Mi è sembrato giusto dedicare uno spazio di questo numero monografico della Rassegna sulla Biennale di Architettura del 2021 a un edificio. La fabbrica in questione è oramai universalmente nota come Stone Garden, è a Beirut, è stata disegnata da Lina Ghotmeh e completata in tempo per essere esposta alla 17. edizione della mostra, la cui inaugurazione era in calendario per la fine di maggio del 2020. La fortuna critica di quest’opera, è già assai consistente, se ne sono occupate riviste di grande diffusione, pure in Italia1, ancora prima del successo incassato a Venezia. Ci torno sopra perché il plastico che si incontra sulla destra a metà del percorso delle Corderie, non passa inosservato. È il primo indizio (per la prova, com’è noto, ne servirebbero altri due: se ne troveranno, anche se non in abbondanza), a confermarci che siamo dentro una mostra di architettura. E la cosa suscita sentimenti contrastanti. Di primo acchito si ha l’impressione che quel plastico sia fuori posto, una specie di ready-made duchampiano, un relitto abbandonato lì in una stagione lontana e oramai andata, nella quale l’architettura si costruiva con materiali solidi e durevoli, con misura e maestria. Dunque prevale lo spiazzamento, che a sua volta genera nell’osservatore un’inaspettata pietas. Poi, al cospetto dell’edificio, proprio mentre i neuroni specchio elaborano questa prima esperienza riproducendo e ridestando il senso profondo dell’abitare, le sinapsi riconnettono in tempo reale il termine aedes con il tema del facĕre; quel costruire che è l’essenza dell’abitare, che è il fare semplicemente (naturalmente) architettura, collocandola nel tempo e nello spazio, radicandola quindi nella storia e nella geografia di un determinato luogo. È singolare che l’autrice nell’intervista pubblicata su «Domus» affermi per contro: «Non volevo progettare un edificio, in realtà non mi piacciono gli edifici, edifices per se».
Chapeau Lina Ghotmeh / Toppetti, Fabrizio. - In: RASSEGNA DI ARCHITETTURA E URBANISTICA. - ISSN 0392-8608. - 164:(2021), pp. 74-81.
Chapeau Lina Ghotmeh
Fabrizio Toppetti
2021
Abstract
Mi è sembrato giusto dedicare uno spazio di questo numero monografico della Rassegna sulla Biennale di Architettura del 2021 a un edificio. La fabbrica in questione è oramai universalmente nota come Stone Garden, è a Beirut, è stata disegnata da Lina Ghotmeh e completata in tempo per essere esposta alla 17. edizione della mostra, la cui inaugurazione era in calendario per la fine di maggio del 2020. La fortuna critica di quest’opera, è già assai consistente, se ne sono occupate riviste di grande diffusione, pure in Italia1, ancora prima del successo incassato a Venezia. Ci torno sopra perché il plastico che si incontra sulla destra a metà del percorso delle Corderie, non passa inosservato. È il primo indizio (per la prova, com’è noto, ne servirebbero altri due: se ne troveranno, anche se non in abbondanza), a confermarci che siamo dentro una mostra di architettura. E la cosa suscita sentimenti contrastanti. Di primo acchito si ha l’impressione che quel plastico sia fuori posto, una specie di ready-made duchampiano, un relitto abbandonato lì in una stagione lontana e oramai andata, nella quale l’architettura si costruiva con materiali solidi e durevoli, con misura e maestria. Dunque prevale lo spiazzamento, che a sua volta genera nell’osservatore un’inaspettata pietas. Poi, al cospetto dell’edificio, proprio mentre i neuroni specchio elaborano questa prima esperienza riproducendo e ridestando il senso profondo dell’abitare, le sinapsi riconnettono in tempo reale il termine aedes con il tema del facĕre; quel costruire che è l’essenza dell’abitare, che è il fare semplicemente (naturalmente) architettura, collocandola nel tempo e nello spazio, radicandola quindi nella storia e nella geografia di un determinato luogo. È singolare che l’autrice nell’intervista pubblicata su «Domus» affermi per contro: «Non volevo progettare un edificio, in realtà non mi piacciono gli edifici, edifices per se».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.