La città di Spielberg, nel film Ready Player One del 2018, è una favela composta da improbabili alloggi minimi. In questo futuro distopico gli uomini preferiscono vivere calandosi in avatar virtuali piuttosto che nella realtà. Passano le giornate in completo isolamento districandosi tra i gadget supertecnologici che, in completa opposizione alle fatiscenti abitazioni, li rendono parte di una brutta realtà parallela. È un posto assurdo, dove il confine tra spazio pubblico e privato appare sottilissimo, in linea con la definizione che Beatriz Colomina anticipava già nel 2007 in Domesticity at war, individuando l’inizio del processo di de-privatizzazione dello spazio domestico con l’invenzione del televisore. Oggi - in particolare - tutto questo sembra tristemente vero. Lo accettiamo passivamente come una maledizione necessaria perché viviamo e ci relazioniamo solo attraverso i mezzi di comunicazione per lo studio e per il lavoro a distanza, giustificando la scarsa qualità dello spazio domestico con questo problema che, a ben vedere, non è una causa ma una delle tante conseguenze. Così, le nostre case, retaggio delle idee del Movimento Moderno e concepite dando grande importanza al dato funzionale tradotto in quantità viziate dalla presunzione di essere qualità oggettive, non hanno risposto adattandosi a situazioni estreme. Infatti, indipendentemente dalla dimensione di ambienti che richiedevano, gli alloggi necessitavano anche di punti apparentemente senza senso, da intendere come veri e propri ripari per coltivare un insostituibile immaginario collettivo. Proporrei, come antidoto per i molti alibi contrari alla dimensione immaginaria, di coltivare una nuova versatilità illogica dello spazio domestico che parta dalla suggestione della mutevolezza insita negli abitacoli di Joe Colombo, fino a raggiungere le forme fisiognomiche e plastiche che John Hejduk aveva provato a generare nei cortili o ad attaccare alle facciate come calamite per le ali degli angeli. Luoghi dove finalmente si può abitare senza la prigionia nostalgica della patria teorizzata da Heidegger e così lontana, invece, dall’accoglienza del luogo.

La casa contro la patria / Arcopinto, Luigi. - (2022), pp. 92-95. (Intervento presentato al convegno Per una nuova casa italiana tenutosi a Pisa).

La casa contro la patria

Arcopinto, Luigi
2022

Abstract

La città di Spielberg, nel film Ready Player One del 2018, è una favela composta da improbabili alloggi minimi. In questo futuro distopico gli uomini preferiscono vivere calandosi in avatar virtuali piuttosto che nella realtà. Passano le giornate in completo isolamento districandosi tra i gadget supertecnologici che, in completa opposizione alle fatiscenti abitazioni, li rendono parte di una brutta realtà parallela. È un posto assurdo, dove il confine tra spazio pubblico e privato appare sottilissimo, in linea con la definizione che Beatriz Colomina anticipava già nel 2007 in Domesticity at war, individuando l’inizio del processo di de-privatizzazione dello spazio domestico con l’invenzione del televisore. Oggi - in particolare - tutto questo sembra tristemente vero. Lo accettiamo passivamente come una maledizione necessaria perché viviamo e ci relazioniamo solo attraverso i mezzi di comunicazione per lo studio e per il lavoro a distanza, giustificando la scarsa qualità dello spazio domestico con questo problema che, a ben vedere, non è una causa ma una delle tante conseguenze. Così, le nostre case, retaggio delle idee del Movimento Moderno e concepite dando grande importanza al dato funzionale tradotto in quantità viziate dalla presunzione di essere qualità oggettive, non hanno risposto adattandosi a situazioni estreme. Infatti, indipendentemente dalla dimensione di ambienti che richiedevano, gli alloggi necessitavano anche di punti apparentemente senza senso, da intendere come veri e propri ripari per coltivare un insostituibile immaginario collettivo. Proporrei, come antidoto per i molti alibi contrari alla dimensione immaginaria, di coltivare una nuova versatilità illogica dello spazio domestico che parta dalla suggestione della mutevolezza insita negli abitacoli di Joe Colombo, fino a raggiungere le forme fisiognomiche e plastiche che John Hejduk aveva provato a generare nei cortili o ad attaccare alle facciate come calamite per le ali degli angeli. Luoghi dove finalmente si può abitare senza la prigionia nostalgica della patria teorizzata da Heidegger e così lontana, invece, dall’accoglienza del luogo.
2022
Per una nuova casa italiana
casa; patria; dispositivi inutili; bellezza senza senso; bellezza fine a se stessa
04 Pubblicazione in atti di convegno::04b Atto di convegno in volume
La casa contro la patria / Arcopinto, Luigi. - (2022), pp. 92-95. (Intervento presentato al convegno Per una nuova casa italiana tenutosi a Pisa).
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