Già verso la fine degli anni '70 il progresso economico e la rivoluzione silenziosa, come fu definita da Inglehart, avevano iniziato a portare con sé, almeno nei Paesi Occidentali, una popolazione progressivamente più benestante e più colta. Elementi che, a livello politico, stavano contribuendo a smussare le radicali differenze di posizionamento e a sfumare le grandi battaglie ideologiche. I partiti stavano lentamente slittando dal partito di massa, con la sua rappresentanza di classe, all'attuale tipologia di partito pigliatutto. Con il ridimensionamento della lotta di classe, si indeboliva contestualmente anche lo scontro ideologico. Era l’inizio della costituzione di un mercato elettorale che si baserà sui programmi e sulle idee, a volte limitate ad alcuni ambiti tematici specifici e, più avanti, sulla leadership. Che, come i mercati, è volatile, leggero, inafferrabile. Segue la fine della produzione pesante, di massa, e si allinea ad una società più liquida, al terziario, a quello che diventerà poi, ai nostri giorni, il finanzcapitalismo. Anche i partiti si fanno più leggeri, i leader (e le correnti) finiranno con l'assumere un peso marcato. La forma partito di fatto cambia. Si allenta il rapporto con la società civile mentre i partiti appaiono sempre più compenetrati nello stato. È la nascita del Cartel Party, in cui più che lo scontro ideologico prevale la condivisione di una posizione e di un ruolo di gestione dell'amministrazione, del governo, dello stato. I partiti da avversari cominciano a percepirsi più come "colleghi". Un processo che lascerà spiazzati non solo i vecchi militanti ma anche la base, l'elettorato dei partiti tradizionali e che contribuirà non poco ai livelli di disaffezione politica recentemente toccati anche in un Paese tradizionalmente politicizzato come il nostro. Si assiste allo sganciamento dalla società civile, alla personalizzazione politica, a quel che appare come il “ritorno del potere patrimoniale e carismatico ai danni di quello razionale legale” di weberiana memoria, con il contributo non secondario dei mezzi di comunicazione di massa prima e delle nuove tecnologie dell’informazione poi. Che finiscono con l’incidere sulla fibra democratica della vita politica interna ed esterna ai partiti, accentuandone le tendenze alla presidenzializzazione, alla valorizzazione delle arti oratorie dei leader, alla ricerca di autonomia e di un contatto diretto con la base da parte dei leader, all’assottigliarsi del ruolo delle assemblee deliberative intermedie che fungevano da collegamento tra la periferia e il centro. Non possiamo naturalmente dimenticare le potenzialità di partecipazione politica attiva dal basso, di allargamento dello spazio pubblico di habermasiana memoria alla quale però, al di là della visione idealista non scevra di un certo romanticismo che ha investito il fenomeno, fanno da contraltare i rischi di una riduzione emotiva e schematica del dibattito politico, accompagnati da tentazioni e spinte populiste, cui si aggiungono anche i rischi di una crescente de-democratizzazione derivanti dall'uso consolatorio e d'evasione che si fa della Rete.

Democrazia in Rete / Sacca', F. - In: SOCIOLOGIA. - ISSN 0038-0156. - 48:3(2014), pp. 45-52.

Democrazia in Rete

SACCA' F
2014

Abstract

Già verso la fine degli anni '70 il progresso economico e la rivoluzione silenziosa, come fu definita da Inglehart, avevano iniziato a portare con sé, almeno nei Paesi Occidentali, una popolazione progressivamente più benestante e più colta. Elementi che, a livello politico, stavano contribuendo a smussare le radicali differenze di posizionamento e a sfumare le grandi battaglie ideologiche. I partiti stavano lentamente slittando dal partito di massa, con la sua rappresentanza di classe, all'attuale tipologia di partito pigliatutto. Con il ridimensionamento della lotta di classe, si indeboliva contestualmente anche lo scontro ideologico. Era l’inizio della costituzione di un mercato elettorale che si baserà sui programmi e sulle idee, a volte limitate ad alcuni ambiti tematici specifici e, più avanti, sulla leadership. Che, come i mercati, è volatile, leggero, inafferrabile. Segue la fine della produzione pesante, di massa, e si allinea ad una società più liquida, al terziario, a quello che diventerà poi, ai nostri giorni, il finanzcapitalismo. Anche i partiti si fanno più leggeri, i leader (e le correnti) finiranno con l'assumere un peso marcato. La forma partito di fatto cambia. Si allenta il rapporto con la società civile mentre i partiti appaiono sempre più compenetrati nello stato. È la nascita del Cartel Party, in cui più che lo scontro ideologico prevale la condivisione di una posizione e di un ruolo di gestione dell'amministrazione, del governo, dello stato. I partiti da avversari cominciano a percepirsi più come "colleghi". Un processo che lascerà spiazzati non solo i vecchi militanti ma anche la base, l'elettorato dei partiti tradizionali e che contribuirà non poco ai livelli di disaffezione politica recentemente toccati anche in un Paese tradizionalmente politicizzato come il nostro. Si assiste allo sganciamento dalla società civile, alla personalizzazione politica, a quel che appare come il “ritorno del potere patrimoniale e carismatico ai danni di quello razionale legale” di weberiana memoria, con il contributo non secondario dei mezzi di comunicazione di massa prima e delle nuove tecnologie dell’informazione poi. Che finiscono con l’incidere sulla fibra democratica della vita politica interna ed esterna ai partiti, accentuandone le tendenze alla presidenzializzazione, alla valorizzazione delle arti oratorie dei leader, alla ricerca di autonomia e di un contatto diretto con la base da parte dei leader, all’assottigliarsi del ruolo delle assemblee deliberative intermedie che fungevano da collegamento tra la periferia e il centro. Non possiamo naturalmente dimenticare le potenzialità di partecipazione politica attiva dal basso, di allargamento dello spazio pubblico di habermasiana memoria alla quale però, al di là della visione idealista non scevra di un certo romanticismo che ha investito il fenomeno, fanno da contraltare i rischi di una riduzione emotiva e schematica del dibattito politico, accompagnati da tentazioni e spinte populiste, cui si aggiungono anche i rischi di una crescente de-democratizzazione derivanti dall'uso consolatorio e d'evasione che si fa della Rete.
2014
Democratizzazione; Partecipazione; Comunicazione
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Democrazia in Rete / Sacca', F. - In: SOCIOLOGIA. - ISSN 0038-0156. - 48:3(2014), pp. 45-52.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1653865
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