è sufficiente la sola osservazione fine a se stessa, ma il modo in cui si osserva. In questo modo un ragionamento che potrebbe sembrare all’apparenza induttivo è in realtà l’applicazione di un pensiero deduttivo, poiché comprende sempre la sovrapposizione degli schemi e del know-how dell’osservatore sulla realtà osservata. L’antica “piazza Maggiore” di Amatrice , oggi nota come piazza dei Cacciatori del Tevere, sembra offrire il luogo adatto per questo genere di riflessioni, in quanto vi si affacciavano le principali tipologie architettoniche: la chiesa, il palazzo, l’edificio pubblico e l’abitazione privata. Tralasciando la chiesa dei Santi Giovanni e Lucia, la quale meriterebbe un approfondimento individuale, verranno trattate le sole architetture civili.

“Platea quam postea Ursinam nuncupavit”: l’epicentro delle trasformazioni urbane di Amatrice / Lucchetti, Simone. - (2022), pp. 62-77.

“Platea quam postea Ursinam nuncupavit”: l’epicentro delle trasformazioni urbane di Amatrice

Simone Lucchetti
2022

Abstract

Nello studio degli edifici, in particolar modo in quelli storici, vale lo stesso discorso che si può applicare in un qualsiasi metodo di ricerca scientifico, in cui è possibile iniziare da un postulato di partenza con cui percorrere tutte le considerazioni future. Nel nostro caso l’assioma, un concetto quasi empirico, è piuttosto semplice, ma forse non troppo banale: “ogni edificio si trasforma”. Gli edifici, e per esteso i monumenti, mutano continuamente il proprio aspetto o la destinazione d’uso nel tempo, in minima o in grande parte. Secondo la definizione di William Morris , l’architettura consiste nell’insieme delle trasformazioni apportate dall’uomo all’ambiente fisico che lo circonda, naturale o artificiale che sia. Questo perché la vita e l’umanità cambiano, e con loro mutano anche le esigenze: l’architettura è quindi chiamata a rispondere delle molteplici necessità in continua evoluzione. Ad esempio, se ad Amatrice fosse mai esistita una grande piazza , nel momento in cui il Principe Orsini diventa signore della città, risulta chiaro che quel tipo di spazio pubblico diventa superfluo in quanto eventuali assemblee in un clima neofeudale non solo potrebbero risultare inutili, ma persino dannose (fig. 1). Inoltre, nell’architettura il fattore “tempo”, a differenza delle altre arti, è un coefficiente predominante. Il tempo pesa fortemente sia nel processo formativo, in quello estetico o in quello relativo alle trasformazioni. Basti ricordare i lunghi cantieri delle cattedrali medievali, o alla differenza formale tra un ordine dorico arcaico e uno seicentesco oppure alle infinite trasformazioni di uno stesso edificio, date dalla combinazione tra fattori antropici o naturali, che siano agenti atmosferici o persino terremoti. Gli edifici cambiano forse anche per istinto di sopravvivenza, per cui chi si trasforma e si adegua può sopravvivere, mentre chi rimane uguale a se stesso è destinato a diventare un rudere . È anche vero che ognuna delle fasi storiche precedenti a quella attuale ci giunge alterata, se non distrutta, quindi per un qualsiasi osservatore l’oggetto di studio sarà a un primo impatto solo parzialmente conosciuto e conoscibile, e appare necessario l’affidamento a metodi di ricostruzione grafica , basati sulla scientificità, sulla filologia e non meno importante, sull’intuizione per ottenere un quadro d’insieme più leggibile. Per cogliere le varie trasformazioni che possono interessare un edificio, è necessario anzitutto osservarlo, tenendo in considerazione che non è sufficiente la sola osservazione fine a se stessa, ma il modo in cui si osserva. In questo modo un ragionamento che potrebbe sembrare all’apparenza induttivo è in realtà l’applicazione di un pensiero deduttivo, poiché comprende sempre la sovrapposizione degli schemi e del know-how dell’osservatore sulla realtà osservata. L’antica “piazza Maggiore” di Amatrice , oggi nota come piazza dei Cacciatori del Tevere, sembra offrire il luogo adatto per questo genere di riflessioni, in quanto vi si affacciavano le principali tipologie architettoniche: la chiesa, il palazzo, l’edificio pubblico e l’abitazione privata. Tralasciando la chiesa dei Santi Giovanni e Lucia, la quale meriterebbe un approfondimento individuale, verranno trattate le sole architetture civili.
2022
Amatrice studi e ricerche per la ricostruzione della città
9788836640546
Amatrice; piazza Maggiore; urbanistica medievale; trasformazioni urbane
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
“Platea quam postea Ursinam nuncupavit”: l’epicentro delle trasformazioni urbane di Amatrice / Lucchetti, Simone. - (2022), pp. 62-77.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1655597
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