Con sentenza del 2 febbraio 2021 (Causa C-481/19), la Corte di giustizia ha riconosciuto l’esistenza, in capo alle persone fisiche, di un diritto al silenzio, tutelato dagli articoli 47, comma 2, e 48 dell a Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), nell’ambito dei procedimenti innanzi alla Consob per gli illeciti amministrativi di abuso di mercato. La vicenda alla base della pronuncia in esame trova origine in un procedimento amministrativo intentato, per abuso di informazioni privilegiate, in capo all’amministratore di una società che aveva portato all’imposizione di una pesante sanzione pecuniaria (ai sensi dell’art. 187 quinquies decies del Testo unico sulla finanza (T.u.f.)) per non avere risposto alle domande della CONSOB in merito a operazioni finanziarie sospette da lui compiute. Egli aveva allora impugnato la decisione sanzionatoria dinanzi alla Corte di Cassazione italiana, sostenendo di aver esercitato il diritto fondamentale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la sua responsabilità (nemo tenetur se detegere, articoli 24 Cost. e 6 CEDU). La complessità della questione risultava evidente. Infatti, essa presupponeva l’inquadramento giuridico del diritto al silenzio, con riferimento ai suoi limiti e presupposti, l’analisi di un tema in continua evoluzione giurisprudenziale quale la progressiva estensione dello statuto garantistico della pena all’illecito amministrativo (di matrice CEDU) nonché l’esigenza di garantire sia l’effettività del diritto europeo che i diritti fondamentali con cui esso possa entrare in collisione, posto che la norma del T.u.f., ivi censurata, era stata adottata in attuazione del diritto derivato europeo. A ciò si aggiunga che la lesione di un diritto fondamentale, quale il diritto al silenzio, tutelato sia nelle carte nazionali che in quelle sovranazionali, portava con sé il problema di chiarire in che ordine rivolgersi al giudice rispettivamente costituzionale e internazionale e sollevava, pertanto, la questione della c.d. doppia pregiudizialità. Più precisamente, era necessario stabilire se il diritto al silenzio – nei limiti in cui andasse riconosciuto – rientrasse tra le garanzie tipiche della pena stricto sensu che, in virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), devono essere estese anche a sanzioni formalmente non penali ma sostanzialmente afflittive. Una eventuale risposta affermativa avrebbe comportato il dubbio sulla legittimità costituzionale dell’art. 187 T.u.f. Per tali ragioni, a partire dal giudizio svoltosi davanti alla Corte di Cassazione, sulla questione sono state interrogate – in ordine – la Corte costituzionale e la Corte di giustizia dell’Unione europea e poi di nuovo la Consulta. La giurisprudenza della Corte EDU sulle sanzioni sostanzialmente punitive e sulla tutela da concedere al diritto al silenzio ha rappresentato il trait d’union delle relative pronunce. Il caso de quo sembra, pertanto, aver avviato quello che può essere considerato, a parere di chi scrive, un virtuoso esempio di dialogo tra corti e di interazione tra giurisprudenze nazionali e sovranazionali.

Il nemo tenetur se detegere e il dialogo tra le corti italiane e le corti internazionali / Romano, Giulia. - In: ORDINE INTERNAZIONALE E DIRITTI UMANI. - ISSN 2284-3531. - Osservatorio l’Italia e la Cedu n. 5/2021(2021), pp. 1324-1332.

Il nemo tenetur se detegere e il dialogo tra le corti italiane e le corti internazionali

Giulia Romano
2021

Abstract

Con sentenza del 2 febbraio 2021 (Causa C-481/19), la Corte di giustizia ha riconosciuto l’esistenza, in capo alle persone fisiche, di un diritto al silenzio, tutelato dagli articoli 47, comma 2, e 48 dell a Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), nell’ambito dei procedimenti innanzi alla Consob per gli illeciti amministrativi di abuso di mercato. La vicenda alla base della pronuncia in esame trova origine in un procedimento amministrativo intentato, per abuso di informazioni privilegiate, in capo all’amministratore di una società che aveva portato all’imposizione di una pesante sanzione pecuniaria (ai sensi dell’art. 187 quinquies decies del Testo unico sulla finanza (T.u.f.)) per non avere risposto alle domande della CONSOB in merito a operazioni finanziarie sospette da lui compiute. Egli aveva allora impugnato la decisione sanzionatoria dinanzi alla Corte di Cassazione italiana, sostenendo di aver esercitato il diritto fondamentale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la sua responsabilità (nemo tenetur se detegere, articoli 24 Cost. e 6 CEDU). La complessità della questione risultava evidente. Infatti, essa presupponeva l’inquadramento giuridico del diritto al silenzio, con riferimento ai suoi limiti e presupposti, l’analisi di un tema in continua evoluzione giurisprudenziale quale la progressiva estensione dello statuto garantistico della pena all’illecito amministrativo (di matrice CEDU) nonché l’esigenza di garantire sia l’effettività del diritto europeo che i diritti fondamentali con cui esso possa entrare in collisione, posto che la norma del T.u.f., ivi censurata, era stata adottata in attuazione del diritto derivato europeo. A ciò si aggiunga che la lesione di un diritto fondamentale, quale il diritto al silenzio, tutelato sia nelle carte nazionali che in quelle sovranazionali, portava con sé il problema di chiarire in che ordine rivolgersi al giudice rispettivamente costituzionale e internazionale e sollevava, pertanto, la questione della c.d. doppia pregiudizialità. Più precisamente, era necessario stabilire se il diritto al silenzio – nei limiti in cui andasse riconosciuto – rientrasse tra le garanzie tipiche della pena stricto sensu che, in virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), devono essere estese anche a sanzioni formalmente non penali ma sostanzialmente afflittive. Una eventuale risposta affermativa avrebbe comportato il dubbio sulla legittimità costituzionale dell’art. 187 T.u.f. Per tali ragioni, a partire dal giudizio svoltosi davanti alla Corte di Cassazione, sulla questione sono state interrogate – in ordine – la Corte costituzionale e la Corte di giustizia dell’Unione europea e poi di nuovo la Consulta. La giurisprudenza della Corte EDU sulle sanzioni sostanzialmente punitive e sulla tutela da concedere al diritto al silenzio ha rappresentato il trait d’union delle relative pronunce. Il caso de quo sembra, pertanto, aver avviato quello che può essere considerato, a parere di chi scrive, un virtuoso esempio di dialogo tra corti e di interazione tra giurisprudenze nazionali e sovranazionali.
2021
Corte di giustizia; Corte europea dei diritti dell'uomo; criteri Engel; Consob; sanzioni amministrative
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
Il nemo tenetur se detegere e il dialogo tra le corti italiane e le corti internazionali / Romano, Giulia. - In: ORDINE INTERNAZIONALE E DIRITTI UMANI. - ISSN 2284-3531. - Osservatorio l’Italia e la Cedu n. 5/2021(2021), pp. 1324-1332.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1619530
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