Ci sono contesti in cui il corpo diventa un intermediario privilegiato dell’iscrizione dell’ordine sociale, palcoscenico di una violenza che si materializza nelle biografie individuali e collettive per mostrare, pubblicamente, le ragioni indiscusse e indiscutibili del potere. La violenza - ogni violenza - è formatrice. Come ci ricordano Robben e Nordstrom, “forma le persone, la loro percezione di chi sono e per cosa combattono” (Robben, Nordstrom, 1995, p. 4) e, pertanto, anche nei conflitti più brutali, nei massacri di civili di ogni guerra così come nei genocidi del XX secolo, con essa non ci si limita mai, semplicemente, a distruggere l’ordine sociale ma ci si adopera a riconfigurare nuovi ordini e nuove soggettività. Ci sono violenze che per questo motivo fanno scalpore e sono capaci di richiamare l’attenzione mediatica, di mobilitare persino l’opinione pubblica. Ma ci sono anche violenze che, al contrario, sono sottili, impalpabili e nondimeno efficaci nei loro effetti così come ci ricordano, ad esempio, le esperienze di vita quotidiana di molti richiedenti asilo in Italia. Sono queste micro-violenze del quotidiano, che si impongono nei resoconti di coloro che giungono nel nostro Paese per cercare un rifugio - o semplicemente nuove “opportunità” -, a catturare qui la nostra attenzione. Sono queste violenze della banalità del quotidiano che rischiano di sfuggire al nostro sguardo, perché la violenza di là con le sue qualità allucinatorie e il suo perverso effetto, ad un tempo ipnotico ed anestetizzante, ci fa dimenticare o sottovalutare l’esperienza di disagio di chi intraprende un viaggio di fuga dalla sofferenza e si trova a dover affrontare altra sofferenza e altri disagi. E’ questa violenza, mai del tutto cieca e neppure tanto afasica, che parla attraverso le normative, i tribunali, gli esperti, che ci domanda con forza di affinare i nostri strumenti di analisi e di non dare mai per scontati gli scopi del nostro stesso indagare. In questo articolo cercherò di individuare alcuni dei meccanismi che producono o incentivano tale sofferenza attraverso il resoconto di un richiedente asilo: il suo personale percorso nel labirinto della violenza delle nostre istituzioni - ancor più che in quello che lo ha spinto ad abbandonare il proprio Paese - sarà per noi l’occasione di esplorare non solo le forme e le strategie degli ordini discorsivi di verità che si impongono per la loro capacità di legittimare e dare forma al reale, ma sarà anche un’opportunità per sondare una delle possibilità del testimoniare.

Corpo, legge, verità. Le verità della tortura e le torture delle verità / D'Angelo, L. - In: QUADERNI DEL CREAM. - ISSN 1970-867X. - VI:(2007), pp. 95-120.

Corpo, legge, verità. Le verità della tortura e le torture delle verità

D'ANGELO L
Primo
Writing – Original Draft Preparation
2007

Abstract

Ci sono contesti in cui il corpo diventa un intermediario privilegiato dell’iscrizione dell’ordine sociale, palcoscenico di una violenza che si materializza nelle biografie individuali e collettive per mostrare, pubblicamente, le ragioni indiscusse e indiscutibili del potere. La violenza - ogni violenza - è formatrice. Come ci ricordano Robben e Nordstrom, “forma le persone, la loro percezione di chi sono e per cosa combattono” (Robben, Nordstrom, 1995, p. 4) e, pertanto, anche nei conflitti più brutali, nei massacri di civili di ogni guerra così come nei genocidi del XX secolo, con essa non ci si limita mai, semplicemente, a distruggere l’ordine sociale ma ci si adopera a riconfigurare nuovi ordini e nuove soggettività. Ci sono violenze che per questo motivo fanno scalpore e sono capaci di richiamare l’attenzione mediatica, di mobilitare persino l’opinione pubblica. Ma ci sono anche violenze che, al contrario, sono sottili, impalpabili e nondimeno efficaci nei loro effetti così come ci ricordano, ad esempio, le esperienze di vita quotidiana di molti richiedenti asilo in Italia. Sono queste micro-violenze del quotidiano, che si impongono nei resoconti di coloro che giungono nel nostro Paese per cercare un rifugio - o semplicemente nuove “opportunità” -, a catturare qui la nostra attenzione. Sono queste violenze della banalità del quotidiano che rischiano di sfuggire al nostro sguardo, perché la violenza di là con le sue qualità allucinatorie e il suo perverso effetto, ad un tempo ipnotico ed anestetizzante, ci fa dimenticare o sottovalutare l’esperienza di disagio di chi intraprende un viaggio di fuga dalla sofferenza e si trova a dover affrontare altra sofferenza e altri disagi. E’ questa violenza, mai del tutto cieca e neppure tanto afasica, che parla attraverso le normative, i tribunali, gli esperti, che ci domanda con forza di affinare i nostri strumenti di analisi e di non dare mai per scontati gli scopi del nostro stesso indagare. In questo articolo cercherò di individuare alcuni dei meccanismi che producono o incentivano tale sofferenza attraverso il resoconto di un richiedente asilo: il suo personale percorso nel labirinto della violenza delle nostre istituzioni - ancor più che in quello che lo ha spinto ad abbandonare il proprio Paese - sarà per noi l’occasione di esplorare non solo le forme e le strategie degli ordini discorsivi di verità che si impongono per la loro capacità di legittimare e dare forma al reale, ma sarà anche un’opportunità per sondare una delle possibilità del testimoniare.
2007
tortura; corpo; legge, veritá; richiedenti asilo; rifugiati
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Corpo, legge, verità. Le verità della tortura e le torture delle verità / D'Angelo, L. - In: QUADERNI DEL CREAM. - ISSN 1970-867X. - VI:(2007), pp. 95-120.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1635133
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